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Ancora Big Oil, Conoco mette sul piatto $ 22,5 mld per Marathon

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
5 min

Un altro megamerger Usa nel settore del petrolio greggio (e del gas): sono le operazioni più importanti di Wall Street e del mondo. Ci sono le pressioni di Medioriente, Russia e Cina. Ma anche tanta, tanta finanza. Tra buyback, diversificazione e rafforzamenti gli investimenti passano in secondo piano. Anche perché troppa produzione deprime i prezzi e proprio gli Stati Uniti ne sanno qualcosa

Ancora Big Oil, Conoco mette sul piatto $ 22,5 mld per Marathon

Auto elettrica? Intanto il petrolio continua a correre. L’ultima novità di oggi è l’accordo da ben 22,5 miliardi di dollari per l’acquisizione di Marathon Oil da parte di ConocoPhilips.

Big Oil con tutte le maiuscole al posto giusto, anche se la transazione è carta contro carta e comprende anche 5,4 miliardi di dollari di debito netto portato nel deal da Marathon.

Petrolio e gas a stelle e strisce soprattutto, ma ormai potenzialmente da vendere anche in Europa.

L’anno scorso Marathon da sola ha “prodotto” 179 mila barili di petrolio greggio e condensati al giorno e 530 milioni di piedi cubi daily, ossia circa 14,7 milioni di metri cubi al giorno, ossia, tornando al petrolio, altri 86 milioni di barili equivalenti, quindi un’altra metà di idrocarburo, anche se a prezzi diversi.

Proprio le quotazioni in calo sono una costante tra i vari benchmark. In media il petrolio a blend WTI venduto da Marathon valeva ben 94,33 dollari al barile nel 2022 ed è scivolato a 77,6 dollari nel 2023. Il Brent è passato da 100,78 a 82,47 dollari. Il gas naturale in milioni di BTU (ogni milione vale circa 28,26 metri cubi) è passato all’Henry HUB da 6,64 dollari ad appena 2,74 e sul TTF europeo da 40,85 a 13,10 dollari. Insomma il mercato nonostante tutto è inondato di idrocarburi e i prezzi sono scesi molto così la reazione dell’industria è la fusione, ma non da oggi, già da ieri.

La più grande fusione del 2023 è stata nel petrolio: Exxon-Pioneer

Nel 2023 la più grande fusione del mondo è stata quella che ha visto ExxonMobil all’acquisto di Pioneer Resources per 64,5 miliardi di dollari.

Ma dopo è venuto anche l’annuncio dell’acquisizione da 60 miliardi di dollari di Hess da parte di Chevron. Guarda caso gli azionisti di Hess hanno approvato proprio ieri l’acquisizione da parte di Chevron. Anche in questo caso una fusione carta contro carta.

Ma si deve ricordare anche la Occidental Petroleum della Berkshire di Warren Buffet: ha approvato l’acquisizione di CrownRock per 12 miliardi di dollari e confermato la passione dell’Oracolo di Omaha per l’economia del carbonio che in effetti sembra oggi più forte che mai, nonostante il rallentamento dei prezzi dovuto sia alla crescita della capacità produttiva, che al rallentamento della domanda cinese (o meglio della sua crescita).

Petrolio: la fusione Hess-Chevron a rischio sul blocco Stabroek, dove lavora anche Saipem

E' energia: c'è finanza, c'è geopolitica e c'è politica... un esempio illuminante è Stabroek.

Nell’offshore della Guyana fa parlare di sé proprio il blocco Stabroek, ci lavora anche Saipem: un mega-giacimento da oltre 11 miliardi di barili di petrolio equivalente a 200 chilometri dalle coste della parte settentrionale del Sudamerica.

Oggi è operato da ExxonMobil che ne ha il 45%, ma un altro 30% è di Hess (che si sta per fondere con Chevron) e il rimanente 25% della cinese Cnooc che opera in tutto il mondo, compresa la nostra vicina Algeria.

Bene proprio il passaggio delle quote di Stabroek da Hess a Chevron rischia di mettere in forse la fusione tra le due oil company americane.

Si è infatti messa di traverso Exxon che ha avviato un arbitrato perché sostiene di avere sostanzialmente un diritto di prelazione su quelle quote del maxigiacimento. Potrebbe durare fino al 2025 secondo la CNBC ed è uno scontro legale che trasmette la tensione nel settore. Intanto le fusioni nel big oil Usa continua.

È incetta di greggio e gas insomma, almeno sul mercato. C’è in mezzo un contrasto coordinato alla lotta cinese per le materie prime c'è la geopolitica e la Russia e il Medioriente... C’è il bacino Permiano negli Stati Uniti che è il cuore del fracking americano intorno a cui ruotano molte di queste fusioni: ci aggiungi il vicino offshore della Guyana e ottieni buona parte delle strategie di ExxonMobil e di Chevron. Ma c'è soprattutto finanza, tantissima finanza.

Petrolio? I soldi dell'oil Usa vanno più in buyback e finanza che in investimenti

Il fracking è quel sistema inquinante di estrazione di gas e petrolio che ha regalato l'indipendenza energetica agli Stati Uniti e ne ha fatto un esportatore di gas verso l'Europa. C'è stato un tempo in cui gli investimenti nella produzione hanno messo così tanta materia prima sul mercato da mandare ko i prezzi. Eccesso di offerta e molte imprese a gambe all'aria. E' emerso il problema storico degli equilibri di domanda e offerta e così i poderosi flussi di cassa sono andati spesso altrove.

Come probabilmente confermerà il prossimo 6 giugno il report dell'IEA gli investimenti nelle fonti fossi dovrebbero essersi stabilizzati nel 2023 nell'intorno del trilione di dollari contro investimenti in energia pulita cresciuti di 100 miliardi a 1,7 trilioni (sì c'è quasi il 70% in più nonostante i trionfi del carbonio degli ultimi due anni).

E' illuminante in tal senso un report di Moody's della fine del 2023. Spiegava che le Big Five del petrolio, BP, Chevron, ExxonMobil, Shell e TotalEnergies avevano generato negli ultime tre anni (da inizio 2021 ai primi nove mesi del 2023) flussi di cassa complessivi da ben 613 miliardi di dollari Cosa ne hanno fatto? La risposta è in gran parte finanza.

1) Circa 235 miliardi di dollari restituiti agli azionisti in dividendi e buyback.

2) Altri 237 miliardi in investimenti fisici, capex (spesso manutenzione di parchi obsolescenti, altre volte nuova produzione e nuovi progetti).

3) Altri 134 miliardi dollari sono andati nel taglio del debito.

4) Un gettone di 27 miliardi in acquisizioni.

5) I rimanenti 136 miliardi di flussi in cassa e liquidità.

Spesso ci sono nuovi progetti (dall'oil al gas) magari nel nemico numero uno: la transizione energetica. Fieno in cascina per il futuro, diversificazione nell'energia pulita, nella mobilità elettrica, nella bioenergia, nell'idrogeno e così via.

Ma a conti fatti quasi due terzi dei flussi di cassa sono andati in finanza... che poi scatti il megamerger non stupisce