TIM, il punto sul gruppo dopo la vendita della rete
pubblicato:Il titolo resta debole, tornano le ipotesi di spezzatino e intanto un eventuale fallimento di Open Fiber potrebbe far risparmiare a KKR miliardi di earn-out. Ecco cosa succede e cosa deve ancora accadere
Anche settembre comincia male per TIM, il titolo ordinario annaspa ancora a Piazza Affari e segna un -1,3% a 23,61 centesimi che valorizza l’intera società circa 5,19 miliardi di euro, comprese le risparmio che coprono 1,5 miliardi di euro di market cap e perdono stamane l’1,06% tornando a quota 26,19 centesimi.
Due analisi spuntate stamane rispettivamente su Affari&Finanza de la Repubblica e su L’Economia del Corriere della Sera ripuntano la luce su TIM dopo la cessione della rete a KKR nei tempi previsti e il mancato recupero del titolo a Piazza Affari mentre tornano le ipotesi di spezzatino della nuova TIM senza la rete.
TIM, l'azione resta sotto pressione e i dubbi si moltiplicano
Il nodo rimane quello dei prezzi di Borsa che non si sono mai ripresi del tutto dall’affondo dello scorso 3 luglio, quando volumi impetuosi di vendita precipitarono i corsi delle ordinarie da 27,42 a 21,18 centesimi.
Non è bastata neanche la promozione di S&P a BB con outlook stabile. Gli investitori restano delusi, anche se ormai da anni TIM è un titolo altamente speculativo e anche l’incertezza persistente su alcuni dossier non favorisce il consolidamento dei prezzi.
Come riporta Affari&Finanza, le incognite sono miliardarie.
KKR ha comprato la rete fissa Netco da TIM per 18,8 miliardi di euro. Questo ha permesso a TIM di ridurre pro-forma l’indebitamento finanziario netto after lease di circa 13,4 miliardi di euro (con aggiustamenti e costi di separazione si sale a un impatto netto positivo per TIM di 13,8 mld) portandolo da 21,5 a 8,1 miliardi di euro.
L’acquisizione della rete fissa di TIM che è stata accompagnata da un Master Agreement di 15 anni non del tutto divulgato al mercato potrebbe lievitare per il fondo KKR a 22 miliardi di euro.
In particolare KKR potrebbe dover riconoscere earn-out fino a 2,5 miliardi di euro a TIM se entro 30 mesi dal closing dello scorso 1° luglio 2024 si verificheranno le nozze con Open Fiber e saranno introdotte alcune modifiche regolamentare con benefici a favore di Netco. Fra le condizioni per l’esborso miliardario che ovviamente si rifletterebbe sulle azioni di TIM c’è anche il varo entro la fine del 2025 di incentivi di settore che possano comportare il pagamento a favore di TIM di un importo massimo di 400 milioni di euro.
Open Fiber a rischio e anche TIM trema
Ma proprio il dossier Open Fiber, la società della fibra controllata al 60% da CDP e al 40% da Macquarie che sta portando la fibra ottica nelle aree bianche (a fallimento di mercato) e grigie (a basso ritorno), è caldissimo ancora alla fine di agosto. Il gruppo è da tempo in profonda crisi, a rischio fallimento perfino.
E ovviamente KKR sotto sotto gongola, perché se entro trenta mesi, ossia entro la fine del 2026, non si realizzano le condizioni previste potrebbe risparmiare miliardi. Anzi, c’è chi si spinge a ipotizzare che KKR potrebbe addirittura attendere il fallimento eventuale di Open Fiber per acquistarla a sconto e realizzare così in casa una società integrata nazionale della fibra ottica italiana, magari con il passo successivo di una quotazione che valorizzerebbe i corposi investimenti fatti fin qui.
Ovviamente si tratterebbe di uno scenario inquietante per il governo italiano che sul ticket cessione della rete di TIM e fusione con Open Fiber ha messo (oltre alla faccia) miliardi di euro tramite gli investimenti di CDP in TIM e nella stessa OF.
Il golden power è sicuramente un potenziale diritto di veto formidabile, ma il nodo reale resta industriale, anche per Palazzo Chigi, che oltre al capitale politico, dovrà salvare quello economico investito in Open Fiber finora.
La società dà segni di vivacità sul giro d’affari con il balzo dei ricavi 2023 del 24% a 582 milioni di euro, ma le perdite da 285 milioni di euro rischiano di bruciare tutto il patrimonio e la posizione finanziaria netta volata a un saldo negativo da 5,5 miliardi di euro dopo investimenti da 1,6 miliardi hanno portato a un braccio di ferro con le banche.
Bisogna rifinanziare con gli istituti di credito un project financing da 7,2 miliardi entro ottobre o, riporta la Repubblica, Open Fiber rischia di fallire. Per il via libera al project financing serve però anche la conclusione positiva di una consultazione pubblica per il ribilanciamento della concessione nelle aree grigie finanziate dal PNRR.
Un rischio fuori dal bilancio gestibile dall’ad di TIM Pietro Labriola, ma essenziale in prospettiva anche per quel che resta di TIM dopo la vendita della rete.
TIM, la complicata uscita di Vivendi
E intanto si attende la cessione di Sparkle e si spera in un ritorno all’utile nell’ambito di un piano industriale Free to run cui il mercato non ha concesso troppo credito. Se si tornasse al profitto le azioni di risparmio sarebbero un affare interessante, ma come visto le incognite sono molte.
Né è da escludere l’ipotesi di spezzatino di TIM in futuro.
Vivendi vorrebbe almeno 2 miliardi per il suo 23,75%, ma vorrebbe vendere le quote in un colpo solo e il mercato italiano e internazionale non sembra al momento esprimere investitori di questa taglia su questa operazione, anche se poi i rumors su tappe al 6-7% di Tim in vista della successiva conquista del resto del capitale si susseguono. La vendita dei due terzi di TIM Brasil da sola potrebbe fruttare 4,6 miliardi di euro contro i 5,2 miliardi di euro di capitalizzazione di TIM oggi e anche TIM Consumer (i servizi in Italia) e l’Enterprise potrebbero trovare acquirenti. Potrebbe anche ridursi il numero di operatori in Italia se entrasse Iliad in partita, per esempio, anche se già l’Antitrust nazionale deve digerire Fastweb/Vodafone.
Tutte ipotesi verosimili sul piano finanziario, ma difficili sul piano politico, anche per via dei 17 mila lavoratori di TIM e la fiera protesta dei sindacati contro ogni ipotesi di spezzatino.
Di certo anche con la vendite della rete, TIM rimane un dossier caldo e carico di incertezze.