Stellantis, i numeri che Tavares lascia

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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Il CEO lascia subito il gruppo, transizione fino a metà anno prossimo, circolano già i nomi di alcuni papabili, ma quel che sembra mancare davvero è una strategia solida che parli ai consumatori

Stellantis, i numeri che Tavares lascia

Il re è morto, viva il re. E’ difficile spolverare questo cinico proverbio popolare per il caso di Stellantis. Le dimissioni di Carlos Tavares non avvengono all’insegna della continuità gestionale, ma lasciano piuttosto una delle maggiori case automobilistiche del mondo senza ricette per il futuro. Forse è nella mancanza di una chiara direzione gestionale, produttiva e aziendale che piuttosto si rischia la continuità.

Stellantis, a settembre i primi rumors, i papabili

Formalmente già da settembre era stata avviata la ricerca di un nuovo CEO per Stellantis, ma con una scadenza al 2026 che lasciava di fatto ampi margini operativi allo stesso Tavares, compresa la possibilità di una sua riconferma.

Dal 24 settembre a oggi però le cose non sono migliorate, anzi, la crisi si è fatta conclamata. Il gruppo ha infatti lanciato un profit warning rivedendo le stime e ha confermato di essere in crisi non soltanto in Europa, ma anche negli Stati Uniti, dove l’invenduto aveva già scosso i corsi del gruppo e ha richiesto forti misure.

Ora entro la metà del 2025 le redini tornano al socio John Elkann e alla cronaca finanziaria resta l'intercettazione dei rumors sui possibili nuovi amministratori delegati del gruppo. C'è chi parla di Luca De Meo, apprezzato CEO di Renault che porta con se (ma non necessariamente) anche la suggestione di una possibile fusione di Stellantis con Renault già in passato argomento di ipotesi e negoziati. C'è anche chi fa il nome di Olivier Francois l'amministratore delegato parigino attuale delle varie Fiat. C'è chi si spinge a Edouard Peugeot, finanziarie figlio di Robert Peugeot che controlla circa il 7% di Stellantis ed è vicepresidente dietro Elkann. Alfredo Altavilla purtroppo è appena andato alla cinese BYD in Europa. Sono comunque tutti nomi della prima ora, spesso già impegnati. Né è da sottovalutare la sfida che è stavolta enorme sia in Europa, che negli Stati Uniti.

USA, la crisi si conclama negli States

Gli Stati Uniti sono basilari per Stellantis, anche se molto diversi dal mercato europeo, su entrambi gli scenari il gruppo va male in questo periodo per volumi e per proventi. Ma è lampante che l'avvitamento della situazione precipitata nelle ultime settimane è partito dal problema degli stock negli Usa. E' un mercato fondamentale infatti.
Negli Stati Uniti nei 9 mesi FCA US LLC, la “ filiale” statunitense di Stellantis, ha venduto meno di 983 mila veicoli con un calo volumetrico del 17% sullo stesso periodo del 2023. Sono andati male i RAM P/U (-19% a 268.666 unità) e i Pro Master Van (-32% a 41 mila unità), male anche le Chrysler Pacifica (-18% a 92-386 unità), male i Dodge (-50% a 31.980 per il Charger; -30% a 28.874 unità per i Challenger. Le Jeep hanno visto un balzo in controtendenza del 18% le Compass (84.474 unità) e un calo di tutto il resto dal -12% delle Grand Cherokee (160.939) al -11% dei Wrangler (113.078 unità).
Estrapolando i ricavi dai factheet della terza trimestrale calcoliamo un crollo dei ricavi in Nordamerica del 32,81% a 50,78 miliardi di euro circa. Nel periodo è anche emerso il grosso problema delle scorte di invenduto presso i concessionari.

Stellantis, i numeri che Tavares lascia

Gli stock avevano raggiunto le 431 mila unità (quindi più di un terzo delle consegne totali del gruppo nei 9 mesi) e Stellantis ha dovuto varare un costoso piano di destocking, tagliando gli inventari a decine di migliaia di veicoli al mese con dei programmi di incentivazione su tutti i brand statunitensi. Quindi aumenteranno i costi e caleranno i margini in quest’ultima parte dell’anno su questo fronte.

Stellantis, in Europa fa spesso peggio degli altri

In Europa non è andata meglio: nell’Europa allargata si registra un calo dei volumi del 10% a 1,88 milioni di veicoli, il 10% in meno. I ricavi sono scesi del 15,4% a 42,45 miliardi di euro. Sull’Europa abbiamo dati più puntuali sui 10 mesi (gennaio-ottobre) dall’Acea. Nell’Unione Europea il cartello dei costruttori delle auto registra un calo del 6,9% a 1,5 milioni di auto, contro il +2,9% dei 2,36 milioni di auto vendute da tutto il gruppo Volkswagen e il -0,3% registrato da Renault (952 mila auto circa). Le uniche con volumi importanti che vanno davvero bene in termini di volumi sono le Seat (+11,5%) e le Skoda (+12,8%) del gruppo Volkswagen, poi gruppi asiatici come Toyota (+16,5%), Suzuki (+15,1%) o le Volvo (+24%), svedesi ma con il socio cinese forte Geely.

Tra le motorizzazioni in un mercato che in 10 mesi ha registrato un’asfittica crescita dello 0,7% balza il +19,8% delle ibride non plug-in (ossia mild hybrid e full hybrid) a quasi 2,7 milioni di auto nuove su un totale di 8,85 milioni, e il segno negativo di tutti gli altri dalle diesel (-10,8% in un anno) alle elettriche (–4,9%), alle ibride plug-in (-7,9%) alle benzina (-4,7%).
Se ne è accorta anche Stellantis che già tra gennaio e maggio registrava un aumento delle vendite di ibride del 41% nell’Europa a 30 e affermava di produrre delle ibride nel 70% degli stabilimenti europei.

Stellantis, il recente taglio delle stime

Ma quando si perde il 20-30% delle vendite c’è molto poco da fare, a parte ridurre le ambizioni e così il 30 settembre il gruppo ha ridotto la guidance 2024 sul margine del risultato operativo adjusted al range 5,5-7% dal precedente double digit. Per due terzi è un calo di margine collegato al taglio dei magazzini di invenduto in Nordamerica. Si tratta di un calo pesante, questo margine era del 14,5% nel primo semestre 2022, è ppi sceso al 14,4% nella prima metà del 2023 e al 12,8% nello scorso esercizio, ma il 6,25% di media della nuova previsione significherebbe meno della metà di due anni.

Anche la cassa ha subito a fine settembre, qualche giorno prima dei risultati del terzo trimestre, una sforbiciata dal “positive” all’ampia forchetta tra -5 e -10 miliardi di euro, un free cash flow industriale negativo importante che deriva sia dai minori margini del risultato operativo, che da un aumento del capitale circolante. Pochi giorni dopo si sarebbe appreso che i ricavi del gruppo nel terzo trimestre calavano del 27% a 33 miliardi di euro.

Stellantis, intanto il gruppo tagli posti di lavoro dappertutto da Luton a Detroit

Adesso a guidare la barca verrà un altro nocchiero e l’impresa si presenta già molto difficile. E’ stato nominato un comitato speciale del Consiglio che concluderà il processo di individuazione della nuova guida del gruppo “entro la prima metà del 2025”. Nel frattempo il potere passerà a un comitato esecutivo presieduto da John Elkann, presidente del gruppo e maggiore azionista tramite Exor con il 14,2% del capitale circa (i francesi però hanno anche un 6% circa del capitale tramite BPI France (la CDP francese).

La crisi politica e industriale in Italia difficilmente troverà in questo contesto le pronte risposte che i sindacati chiedono fin dallo sciopero dell’automotive dello scorso 18 ottobre, quando fu portata sul banco degli imputati la decrescente produzione italiana, prima che il governo tagliasse 4,6 miliardi di euro del fondo automotive italiano.

In queste ore i sindacati ribadiscono l’insoddisfazione per la politica industriale di Stellantis in Italia e la richiesta di investimenti strategici, dell’introduzione di una nuova piattaforma produttiva small, di nuovi modelli, di investimenti in ricerca e sviluppo. Chiedono ancora la conferma della giga-factory di Termoli, che si è arenata senza un chiaro perché. Attendono garanzie che non ci siano chiusure di stabilimenti e licenziamenti unilaterali, che avrebbero conseguenze devastanti per le famiglie e i territori. Fiom ha sottolineato l’avvio del presidio di Transnova fuori dallo stabilimento di Pomigliano, si tratta della società che movimenta le auto per Pomigliano, Melfi, Cassino e Mirafiori. Stellantis non ha rinnovato la commessa e sono a rischio 650 posti di lavoro.

La geografia della crisi è fatta di luoghi, anche lontani, che ospitano persone, lavoro. Per esempio Luton, uno stabilimento di camioncini elettrici per Vauxhall (la Opel britannica), Citroen, Peugeot e Fiat che dà lavoro a circa 1.100 persone. Nonostante il governo UK punti a revisionare lo ZEV mandate, una sorta di green deal britannico che prevede l’aumento della quota di veicoli a zero emissioni venduti al 22% del totale già l’anno prossimo, Stellantis, a quanto si apprende ha deciso di consolidare questa produzione di van elettrici nell’impianto di Ellesmere Port dove ha investito 50 milioni di sterline e punta a riallocare centinaia di lavoratori.

Stellantis, i numeri che Tavares lascia

Lo sanno a Mirafiori dove da oggi e fino al 17 dicembre sono sospese le attività produttive perché la domanda di 500 elettriche non è in linea con le attese.
Dopo la fine degli incentivi in Italia e in Germania, il gruppo intende investire 100 milioni di euro a Mirafiori per produrre la nuova ibrida tra il 2025 e il 2026 e migliorare le batterie.

Il timore che la concorrenza cinese sull’elettrico, nonostante dazi attesi tra il 17,4% e il 37,6% sia imbattibile rimane. Lo sanno anche Wolfsburg, nella sede storica della tedesca Volkswagen dove migliaia di uomini dell’IG Metall, la FIOM tedesca, chiedono garanzie contro il progetto di chiusura e/o vendita di 3 impianti nel Paese. I patti sindacali del 1994 sono già finiti, ma i sindacati, mentre il governo si contorce nella crisi politica che anticiperà le elezioni del 23 febbraio con un Natale carico di incertezze, chiedono una politica industriale del tutto nuova, dal taglio dei costi dell’energia anche grazie a un acceleratore sulle rinnovabili a una nuova fase di investimenti infrastrutture e nella digitalizzazione della pubblica amministrazione.

Hanno capito che il costo dell’energia è una variabile importante in quell’equazione che vede il costo del lavoro pesare soltanto il 16,1% del fatturato. Anche in Italia è un tema industriale rovente, ma politicamente meno frequentato.

Intanto l'impronta produttiva di Stellantis si restringe. Lo sanno bene anche a Detroit dove la stampa locale riporta di 400 licenziamenti nella logistica locale di Stellantis, che si aggiungono ai 1.100 licenziamenti dell’impianto delle Jeep Gladiator in Ohio, nel complesso di Toledo, e ai 2.450 lavoratori dell’impianto Warren Truck nel Michigan. I tempi recentissimi delle conquiste sindacali sui salari hanno già ceduto il posto a un percorso buio, senza molte ricette, se non i dazi oggi sul Messico, domani sulla Cina che pure su Stellantis peseranno più che per altri gruppi.

Ma se la politica non sembra riuscire a esprimere quelle risposte di filiera e di politica industriale che il comparto aspetta, anche le imprese, le multinazionali come Volkswagen e Stellantis sembrano ormai da mesi navigare a vista, senza una ricetta di futuro alla quale nel bene o nel male attaccarsi. Un Natale appunto, carico di incertezze.