Usa: dati del lavoro fortissimi e cambia lo scenario
pubblicato:Ben 353 mila posti in più negli Stati Uniti a gennaio, anche dicembre è stato molto migliore delle attese. I non farm payroll cambiano lo scenario, il lavoro non rallenta, anzi e anche per la FED si modifica il quadro
I non farm payroll degli Stati Uniti, le buste paga del settore non agricolo, sono considerati il dato più importante sul mondo del lavoro a stelle e strisce e se oggi indicano a gennaio un balzo di 353 mila nuovi posti, molti di più dei 187 mila attesi dal mercato, qualcosa vuol dire. Anzi vuol dire molto.
Partiamo dai numeri.
USA: un mondo del lavoro esplosivo
Persino il passato migliora, i dati del mese di dicembre sono stati fortemente rivisti al rialzo, da 216 mila unità a 333 mila nuovi posti di lavoro nei settori che coprono circa l’80% del Pil Usa.
Il report del Bureau of Labor Statistics descrive ancora una crescita del lavoro negli Stati Uniti impressionante, dai servizi professionali alla sanità, dal commercio al dettaglio all’assistenza sociale, tutto conferma ancora una volta una potente macchina dell’occupazione che continua dopo anni a chiedere lavoro e addetti.
Nel 2023 gli Stati Uniti hanno creato in media 255 mila posti di lavoro al mese (58 mila in media nella sanità), è un tema caldo per la campagna elettorale, ma anche una straordinaria fase dell’economia Usa che ha diverse conseguenze e implicazioni.
Il tasso di disoccupazione si è fermato al 3,7% per il terzo mese consecutivo, tolto il 2020 del Covid, sono minimi da anni Sessanta.
I disoccupati sono sempre 6,1 milioni, il tasso di partecipazione della forza lavoro è del 62,5%.
Ma quali sono i lavori che l’economia Usa chiede in questa fase?
La sanità è il motore della crescita occupazione Usa, soltanto questo settore ha aggiunto 70 mila addetti a gennaio, fra servizi ambulatoriali, ospedali, case di cura. Poi c’è il commercio al dettaglio, circa 30 mila nuovi posti nel mese, l’assistenza sociale (+30 mila), la manifattura (+23 mila), il pubblico impiego (+36 mila, ma in forte rallentamento).
Insomma non sono tutti nuovi posti creati dall’intelligenza artificiale, anzi, ma anche altri fattori dell’economia statunitense sono sorprendenti in questa fase.
Dai dati di oggi si apprende infatti che negli ultimi 12 mesi in media la paga oraria Usa è cresciuta del 4,5% (a gennaio soltanto è un +0,6%, quindi 19 centesimi a quota 34,55 dollari l’ora), l’attesa era per un +4,1% e il dato precedente è stato rivisto al ribasso al 4,3% (4,4% la prima lettura).
A guardarlo da vicino questo dato andrebbe confrontato con i numeri di ieri sul quarto trimestre del 2023 su produttività e salari generali. Nell’ultima parte dello scorso anno la produttività del settore non agricolo è cresciuta del 3,2% annuale, la produzione del 3,7% e il numero di ore lavorate dello 0,4% La paga oraria media è cresciuta nel quarto trimestre del 3,7%, quindi al netto dell’aumento della produttività, il costo unitario del lavoro è cresciuto dello 0,5%. Ma la crescita reale del salario orario, tenendo conto dell’inflazione, è stata dello 0,9% nel trimestre, quindi persiste quel divario tra dinamica dei salari e del potere d’acquisto che anima il dibattito elettorale. Ma questi numeri significano molto di più anche su altri fronti.
USA: un mondo del lavoro fortissimo, cosa implica?
Numeri dei posti di lavoro ancora in costante aumento, salari che crescono: tutto questo riporta inevitabilmente gli occhi sulla Fed, che ha appena bocciato l’ipotesi di un primo taglio dei tassi a marzo, e ora guadagna ancora tempo e non solo.
Con un’economia così esplosiva nonostante le sempre più strette condizioni di finanziamento, i rischi per l’inflazione aumentano e la scelta di invertire la politica monetaria si fa più complicata.
Il lavoro forte dà ancora tempo al numero uno della FED Jerome Powell. Come noto gli obiettivi della banca centrale statunitense comprendono sia il controllo dei prezzi che la piena occupazione e se il lavoro cresce ancora nonostante la politica monetaria restrittiva e il calo dell’inflazione perché avere fretta? Ma soprattutto aumenta il rischio di un errore, se i salari continuano a crescere in un mondo del lavoro così dinamico riemerge un pericolo per i prezzi che allontana lo scenario di un taglio dei tassi.
Anche il mercato appare più confuso. Il FedWatch Tool che stima le attese di mercato sulla politica monetaria della Fed sulla base dei future sui Fed Fund nell’ultimo mese ha portato per il meeting di maggio le probabilità di un piccolo taglio dei tassi d’interesse di 25 punti base dal 5,5 al 5,25% dal 24,8 al 57,5% Al tempo stesso anche la probabilità di tassi invariati è balzata dall’1,6% al 30,3%
E per giugno il 53,4% delle probabilità sarebbe per tassi nel range 4,75-5,00% (ossia due tagli) e il 32,7% per un taglio solo a quella data. Anche quest’ultima opzione è aumentata nell’ultimo mese in termini di probabilità e sempre più osservatori ritengono che sarà a giugno il primo taglio della Fed. Né mancano in realtà coloro che iniziano a pensare alla seconda metà dell'anno.
Spettatori interessati anche di qua dall’Atlantico, in molti si chiedono quando e come le decisioni della Fed influenzeranno quella della BCE. Dato il ciclo economico molto più debole in Europa sarebbe razionale pensare che il primo taglio partisse da Francoforte, ma i rischi per l’inflazione, sebbene qualitativamente diversi, non mancano neanche in Europa e la mano sul freno è salda anche qui. Con la differenza che l’economia europea non è affatto brillante come quella statunitense.
Lavoro Usa: e il mercato?
La reazione del mercato Usa è contrastata all'inizio in questo contesto, ma migliora con il procedere degli scambi. Il segnale forte dell’economia potrebbe frenare il percorso di taglio dei tassi che avrebbe incoraggiato i mercati azionari e lo scenario cambia. Il mercato del lavoro non si sta indebolendo sotto il peso del costo del denaro, bisogna di nuovo cambiare le prospettive.
L’S&P 500 si mostra in rialzo dell'1,11%, il Nasdaq 100 guadagna l'1,26% ma il Dow Jones cede lo 0,24% e il Russell 2000 segna un ribasso dell’1,26% Le performance sono manomesse dalla corsa di pezzi da novanta come Meta che guadagna il 21% e Amazon che guadagna il 7%
Al contempo con la prospettiva di un altro rinvio del taglio dei tassi il dollaro si apprezza e guadagna lo 0,65% sull’euro, l'1,28% sullo yen e lo 0,63% sulla sterlina. Un rally coerente insomma perché anche il petrolio, solitamente in direzione contraria di quella del biglietto verde, mostra un calo di oltre un punto percentuale sia per il Brent (-1,26% a 77,71 dollari al barile), che per il WTI (-1,5% a 72,71 dollari).
Dollaro forte insomma con il Dollar Index che guadagna un corposo 0,75%