Fed più rigida sui tassi, perché l'euro debole non è un male
pubblicato:L'indebolimento della moneta unica potrebbe fornire un buon sostegno all'economia europea
Piccolo terremoto sui mercati dopo la riunione della Fed di ieri sera. Wall Street ed euro hanno immediatamente imboccato la via del ribasso, seguiti stamattina dalle Borse europee. La causa del movimento? Non la riduzione da 25 bp dei tassi sui Fed funds (ampiamente in linea con le attese) ma bensì le nuove proiezioni macroeconomiche della banca centrale americana. In sintesi lo staff di economisti della Fed prevede, rispetto alle indicazioni fornite a settembre: più crescita, più inflazione e meno disoccupazione.
Fed in frenata sul taglio dei tassi
Il combinato disposto di queste stime è facilmente intuibile e può essere tradotto così: il ritmo di riduzione dei tassi può rallentare dato che l'economia tira, l'occupazione è ancora in discreta forma e l'ultimo miglio per ricondurre l'inflazione sull'obiettivo di lungo termine (2%) è, come da molti ipotizzato, quello più impervio da percorrere.
Di conseguenza lo scenario ipotizzato a settembre, ovvero una riduzione dei tassi ufficiali complessiva per il 2025 di un punto percentuale (verosimilmente in quattro interventi da 25 bp), si è ridimensionato a mezzo punto (due tagli da 0,25%). La reazione dei mercati azionari è ovviamente determinata dalla prospettiva di costi di finanziamento per le aziende più alti di quanto previsto.
Euro in calo su prospettive tassi USA più alti...
La flessione dell'euro sul dollaro (EUR/USD ha toccato a 1,0345 il minimo dal 22 novembre, a sua volta livello più basso da novembre 2022) è causata dalla prospettiva di una maggiore remuneratività del biglietto verde. A differenza della Fed, la BCE deve fronteggiare un quadro macro stagnante e sarà probabilmente obbligata a ridurre i tassi in modo vigoroso per tentare di rianimare la congiuntura dell'eurozona.
...non la peggiore delle notizie
Il rafforzamento del dollaro potrebbe dare una mano in questo senso. Una moneta unica debole rende i prodotti europei più competitivi sul mercato americano. Consideriamo che gli USA sono il principale destinatario delle esportazioni UE con una quota di quasi il 20%, con la Germania in testa in termini di volumi, seguita da Italia e Irlanda. Una ulteriore svalutazione dell'euro non sarebbe quindi una cattiva notizia, soprattutto se Trump decidesse davvero di istituire una tariffa del 10% sui beni in arrivo dal Vecchio Continente.