Trump, ecco cosa aspettarsi dal nuovo presidente
pubblicato:La Trumpeconomics si baserà su dazi e deregulation. Ecco le analisi degli esperti
La cerimonia di inaugurazione della nuova presidenza di Donald Trump comincerà oggi alle 11:30 ET negli Stati Uniti (le 17:30 ora italiana) e segue e precede una serie organizzata e fitta di eventi che vanno dai discorsi di ieri del presidente eletto alla cerimonia religiosa tradizionale di oggi alla chiesa di St. John, al tè alla Casa Bianca con il presidente uscente Joe Biden, alla cerimonia del giuramento del vicepresidente JD Vance e di Donald Trump, intorno alle 18 al Campidoglio. Sarà il primo ritorno di Trump a Capitol Hill dopo l’assalto del 6 gennaio 2021 da parte di diversi manifestanti che contestavano l’esito delle elezioni che portà Biden alla White House.
La cerimonia di oggi avviene in un giorno festivo per gli Stati Uniti, anche Wall Street sarà chiusa perché il terzo lunedì di gennaio è la ricorrenza del Martin Luther King day, festività in onore del celebre attivista divenuta nazionale con la presidenza di Donal Reagan dopo un voto favorevole del Congresso nel 1983.
Trump promette da subito una sfilza di ordini esecutivi
Ma quella di oggi non sarà soltanto una giornata di lustrini e strette di mano per gli Stati Uniti perché il tycoon che torna alla Casa Bianca ha già promesso di muoversi con una forza e una velocità storiche siglando una sfilza di ordini esecutivi. Dovrebbero essere più di duecento. Un ordine esecutivo presidenziale è un provvedimento scritto della Casa Bianca che non ha bisogno dell’approvazione del Congresso, ma che per questo stesso motivo deve inserirsi entro i confini previsti dalla legge. Nella prima presidenza Trump ne fece 2020 (alcuni finiti in tribunale per le contestazioni), ma anche Biden ne ha firmati 160, Obama 277 e Bush 291.
Non è quindi una novità assoluta, ma Trump ha già annunciato che questa volta saranno molti di più del solito, ha promesso che sarà una prima giornata “storica” sotto questo profilo. Ma cosa ordinerà quindi Trump?
Trump, i dazi e l’inflazione
I dazi, ossia le nuove tasse sulle merci di importazioni, sono sicuramente uno dei pilastri della Trumpeconomics e del popola MAGA (Make America Great Again, lo spot dei cappellini di rossi dell’elettorato trumpiano). Uno dei motivi principali per cui gli elettori a stelle e strisce hanno riportato Trump alla Cassa Bianca è il caro-vita però e tutti gli economisti sono d’accordo nel ritenere che un acceleratore sui dazi ai beni d’importazione, soprattutto con la forza dell’economia statunitense che non cede il passo, aumenterà l’inflazione.
Bisognerebbe quindi in teoria agire con il bilancino, anche se la politica commerciale protezionistica degli Stati Uniti è ormai un approccio strutturale di Washington. Ma il bilancino non è proprio lo strumento preferito da Trump e non si possono escludere sorprese.
L’obiettivo di rafforzare la manifattura statunitense dopo decenni di crisi, è stato confermato con chiarezza da Trump in campagna elettorale: il neopresidente ha annunciato dazi del 10% su tutte le importazioni di beni negli Stati Uniti e del 60% sui beni provenienti dalla Cina.
Abbiamo l’esperienza del primo mandato che ha è riuscito a spostare alcune produzioni in altri Paesi del mondo, specialmente in Messico e Vietnam, ma che sostanzialmente non è riuscito a tagliare il deficit fiscale con la Cina, che anzi è cresciuto.
Gli Stati Uniti hanno imposto sull’acciaio dazi del 25% nel primo mandato di Trump (il 10% sull’alluminio) e poi hanno negoziato quote di importazione con diversi Paesi, con Messico e Canada sotto il primo Trump e con Europa, Giappone e Regno Unito sotto Biden.
La concorrenza formidabile della Cina sui prezzi dell’acciaio (un problema anche per l’Europa) non è però mai venuta meno. Negli anni, nonostante dazi e politiche commerciali aggressive, il tasso di utilizzo delle acciaierie è tornato sui bassi livelli del 2016, sotto il 70% Va detto però che nel 2017 la manifattura impiegava negli States meno di 12,4 milioni di persone e ora ne impiega più di 12,8 milioni.
Negli ultimi giorni però sembra che i consiglieri di Trump lo abbiano ridotto a più miti consigli, riuscendo a strappare la possibilità di un approccio più graduale ai dazi. Secondo Bloomberg in particolare il team economico di Trump (alla guida del Tesoro ci sarà Scott Bessent, molto stimato dai mercati), avrebbe ottenuto l’impegno a dazi graduali mensili. Secondo Bloomberg, insomma, la Casa Bianca avvierebbe sì una nuova stretta commerciale, ma con aumenti graduali dei dazi ogni mese, tramite aumenti compresi tra il 2% e il 5% a ogni round.
Lo scopo evidente sarebbe la contemporanea rinegoziazione di accordi più favorevoli con i vari partner commerciali. Si potrebbero così spuntare minori shock sui mercati finanziari e un maggiore tempo per le imprese Usa per l’adattamento alle nuove condizioni di mercato e quindi ai prezzi più elevati che ci saranno sui beni d’importazione.
Sono rumors raccolti da Bloomberg, soltanto nelle prossime ore, forse si avrà una maggiore chiarezza e il mercato avrà forse quella maggiore visibilità sul contesto operativo che aspetta da mesi.
L’impatto comunque ci sarà The Boston Consulting Group ha simulato vari scenari, ma comunque ipotizza impatti significativi sui margini dell’EBITDA di molte società.
Morningstar ha comunque ipotizzato un impatto potenziale dell’1,9% del Pil statunitense dai nuovi dazi. Ma ovviamente si tratta di scenari ancora aleatori.
Trump, la deregulation che piace al business (e alle cripto)
La maggior parte degli osservatori, quando a cavallo delle ultime elezioni il Trump Trade portava Wall Street su nuovi record, ha rilevato comunque un chiaro favore, se non proprio un entusiasmo, per le imprese di fronte alla promessa di una semplificazione delle regole operative e delle norme sul loro operato.
Apprezzano questo approccio sia le banche, che le loro imprese clienti, che hanno più volte rilevato anche un crescente ottimismo degli imprenditori a stelle e strisce su questo scenario. Gli ultimi risultati da record delle banche di Wall Street hanno confermato questa percezione. Lo scorso 4 dicembre Trump ha annunciato che avrebbe sostituito il presidente della SEC (la Consob statunitense) Gary Gensler, famoso per la sua battaglia (persa) contro le criptovalute, con Paul Atkins, già fondatore di Patomak Global Partners e noto per il suo sostegno al mondo cripto. In questo avvicendamento sta buona parte del rally del Bitcoin che oggi vale più di 108 mila dollari.
Ma i vantaggi che le imprese sperano sono molto più ampi e spaziano dai minori requisiti amministrativi chiesti alle aziende alla riduzione delle aliquote fiscali con un abbassamento al 15% della tassazione sulle imprese domestiche.
Impatti negativi per molte piccole imprese potrebbero invece provenire dalla stretta sull’immigrazione che potrebbe sottrarre a molte attività un bacino di forza lavoro spesso indispensabile.
Sul fronte della deregulation però il General Equilibrium Model della Tax Foundation ha stimato nei mesi scorsi che le proposte fiscale di Donald Trump potrebbero aumentare il Pil americano dello 0,8% nel lungo termine.
Non mancano però anche i rischi su questo fronte con il deficit decennale che potrebbe crescere tra i 2,5 e i 3 trilioni di dollari proiettando il debito/Pil fra il 217% e il 223% circa nel 2065.