Treasury in riassestamento, mentre Wall Street si ricompone
pubblicato:Le vendite sui titoli di Stato Usa sono sicuramente una delle ragioni maggiori della giravolta di Trump. Si diffondono le interpretazioni, permane un senso di incertezza

Un’altra seduta vivace quella odierna dei mercati. Tutti i maggiori indici azionari europei registrano un rimbalzo importante dopo il diluvio di vendite delle ultime giornate di contrattazioni tra dazi, contromisure, scadenze e l’improvvisa inversione a U di Donald Trump di ieri sera.
Dazi in pausa per 90 giorni, si rimane al 10%, con l’eccezione della Cina, che invece ha osato rispondere e si becca un 125% immediato di imposte sulle importazioni negli Stati Uniti.
Wall Street invece ripiega. In queste ore tutti gli indici azionari di New York segnano pesanti ribassi: S&P 500 -2,46%, Nasdaq -3,31% e Dow Jones -2,02%
Va detto, però, che ieri la piazza finanziaria più importante del mondo aveva già festeggiato con entusiasmo la pausa sui dazi con balzi del Dow Jones del 7,87%, dell'S&P 500 del 9,52% e del Nasdaq Composite del 12,16%
Insomma il riassestamento di oggi potrebbe essere fisiologico. Ma intanto il mercato cerca di restituire una logica alle contraddizioni lampanti del Presidente.
Dazi, le ragioni della pausa nel Treasury?
La vulgata cerca altrove. Nel contiguo mercato dei titoli di Stato Usa che sembra aver fatto la differenza nel mix umorale di Trump. Quando i rendimenti sono schizzati vicino al 4,5% la pressione del mercato sulla Casa Bianca è inevitabilmente cresciuta.
I titoli di Stato, specialmente quelli degli Stati Uniti, sono di solito considerati un “safe haven”, un porto sicuro in caso di tempesta dei mercati azionari. Succede anche in Europa, specialmente con i Bund tedeschi.
Ma negli ultimi giorni i moli di questo porto in America sembravano sgretolarsi, con i prezzi che iniziavano a scendere e i rendimenti che salivano.
Un premio al rischio maggiore significa un costo del debito maggiore per lo Stato americano che è già alle prese con un budget da tempo fuori controllo e sta cercando nei modi meno ortodossi possibili di fare cassa, per esempio con i dazi, ma anche con il taglio dei dipendenti pubblici avviato da Musk.
In realtà bisogna guardare più da vicino la politica interna degli Stati Uniti per comprendere una pressione non secondaria giunta nelle ultime ore sulla presidenza. Mercoledì notte Mike Johnson, lo speaker repubblicano della Camera aveva annunciato che non avrebbe votato il piano di budget Usa già passato al Senato perché un numero di senatori non ne era soddisfatto. Il governo è andato sotto, si sarebbe detto in Italia. Di certo i numeri sono di un altro pianeta.
Il piano passato al Senato prevede tagli delle tasse per 4.500 miliardi di dollari, ma alla Camera i numeri si sono un po' ribaltati, perché si sono iniziati a cercare maggiori tagli della spesa. Da 4 miliardi di tagli al Senato si è passati così a un piano di taglio dei costi da almeno 1,5 trilioni di dollari. Un intervento certamente più 'divisivo'.
Per il 2025 le previsioni USA sono di un deficit fiscale di 1,9 trilioni di dollari pari al 6,2% del Pil americano e in qualche maniera bisognerà riassestare l'erario. E nel mezzo bisogna inserire le ambizioni di Trump a un trilione di dollari per il Pentagono... Ecco perché il costo del debito pubblico Usa può acquistare tanto peso nelle decisioni della Casa Bianca.
Debito Usa, le vie della Seta
Il retropensiero di Wall Street torna comunque al braccio di ferro con la Cina, con circa 760 miliardi di dollari di titoli di Stato USA è il maggiore proprietario del debito pubblico statunitense dopo il Giappone (che ha titoli USA di 1.079 miliardi). Fra i grandi proprietari del debito USA si contano poi il Regno Unito (740 mld), il Lussemburgo (409 mld divisi tra le società con sede nel paradiso fiscale del paese fondatore), ma anche Canada (350 mld), Francia (335 mld). Una lista dei creditori che potrebbe essersi fatta sentire nei giorni scorsi con vendite tanto massicce da far cadere i prezzi dei titoli e farne crescere i rendimenti. Non c’è visibilità su questo, anche se questa lettura circola molto a Wall Street in queste ore.
Sui movimenti anomali dei mercati del debito USA un altro indicatore di mercato ha lanciato l’allarme. Si chiama Move Index ed è stato definito una sorta di VIX dei bond, come a dire un indicatore della volatilità dei mercati obbligazionari che comprendono ovviamente i titoli di Stato USA. Bene anche l’indice Move dal 28 marzo in poi ha registrato un’impennata notevole toccando livelli che non vedeva da due anni, da quando c’era stata la crisi delle banche regionali negli Stati Uniti.
Adesso la situazione sembra più tranquilla. Il rendimento del Treasury a 10 anni segna un calo di 4 punti base a un più accettabile 4,31% e su tutta la curva dei rendimenti si registrano stabilizzazioni mentre le interpretazioni sulla svolta di Trump fioriscono. Dalle pressioni di Wall Street alla calcolata strategia negoziale fatta di pressioni esorbitanti e rilassamenti improvvisi.
Mentre l’azionario ripiega dopo il rimbalzo di ieri e i mercati del debito pubblico Usa si riassestano, tra gli operatori, però, rimane qualcosa di amaro, come l’idea che gli scogli nell’immediato siano stati soltanto schivati, mentre le acque rimangono agitate e la rotta, la rotta, appare sempre più confusa.