Dollaro in crisi, il mondo perde fiducia nell’America
pubblicato:Il biglietto verde ai minimi degli ultimi tre anni. Cresce la sfiducia negli asset a stelle e strisce e la guerra commerciale con la Cina non aiuta

L’euro guadagna ancora terreno sul dollaro. Anche in chiusura di ottava la moneta unica segna un balzo dell’1,64% sul biglietto verde e con quell’allungo a 1,1475 l’EUR/USD torna su livelli che non vedeva dal 2022. In queste ore l’euro si apprezza un po’ su tutti: guadagna lo 0,55% sulla sterlina e lo 0,47% sullo yen. Sul franco svizzero la nostra moneta segna un rialzo dello 0,9%, ma in questo caso è un rimbalzo dai pericolosi test di 0,92 per il cambio EUR/CHF. Il dollar index, che pesa il biglietto verde sulle altre maggiori valute (a partire dall’euro) è tornato anch’esso ai livelli del 2022.
Al Financial Times Francesco Pesole, FX strategist di ING commenta: “La questione di una potenziale crisi di fiducia del dollaro ha ottenuto una risposta definitiva”.
Dollaro debole, lo vuole anche Trump?
Dalla fine di febbraio a oggi l’euro ha guadagnato quasi il 10% sul dollaro e questa è una dinamica che piace a Trump, che vuole vendere quante più merci made in Usa in giro per il mondo e gradisce quindi un biglietto verde debole. Ma il mercato si spinge oltre.
Non è chiaro se Trump voglia che dollaro smetta di essere la valuta rifugio del mondo, ma le pressioni in tal senso crescono senza dubbio.
L’esempio tipico che circola sul mercato è l’oro, che ha registrato un balzo di oltre il 60% oltre i 3.000 dollari l’oncia: è l’asset perfetto per una differenziazione delle valute strategiche delle banche centrali e il suo costante, poderoso apprezzamento dimostra che il mondo si fida sempre meno di Washington e percorre strade alternative. In una parola dedollarizzazione, con quel che ne consegue.
Dollaro debole, alcune opportunità per l'euro
A partire dall’euro. Circa il 70% delle transazioni globali oggi avviene in dollari, il biglietto verde è il perno (quasi) indiscusso della finanza globale, ma se il debito pubblico statunitense esplode e le politiche degli States si fanno sempre più inaffidabili e contradditorie, il mondo sonda le alternative e l’euro si candidata a una posizione di maggiore rilevanza nel panorama mondiale.
Il Bund tedesco, nonostante tutto, mantiene il suo standing di bene rifugio.
I grandi piani di investimento europei in infrastrutture e difesa regalano prospettive (ma anche debito) e pure negli Stati Uniti c’è chi pensa che un dollaro debole sia il prezzo da pagare per la reindustrializzazione.
Resta un panorama carico di contraddizioni. C’è chi pensa che i dazi Usa abbiano delle conseguenze inflazionistiche inevitabili e che quindi la Fed dovrà tenere i tassi elevati per contrastare il rialzo dei prezzi e difendere i consumatori americani. In questo scenario il dollaro dovrebbe apprezzarsi, ma così non è.
Secondo diversi analisti i tagli selvaggi del DOGE all’amministrazione pubblica Usa, i calcoli rudimentali che hanno portato alla definizione dei dazi, le difficoltà del bilancio pubblico statunitense sono tutti fattori che minano la fiducia degli istituzionali stranieri nelle attività americane.
Già nel 2018 la Russia ha cominciato a differenziare riserve dal dollaro e in un decennio la quota del dollaro nelle riserve valutarie è scesa su minimi che non vedeva dall’avvento dell’euro. Non è neanche certo che il sostegno della guerra commerciale Usa non porti a ulteriori indebolimenti del dollaro. Un recente report di Goldman Sachs lo riteneva ancora sopravvalutato del 20%
Dollaro debole, si rischia un shock
Per i mercati globali il passaggio a un sistema meno dollaro-centrico rischia comunque di essere uno shock, a partire dai temi della liquidità.
Anche un eccessivo rafforzamento dell’euro potrebbe diventare un problema per la Banca centrale europea. Si pagherebbe meno l’energia, ma si farebbe più fatica a vendere all’estero e certi effetti della politica monetaria espansiva si perderebbero.
Se l’impatto dei dazi sui margini delle imprese e sui salari reali dei consumatori USA sarà potente, come si teme, allora anche il pilastro del dollaro forte al centro della finanza globale potrebbe erodersi.
Intanto la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina giunge al parossismo, con dazi Usa al 145% e dazi cinesi al 125% Risposte e ripicche che hanno portato sfiducia negli operatori che hanno venduto con forza il petrolio. Se queste tensioni persisteranno e i dazi rimarranno così elevati il volume mondiale degli scambi potrebbe crollare, le rotte commerciali potrebbero cambiare completamente e ne risentirebbero sia la crescita mondiale, che la domanda di petrolio greggio.
Un clima insomma che alimenta la sfiducia e per ora anche il dollaro paga dazio.