Tech, ancora in calo i big europei del chip in attesa dei dati di Nvidia

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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Semiconduttori in rotta, le restrizioni USA fanno paura e non è solo una questione di dazi. Tremano anche i giganti UE come STM, Infineon e ASML. In mano a Trump filiere strategiche globali e sfide epocali, come quella di Intel o della manifattura Usa di processori. Ecco le ultime

Tech, ancora in calo i big europei del chip in attesa dei dati di Nvidia

Un’altra seduta terribile per i chip europei quella di oggi. Secondo Bloomberg Trump sta per inasprire i già stringenti vincoli sulle vendite di semiconduttori Usa alla Cina che l’amministrazione Biden ha portato avanti per dichiarate istanze di sicurezza nazionale e per l’implicita volontà di difendere il traballante dominio tecnologico statunitense.

Per Nvidia, il colosso dei microprocessori dell’intelligenza artificiale che domani a mercato chiuso pubblicherà i dati del 2024 che saranno come sempre un driver per tutta la tecnologia globale, non è proprio un buon viatico.

La ricerca di un equilibrio nelle delicate catene di fornitura globali non è proprio il primo pilastro della nuova politica di The Donald. Ma nuovi vincoli USA tenderanno inevitabilmente a condizionare tutto il mercato e anche i produttori europei.

USA, sul tech l'amministrazione Trump preme sui grandi produttori internazionali per frenare la Cina

Segnatamente, secondo i rumors di Reuters, alcuni funzionari Usa avrebbero già incontrato Tokyo Electron, il colosso dei chip giapponesi che è anche la terza compagnia del Nikkei con circa 114,6 miliardi di dollari di capitalizzazione, e l’olandese ASML, uno dei maggiori produttori di macchinari per la produzione di microprocessori del mondo.

Si cerca in poche parole di fare terra bruciata intorno alla Repubblica Popolare, spingendosi fino a vincoli sulle manutenzioni. Né sarebbe il primo caso anche un gigante come ASML si piega alla volontà di Washington, un po’ per un calcolo un po’ per necessità.  

Dei vincoli sarebbero già stati imposti alle californiane Lam Research, KLA ed Applied Materials e gli obiettivi sarebbero affini, anche se poi quando si parla di società estere diventa più complicato, soprattutto perché l’Europa in questa fase ha tutto l’interesse a rafforzare i legami commerciali e tecnologici con la Cina.

Né per Nvidia, che produce quasi tutti i suoi chip in impianti della taiwanese TSMC ha mai gioito delle pressioni di Washington su questo fronte.

Usa, big tech alla corte di Trump

Intanto tutti fanno la fila per la corte del presidente. Tim Cook ieri ha annunciato che Apple investirà più di 500 miliardi di dollari negli Stati Uniti in quattro anni, una parte andrà anche al megapolo di TSMC in Arizona “incoraggiato” da Biden con finanziamenti pubblici da 6,6 miliardi per tre stabilimenti.

D’altronde sempre ieri Microsoft ha annunciato il Majorana 1, una specie di prototipo dell’atteso computer quantistico che potrebbe ridisegnare un po’ tutto il panorama dell’elettronica globale.

Le big tech statunitensi sono in fila per dimostrare di essere l’eccellenza mondiale, come piace a Trump, nonostante la stoccata di DeepSeek, che nessuno dimentica.

In gioco c’è di tutto, dalla possibilità di un canale preferenziale per il mercato statunitense, al riparo dalle tempeste dei dazi globali, alla salvaguardia da possibili spezzatini che l’Antitrust potrebbe decidere a un certo punto, fino a eventuali finanziamenti pubblici nonostante la stretta sui conti che Trump in qualche modo dovrà fare.

Samsung poche settimane fa ha già avvertito i mercati che le strette Usa sui chip, non ultime quelle dell’ultimissima amministrazione Biden sui chip HBM, dove SK hynix le ha sottratto quote di produzione per queste memorie usate per le soluzioni per i server di Nvidia, avrebbero rallentato anche questo primo trimestre. La debolezza del colosso sudcoreano Samsung che è anche il secondo produttore mondiale di microprocessori è stata causata anche dalla crescita di rivali cinesi come CXMT, mentre anche SK Hynix, connazionale di Samsung, subiva qualche scossone dal timore che gli investimenti nei server avessero raggiunto il picco.

USA, per il tech sfida gigantesca, basti pensare al caso Intel

Le partite sono insomma tutte gigantesche, anche se ci si limita agli Stati Uniti, basti pensare ai rumors su una possibile scissione di Intel, che per provare a fare i chip in grande negli Stati Uniti ha rischiato il fallimento e adesso potrebbe dover vendere una parte del business a Broadcom o alla stessa TSMC.

Trump verosimilmente vorrà che si investa nelle fabbriche di Intel (l’ingresso di investitori terzi in questo business sembra ormai una necessità strategica), ma non permetterà che diventino straniere e pretenderà assetti proprietari rigorosamente Usa, come si è visto (o si vedrà) nel caso di Nippon Steel – US Steel.

Per ora sono rumors, anche se i dazi del 25% con possibili incrementi in corso d’anno sui chip importati negli Stati Uniti sono nel menù e per gli Stati Uniti significherebbe rivedere le importazioni di qualcosa come 139 miliardi di dollari di elettronica importata dall’estero ogni anno, di cui il 27% dalla Taiwan di TSMC (36,29 miliardi di dollari l’anno scorso dall’isola secondo il Dipartimento del Commercio Usa).

Il deficit commerciale “elettronico” di Washington è di circa 69 miliardi, visto che l’anno scorso gli Usa hanno esportato chip per 70 miliardi di dollari nel mondo, ma vista l’elevata integrazione delle filiere in cui ormai spesso i microprocessori sono delle commodity, non sarà facile sforbiciare. D'altronde, come molti sottolineano, nei calcoli della politica commerciale trumpiana manca si conteggiano spesso soltanto i beni "fisici" e non i servizi, che nella tecnologia sono fondamentali e restringerebbero in maniera importante i deficit denunciati da Washington. Un addendo non da poco sui cui Europa e Cina, tra gli altri, potrebbero premere in caso di retaliation. Anche se con nette difficoltà.

Comunque tutto rischia di diventare più difficile per i produttori mondiali di semiconduttori.

Tutti sperano in uno sconto, da Apple che temi i dazi del 10% dalla Cina dove produce una buona fetta degli iPhone (e infatti ha promesso mezzo trilione di investimenti USA) alla stessa Tesla, che come noto ha il maggiore impianto mondiale nella Repubblica Popolare. Anche General Motors o Ford temono impatti miliardari dalle strette sui vicini Messico e Canada, e visto che le auto sono tra i settori che ormai consumano più microprocessori, ridiventa un'altra partita tech.

Tech, STM in calo con il settore

C’è poi chi come STMicroelectronics produce sia per Apple, che per Tesla e rischia di essere la classica erba che soffre quando due elefanti si scontrano.

Per STMicroelectronics le Americhe sono il primo mercato, circa il 40% del fatturato l’anno scorso, questo se si calcola l’origine del cliente di STM, se invece si guarda ai mercati di consegna l’Asia Pacifico è al 59%.
In altre parole Apple e Tesla in buona compagnia di altri grandi player internazionali che producono in Cina o in Asia.

Gli intrecci sono davvero complicati e intanto tutti cercano di ottenere un accordo, con promesse miliardarie e sotto la pressione di una presidenza che sta certamente con le mani in mano, ma ha già fatto capire di potere anche negoziare.

Lo spera sicuramente anche Nvidia, che ha molto da perdere nel tentativo di spostare la produzione negli Stati Uniti, lo sperano molti big europei che anche oggi trattano in rosso.

ASML (-2,23%), Infineon (-1,05%), Be Semiconductor (-1,45%), STM (-2,08%). La sensazione è che ci perdano tutti. Infatti anche Intel cede lo 0,21% in pre-market ma Nvidia guadagna lo 0,87% in attesa dell'Opening Bell. Dopo i cali subiti da inizio anno tutti aspettano i dati di domani sera della società guidata da Jens Huang, l'ultimo dei grandi del tech Usa a incontrare Trump, ovviamente per parlare anche di Cina, restrizioni commerciali e dazi. Riuscirà a riportare il sole nel settore dei microprocessori?