Stati Uniti, settimana rovente tra elezioni e Fed
pubblicato:Grande attesa sul voto anche da parte dei mercati. Subito dopo la Fed che dovrà decidere sui tassi in uno scenario già diverso
Domani sarà il martedì fatidico degli Stati Uniti, l’election day del 2024. Axios contava il primo novembre già più di 123 milioni di dollari puntati in scommesse sulla vittoria della democratica Kamala Harris o del repubblicano Donald Trump e altre piattaforme sono entrate in azione in queste ore. La maggior parte degli scommettitori punta su Trump, RealClearPolling calcola in media il repubblicano al 56% e la democratica al 42,9%, ma ovviamente non sta scritto da nessuna parte che i bookmaker abbiano ragione.
L’ultimo sondaggio della NBC News pone i due candidati sulla stessa soglia del 49%, quindi incertezza massima secondo queste proiezioni. A meno di 48 ore dalla chiusura delle urne, gli scarti sono per la maggior parte dei sondaggisti estremamente marginali e lasciano spazio a una grande incertezza sull’esito del voto e persino sull’ordinato esito dello spoglio.
Anche Il Sole 24 Ore ha riportato del timore di alcuni osservatori su eventuali strappi di Trump che potrebbe dichiarare martedì notte la vittoria prima della fine del conteggio delle schede, generando tensioni ancora maggiori di quelle di quattro anni fa. Sull’ipotesi si è espressa anche Harris dicendo “siamo tristemente pronti”.
Lo scenario di un annuncio della vittoria repubblicana prima della fine dei conteggi, di una contestazione automatica dei risultati e di proteste diffuse nel Paese – forse il peggiore scenario possibile – è quindi ampiamente preso in considerazione, anche per via dei toni ancora più forti presi dalla campagna di Trump negli ultimi giorni, specialmente negli Stati in bilico.
Come noto sono sette gli Stati in bilico (swing States) che saranno decisivi: Arizona (11 collegi su 538 grandi elettori), Georgia (16 collegi), Michigan (15), Nevada (6), North Carolina (16), Pennsylvania (19) e Wisconsin (10). Chi otterrà il maggior numero di “grandi elettori” (100 per il Senato, 435 per la Camera e 3 per il Distretto di Columbia), superando la soglia dei 270, vincerà la Casa Bianca.
Ma alle elezioni di domani si decidono anche i 435 deputati della House of Representatives (la Camera USA), 6 membri del Congresso senza diritto di voto, e 33 senatori. Attualmente la Camera è a maggioranza repubblicana e il Senato a maggioranza democratica, ma le urne di domani potrebbero cambiare il quadro.
Elezioni USA, le ipotesi dei mercati
Stando così le cose, si possono descrivere quattro scenari principali in base a seconda che vincano i rossi repubblicani, in maniera decisa o meno, o i blu democratici, in maniera decisa o meno.
Un interessante report di UBS di pochi giorni fa ha così riassunto gli scenari possibili.
Red sweep (Onda rossa ossia vittoria decisa dei repubblicani). Stravince Trump, il Tax Cuts and Jobs Act (TCJA), un taglio delle aliquote fiscali voluto dallo stesso Trump (noto anche infatti come Trump tax cuts) viene prorogato con qualche modifica. UBS ritiene che Trump potrebbe anche ridurre al 15% le tasse sulle imprese, con un impatto da 600 miliardi in 10 anni che andrebbe ribilanciato con il ridimensionamento del fisco sull’energia dell’attuale Inflation Reduction Act di Biden.
Per finanziare queste misure “bandiera” Trump si servirebbe probabilmente anche dei nuovi dazi doganali che prevederebbero tariffe di base dal 10 al 20% e dazi fino al 60% sui beni provenienti dalla Cina. Attriti in passato si sono già visti con il Canada e l’Europa, ma restiamo sullo scenario di UBS.
Con l’”onda rossa” si registrerebbero probabilmente la deregulation di finanza ed energia e una più dura politica sull’immigrazione. Secondo UBS (ma non solo) una rigida applicazione di queste promesse elettorali farebbe lievitare il già ampio deficit Usa e riporterebbe l’inflazione negli States anche via dazi.
Il “Comitato per un bilancio federale responsabile” (Committee for a Responsible Federal Budget, una sorta di Osservatorio sui conti pubblici Usa) paventa comunque grossi impatti fiscali da entrambi i candidati.
Se vincesse Kamala Harris, sulla base dei suoi annunci, si registrerebbe al 2035 un impatto fiscale di 3,95 trilioni di dollari.
Se vincesse Donald Trump, l’impatto fiscale al 2035 potrebbe essere addirittura di 7,75 trilioni di dollari.
Attualmente il debito record degli Stati Uniti è di 35,95 trilioni di dollari, quindi i due scenari sarebbero di un balzo dell’11% e del 21,5% circa, probabilmente disastroso in entrambi i casi a meno di volate pindariche del Pil. Secondo molti osservatori in tal senso i mercati si sono già posizionati su una vittoria di Trump: infatti il pilastro del trading sulla Trumpeconomics sarebbe la crescita dei rendimenti dei titoli di Stato nel breve e medio termine e in effetti i Treasury USA son passati dal 3,62% del 16 settembre al 4,36% del primo novembre, un balzo del 20% o meglio di 74 punti base, che per molti è la prova provata di un posizionamento dei mercati obbligazionari sulla vittoria di Trump.
Anche UBS fa alcune stime su questo scenario e immagina un forte rialzo dei rendimenti che sarebbe molto negativo per la duration e sarebbe generato da maggior deficit e maggiore inflazione, che genererebbero anche un dollaro in rafforzamento per via degli impatti dei rendimenti Usa e dei timori sui nuovi dazi. Come da tradizione si dovrebbe rafforzare anche l’azionario Usa, anche ai danni dell’internazionale che potrebbe subire l’incertezza dei dazi.
Questo sarebbe lo scenario del Trump-piglia-tutto, secondo UBS il più probabile, anche se come visto scommettitori e sondaggi forniscono indicazioni diverse tra loro e nessuna di queste indicazioni fornisce naturalmente certezze sull’esito finale del voto.
Se la vittoria repubblicana fosse più contrastata, con una Camera ancora democratica, gli spazi di manovra della Casa Bianca del neoletto presidente Trump sarebbero più limitati, così come minori sarebbero a ruota le misure e gli impatti fiscali, i rialzi dei rendimenti, del dollaro, delle azioni a stelle e strisce.
Se al contrario fosse Kamala Harris il nuovo presidente, anche in un congresso diviso, UBS immagina un impulso fiscale quasi neutro e maggiori trattative sulle aliquote e le norme tra Casa Bianca e Congresso. La prospettiva in questo caso è quella di un aumento delle imposte sulle società e di crediti d’imposta per l’infanzia alla difficile prova di un Congresso diviso.
Secondo UBS una vittoria di Harris porterebbe qualche repricing sull’azionario Usa, qualche riapprezzamento “di sollievo” invece per l’azionario internazionale, dollaro e rendimenti Usa in possibile calo. Tutti effetti che secondo UBS crescerebbero se si realizzasse l’improbabile “onda blu” con vittoria di Harris e dei democratici anche alla Camera.
Per i mercati il quadro rimane quindi ancora incerto in vista delle elezioni di domani e dei possibili esiti e reazioni dei due candidati. Solitamente la fine dell’anno è positiva per i mercati azionari ed è improbabile che l’azionario chiuda un 2024 negativo visto che a oggi ha guadagnato il 20% circa.
Di certo le elezioni Usa avranno un impatto molto forte anche sull’Europa per via dei rischi sul fronte commerciale, per via degli equilibri geopolitici su dossier caldi come Medioriente e Ucraina.
La Fed verso un taglio di 25 punti base tra segnali discordi
Dopo due giorni anche la Fed si dovrà esprimere sui tassi in uno scenario probabilmente profondamente mutato.
Anche senza l’enorme novità politica per Jerome Powell non sarebbe una scelta semplice: la maggior parte degli osservatori si aspetta un taglio di 25 punti base, dopo il segnale forte del mezzo punto di settembre. Il FedWatch Tool dà al 98,3% di probabilità un taglio di un quarto di punto, ma anche queste sono posizioni di mercato e ipotesi senza un valore concreto.
Oltretutto il puzzle economico si è complicato non poco di recente, forti consumi hanno sostenuto la crescita del Pil del terzo trimestre pubblicata la scorsa settimana (+2,8%). Dati da “no landing”, ma intanto il mondo del lavoro continua a raffreddarsi e anche le forti revisioni sui dati del lavoro di luglio e agosto hanno reso più incerta l’interpretazione dei dati. Intanto l’inflazione PCE a settembre si è raffreddata ulteriormente al 2,1% dal 2,3%, ma l’inflazione core PCE è rimasta elevata al 2,7% e spinte inflazionistiche dall’energia non sono da escludersi nel breve.
Giovedì comunque la Fed dovrà decidere sulla base di dati già resi vecchi dal nuovo scenario post-elettorale, le previsioni sull'inflazione potrebbero cambiare notevolmente. Non sarà semplice.