TIM, un altro recupero per la società al centro di mille dossier
pubblicato:Un penny stock per cuori forti, l'azione balla ancora a Milano. Ceduti la rete e Sparkle, Poste è entrata nel capitale e Vivendi ha avviato il disimpegno. Lo scenario però rimane mutevole: il matrimonio sarà con Poste o con Iliad?

TIM non è mai stata un’azione per cuori delicati. Il titolo della maggiore compagnia italiana di telecomunicazioni, che sta attraversando una revisione profonda del business dopo la vendita della rete fissa a KKR e delle infrastrutture internazionali di Sparkle a MEF e Asterion, è sull’altalena da sempre, con una netta prevalenza storica delle vendite sulle azioni e uno storico problema di debito.
Tutti problemi che lo scorporo della rete e di Sparkle dovrebbero avere sistemato in maniera sostanziale, ma che ancora non consentono al gruppo di chiudere in utile un bilancio.
TIM, aria di consolidamento e la questione europea dei concorrenti cinesi e statunitensi
A queste questioni storiche, negli ultimi anni si è aggiunto un problema di concorrenza che l’ingresso di Iliad sul mercato italiano, rinfocolando la concorrenza sui prezzi, ha esacerbato portando il management di TIM a ripetuti appelli alla necessità di consolidamento del mercato, ossia di riduzione degli operatori con l’obiettivo di sollevare i prezzi della telefonia mobile e fissa, ritenuti, a torto o a ragione, tra i più bassi d’Europa.
E’ un problema annoso e continentale: tutta l’industria europea delle telecomunicazioni lamenta da tempo una mancanza di competitività rispetto ai grandi player statunitensi e un eccesso di concorrenza che penalizzerebbe il giro d’affari e gli investimenti delle compagnie in innovazione.
È un problema che attraversa tutta la filiera: sul tema si è espresso anche il rapporto Draghi: “I settori degli apparati di telecomunicazione e del software sono basilari per cyber-resilienza europea, la sicurezza delle infrastrutture strategiche, la protezione dei dati dei cittadini e delle imprese. I campioni europei di questo settore sono penalizzati dalla perdita di accesso al mercato cinese, dalla fiera competizione cinese nei mercati emergenti e dai minori livelli di investimento in Europa.
I maggiori vendor europei sono ben posizionati nel settore degli apparati tlc. Nel 2023 Huawei aveva una quota di mercato del 30%, seguita Nokia ed Ericsson, ciascuna con il 16%, da ZTE [cinese] al 10%, da Cisco, Ciena e Samsung”. Pericoli vengono dalla virtualizzazione delle reti e dallo sviluppo delle soluzioni Open-RAN che potrebbero favorire la concorrenza extra-europea.
Il rapporto del Toolbox for 5G Security ha evidenziato che 14 Paesi membri non hanno restrizioni su fornitori critici nel settore o altre misure chiave di sicurezza. Segnatamente, andando a verificare, si scopre che il gruppo di collaborazione UE NIS ha definito fornitori ad alto rischio Huawei e ZTE e le decisioni volte a limitarne l’accesso al mercato europeo sarebbero conformi al pacchetto di strumenti sul 5G.
I due big cinesi sono stati oggetto di “decisioni e raccomandazioni pubbliche in alcuni Stati membri, sulla base di preoccupazioni per la sicurezza nazionale, comprese valutazioni da parte dei servizi di intelligence di tali Stati membri. In altri Stati membri, sulla base delle relative valutazioni, sono state prese in via riservata decisioni volte a limitare l'accesso di determinati fornitori alle reti 5G, o a escluderli da tali reti. Le conclusioni cui sono giunti tali Stati membri sono simili a quelle dell'analisi delle autorità competenti di alcuni paesi terzi”.
Ma a parte la questione sicurezza nazionale, che poi il campo di battaglia su cui si confrontano in ambito tecnologico gli Stati Uniti e la Cina, per il mercato europeo dei rivenditori al dettaglio di servizi di telecomunicazione ci sono altre questioni rilevanti.
Anche la connettività satellitare è critica per la sovranità europea e le esigenze di comunicazione di cittadini, imprese e governi. Ma in questo caso sono i grandi player statunitensi ad essere in posizione di probabile predominio.
La tecnologia prevalente a orbita media (MEO) e a orbita geostazionaria equatoriale (GEO) di operatori privati come SES, EutelSAT e Hispasat – sottolinea ancora il rapporto Draghi - non è in grado di fornire velocità competitive con la tecnolocia di costellazioni di satelliti a orbita bassa (LEO) di Starlink che riesce a fornire servizi a banda larga con velocità di connessione fino a 100 Mbps anche in aree remote o rurali.
Ma il predominio della tecnologia Usa arriva molto più vicino, fino ai software dei nostri telefonini dove dominano i sistemi operativi di Google ed Apple: nel 2023 la Android di Google aveva circa il 66% del mercato e l’iOS di Apple il rimanente 34%.
Anche gli smartphone fisici registrano una larga assenza europea: Apple ha il 33% del mercato, la sudcoreana Samsung il 31%, Xiaomi il 15%.
Una debacle, eppure è un settore e un mercato in pressante integrazione verticale con i “nuovi” servizi del cloud e dell’intelligenza artificiale in crescente integrazione con la base fisica dei data center di elaborazione e storage e delle smart grid di telecomunicazione via cavo o via etere.
TIM a un bivio
Questo dovrebbe essere l’ambito d’elezione di TIM, ma non è chiaro se, ceduti la rete e Sparkle, la società proseguirà per la propria strada o, sempre più probabilmente, si sposerà con Poste Italiane o con Iliad per partecipare al consolidamento già in atto nel mercato italiano.
Dunque Iliad ha perso l’occasione di comprare Vodafone Italia che è alla fine è stata comprata dalla Swisscom di Fastweb per ben 8 miliardi di euro. Wind Tre ha ormai creato un brand unico dal 2020 e il suo solo azionista è ufficialmente CK Hutchinson dal 2018.
Fra i big della bolletta telefonica alla fine rimangono in pochi oltre TIM e Iliad e quindi non stupisce che le pressioni per le nozze siano crescenti. Ma come sempre TIM ha anche un portato di complicazioni e intersezioni notevole.
Per esempio c’è un potenziale earn-out da ben 2,5 miliardi di euro a favore di TIM se si completerà la fusione tra FiberCop (la ex rete fissa di TIM) e OpenFiber entro il dicembre 2026: un conto alla rovescia per un incasso che cambierebbe il bilancio della società guidata da Pietro Labriola.
Anche perché TIM ha chiuso il 2024 con una perdita per la capogruppo da ben 610 milioni di euro, molto meno degli oltre 1,44 miliardi del rosso del 2023, ma comunque una botta da 3 centesimi ad azione, ossia circa un decimo dei valori di borsa del titolo. Ogni centesimo per il titolo TIM è prezioso, visto che da tempo si tratta di una penny stock, anche in questa fase di grandi manovre nell’azionariato.
TIM, il riassetto dei soci
Lo scorso 15 febbraio infatti Poste Italiane ha comprato il 9,81% di TIM da CDP (che è il socio di riferimento anche di Poste con il 35% del capitale) e gli ha dato in cambio il 3,78% del capitale e un concambio - pare – inferiore ai 180 milioni di euro. Un riassetto che permette a CDP di consolidarsi al 18,3% della critica società dei pagamenti Nexi e al contempo instaura un percorso industriale di Poste in TIM che potrebbe approdare a una fusione.
Lo stesso ad di TIM, Pietro Labriola, ha confermato che dal punto di vista industriale gli unici due possibili obiettivi per un’attività di M&A di TIM sono Iliad o Poste. Insomma dovrebbero essere nozze a breve per TIM e un altro tassello nei giorni scorsi si è allineato.
L’ingombrante socio francese Vivendi, che in TIM ha perso miliardi, ha collocato il 5,4% circa del capitale sul mercato riducendosi al 19,37% del capitale ordinario (e dei diritti di voto) di TIM e al 13,87% circa del capitale complessivo (che conta i circa 6 milioni di titoli risparmio quotati che affiancano circa 15 milioni di azioni ordinarie).
La cessione di Vivendi ha valore al contempo politico, finanziario e industriale. Il socio francese si è infatti opposto strenuamente in tutte le sedi alla vendita della rete di TIM, ma con questa cessione sembra accettare alla fine un corso delle cose che si è comunque definito.
Oggi la rete fissa di TIM, che si chiama Fibercop e ha un misterioso master agreement in essere con la stessa Telecom Italia, è per il 37,8% di KKR, per il 17,5% del fondo canadese CPPIB, per un alto 17,5% del fondo Adia di Abu Dhabi, per il 16% del Ministero dell’Economia e per l’11,2% del fondo italiano F2i.
Questa nuova società che ha in pancia 25 milioni di chilometri di fibra ottica, occupa 20 mila persone, è assegnataria di 2,3 miliardi di euro del PNRR. Soprattutto adotta un modello wholesale, all’ingrosso, ossia vende la connessione in fibra ai vari operatori, come Open Fiber, per questo le nozze sembrano naturali, anche se Open Fiber ha non pochi problemi finanziari e nel 2024 ha perso 364 milioni di euro, non come TIM, ma insomma… Come detto se le nozze si celebreranno entro due anni a TIM andranno fino a due miliardi e mezzo, quindi gli interessi in gioco sono poderosi.
Tornando a TIM c’è poi da registrare l’attivismo di CVC, che sarebbe interessato alle quote di Vivendi e, secondo indiscrezioni di qualche mese fa, avrebbe in mente uno spezzatino di TIM (la cessione dei redditizi asset del Brasile, la vendita di TIM Enterprise a Maticmind e altro ancora…).
Da allora però - come visto- lo scenario è cambiato (oltretutto il governo è sempre stato molto freddo sulle ipotesi di ulteriori spezzatini di TIM dopo la vendita della rete e di Sparkle) e più che un ulteriore spezzatino si prepara adesso un arrosto.
Gli ingredienti non sono chiari, sarà Poste? Sarà Iliad? Lavori in corso, ma facilitati dall’ultima uscita di Vivendi… e intanto il titolo di TIM recupera terreno. Dai massimi del 13 febbraio (a 31,73 centesimi) aveva perso il 20% in 14 sedute appena, poi è rimbalzato e ora a ha recuperato quasi tutto e oggi ha toccato un massimo a 31,52 e a metà seduta guadagna il 3,3% a 31,03.
Davvero un titolo per cuori forti.