FTAOnline

LU-VE, dopo un 2023 sfidante, il gruppo vede prospettive di crescita

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
8 min

Il Presidente e CEO Matteo Liberali ci racconta il business dello scambio termico, la crisi delle pompe di calore e le opportunità dei megatrend sui quali la società mantiene un posizionamento di rango globale

LU-VE, dopo un 2023 sfidante, il gruppo vede prospettive di crescita

Tabella dei Contenuti

Il bilancio 2023 è complesso già al primo sguardo: a ricavi complessivamente stabili a 617 milioni di euro (-0,2%) si affianca una crescita dell’EBITDA (+4,9% a 78,83 mln) e un incremento a doppia cifra dell’EBIT (+10,3% a 46,42 mln). L’utile netto, però, flette del 37,7% a 29,74 milioni di euro. Come è andata?Leggendo il vostro bilancio ho notato che l’anno scorso avete fatto ampio ricorso al magazzino, avevate aggiunto 20,4 milioni all’inventario nel 2022 e invece ne avete tolti 21,4 milioni nel 2023. Può sembrare un dettaglio, ma in pratica il balzo dei flussi da gestione operativa a 71,2 milioni viene da lì e in un periodo di forti scosse nella catena di approvvigionamento globale sembra una voce di rilievo. Come è andata?In effetti avete anche tagliato dell’11% il debito finanziario netto a 126 milioni di euro, mentre il patrimonio netto saliva a 229 milioni di euro e quindi il debt/equity scendeva ancora a 0,55. Avete anche proiettato la liquidità da 177 a 212 milioni di euro. Ma non sarete perfino troppo patrimonializzati? O state studiando qualche nuova acquisizione dopo quella di Refrion?Normative europee come quelle sulle case green e sui gas naturali da impiegare nel tempo al posto dei refrigeranti sintetici HFC modelleranno il futuro della vostra industria nel medio termine. Siete attrezzati?La vostra azione soffre, anche se avete annunciato un dividendo in crescita a 0,40 euro che ai corsi di adesso (22,85 euro) sconterebbe un dividend yield dell’1,75%. Dai massimi pre-dividendo dell’anno scorso il titolo è calato di oltre il 27%, né appare troppo scontato (P/E sui corsi attuali e utile 2023 a 17x circa, con un EV/EBITDA di 8x). È vero anche che Lu-Ve ha una capitalizzazione inferiore alle vendite e ha proposto un rinnovo del buyback. La società ritiene ingenerosi i corsi di Borsa dell’ultimo anno?

Al centro di un settore strategico per la transizione energetica come quello dello scambio termico, ossia dell’impiantistica per refrigerazione e raffrescamento per esempio, LU-VE Group è una “micro-multinazionale”, come ama definirla Matteo Liberali, Presidente, CEO e azionista di riferimento del colosso di scambiatori e pompe di calore di Uboldo, in provincia di Varese.

Un gigante poco noto ai non addetti al settore, che però fattura quasi 620 milioni di euro l’anno con circa 4.100 dipendenti e 20 stabilimenti in 9 Paesi del mondo, compresi Cina, India e Stati Uniti.

La classica nicchia di eccellenza (se di nicchia si può parlare con queste dimensioni) che vanta diversi primati mondiali ed europei e un percorso di crescita storica. Non tutti sanno, infatti, che LU-VE deriva il suo nome da Lucky Venture, da quando Iginio Liberali, padre dell’attuale Presidente, a 55 anni decise negli anni ’80 di acquistare con l’aiuto di alcuni fondi di venture capital la ex-Contardo, finita in mani americane e destinata alla cessione perché in crisi. Serviva un po’ di fortuna e così si mise la parola lucky nell’acronimo del nome.

E la fortuna è arrivata, perché oggi LU-VE è il secondo produttore di scambiatori di calore ad aria d’Europa e il terzo operatore mondiale del settore.

Nei banchi frigo dei supermercati e delle botteghe, nella logistica integrata della catena del freddo, negli impianti di raffreddamento dei processi industriali è molto facile trovare la tecnologia di LU-VE e non solamente in Italia, ma anche nei centri commerciali o nei banchi d’Europa e del Mondo.

Così chiediamo proprio al Presidente Matteo Liberali di raccontarci come è andato il 2023. Un anno particolare, dopo un periodo particolare: fra pandemia e frantumazione delle catene di approvvigionamento globale, tra inflazione dei costi ed evoluzione normativa, per LU-VE è stato carico di sfide come per molti altri settori.

Il bilancio 2023 è complesso già al primo sguardo: a ricavi complessivamente stabili a 617 milioni di euro (-0,2%) si affianca una crescita dell’EBITDA (+4,9% a 78,83 mln) e un incremento a doppia cifra dell’EBIT (+10,3% a 46,42 mln). L’utile netto, però, flette del 37,7% a 29,74 milioni di euro. Come è andata?

“Il 2023 è stato un anno di grandi cambiamenti di contesto e di business. Abbiamo difeso il giro d’affari in un contesto difficile caratterizzato dalla mancata esplosione (da tutti attesa) del mercato delle pompe di calore che hanno scontato diverse incertezze normative.

In Germania, per esempio, sono stati sospesi a sorpresa gli incentivi alle pompe di calore e sono state prorogate delle facilitazioni per le caldaie tradizionali con un impatto sul mercato. La pompa di calore ha un’efficienza molto superiore e un impatto nettamente minore in termini ambientali, ma ha anche un costo iniziale maggiore, quindi questo cambiamento normativo ha modificato le decisioni di spesa, anche per via dell’altalena dei prezzi tra gas ed energia elettrica.

In Italia è terminato ora l’ecobonus e in generale, nonostante la normativa europea spinga con chiarezza verso l’elettrificazione dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento di aria e acqua di edifici e imprese, il mercato resta ancora contrastato.

C’è una normalizzazione della domanda, dopo gli incentivi del passato che sono sempre un driver importante, e c’è un megatrend globale per il quale siamo posizionati da protagonisti.

Quanto alle dinamiche reddituali, le azioni di efficientamento hanno mostrato risultati importanti sul fronte di EBITDA ed EBIT, ma l’anno 2022 scontava la valorizzazione delle quote di controllo di Tecnair che abbiamo ceduto, con un provento finanziario di 9,5 milioni di euro.

Gli oneri finanziari assorbono inoltre l’impatto di 22,1 milioni di euro di variazione negativa del fair value dei contratti derivati di copertura dei finanziamenti: era andata molto bene nel 2022, è andata meno bene nel 2023, ma l’impiego di questi derivati è ordinario e necessario per la copertura dal rischio cambi, oltreché da altri rischi come quelli su prezzi e tassi d’interesse. Fa parte della nostra sana e prudente gestione insomma”.

Leggendo il vostro bilancio ho notato che l’anno scorso avete fatto ampio ricorso al magazzino, avevate aggiunto 20,4 milioni all’inventario nel 2022 e invece ne avete tolti 21,4 milioni nel 2023. Può sembrare un dettaglio, ma in pratica il balzo dei flussi da gestione operativa a 71,2 milioni viene da lì e in un periodo di forti scosse nella catena di approvvigionamento globale sembra una voce di rilievo. Come è andata?

“Il magazzino dice molto delle sfide che abbiamo dovuto affrontare quando si sono rotte le catene di fornitura. Abbiamo visto i tempi di consegna allungarsi da 6-10 settimane a 22 settimane. Come molte industrie abbiamo dovuto lottare per le nostre materie prime e fare magazzino ogni volta che potevamo. Noi essenzialmente compriamo rame, alluminio e motori elettrici, su questi ultimi abbiamo visto i tempi arrivare persino a 40 settimane con prezzi in aumento anche del 10-20%.

Una difficilissima sfida che abbiamo vinto anche grazie alla nostra capacità di pricing power, di trasferimento dei rincari a monte sui clienti finali. Come gran parte dell’industria abbiamo quindi creato magazzino nel 2022 e poi abbiamo alleggerito gli stock nel 2023, normalizzando le scorte.

Le condizioni operative sono state spesso molto difficili nel recente passato, ma per fortuna la differenziazione delle nostre filiere, che abbiamo potenziato, ci ha aiutato. Anche oggi, con la crisi del Mar Rosso, riusciamo a gestire la supply chain al meglio grazie alle forniture su più fronti e mercati alternativi, compresi Turchia e Sudamerica. Per fortuna il nostro standing internazionale e la differenziazione della base clienti (i primi 10 non raggiungono il 30% del fatturato) ci mettono al riparo anche dai rischi a valle della filiera. È una politica mirata che conferma la nostra gestione prudente e oculata dal rischio”.

In effetti avete anche tagliato dell’11% il debito finanziario netto a 126 milioni di euro, mentre il patrimonio netto saliva a 229 milioni di euro e quindi il debt/equity scendeva ancora a 0,55. Avete anche proiettato la liquidità da 177 a 212 milioni di euro. Ma non sarete perfino troppo patrimonializzati? O state studiando qualche nuova acquisizione dopo quella di Refrion?

“Sicuramente amiamo essere solidi, quanto alle nostre strategie di M&A, manteniamo l’approccio mirato alla valutazione di ogni eventuale opportunità di crescita anche per linee esterne. Refrion è un caso esemplare: la società friulana è un protagonista del mondo del raffreddamento dei data center (un mercato in forte espansione a livello globale) e ha portato impianti e competenze per noi preziosi in quanto ci consentono di crescere in un settore strategico. Tramite un contratto che abbiamo ereditato siamo entrati anche nel raffreddamento ausiliario di una centrale nucleare. Si tratta di un’attività estremamente sfidante e normata, ma che ci regala competenze preziose per tutto il gruppo”.

Normative europee come quelle sulle case green e sui gas naturali da impiegare nel tempo al posto dei refrigeranti sintetici HFC modelleranno il futuro della vostra industria nel medio termine. Siete attrezzati?

“Assolutamente sì. Noi siamo da sempre all’avanguardia nell’impiego delle nuove tecnologie e lo siamo perché abbiamo sempre investito in innovazione. Già nel lontano 2004 abbiamo realizzato il primo impianto di refrigerazione totalmente ad anidride carbonica d’Europa. L’impiego della CO2 presenta molti vantaggi, a partire dal più basso impatto climatico, ma richiede anche impianti capaci di tollerare 110-120 bar di pressione e fino a tre volte tanto in fase di test. Significa che ogni punto dell’impianto, ogni centimetro dei tubi deve potere sopportare pressioni di 300 chilogrammi senza perdite.

Gestire queste pressioni ci ha richiesto grandi sforzi: ci ha aiutato la collaborazione con circa 30 università e la capacità di superare praticamente delle sfide che a volte non erano neanche contemplate dalla letteratura scientifica.

Oggi però siamo all’avanguardia e se le norme sui gas naturali impongono di tagliare i gas HFC come l’R32 usato normalmente nei condizionatori di casa e passare alla CO2 o al propano o all’ammoniaca, noi siamo pronti. I vantaggi per il clima sono importanti, ridurre da 650 a 150 il potenziale di riscaldamento globale dei gas impiegati, ossia fino a un massimo di impatto pari a 150 volte il corrispondente di CO2, potrà avere effetti molto importanti, anche perché le nostre tecnologie sono presenti ovunque: nei banchi frigo dei supermercati, nel condizionamento dei centri logistici, nelle botteghe, nelle imprese, nelle case…

Per noi è anche la naturale evoluzione di un percorso di sostenibilità di cui ci sentiamo partecipi come dimostra il fatto che abbiamo ridotto l’anno scorso del 6,39% le nostre emissioni scope 1 e scope 2 e siamo sempre più allineati alla tassonomia europea in materia. Siamo parte del cambiamento: ce lo chiede il mercato, ce lo chiedono investitori e clienti e se anzi ci fossero certificazioni e vincoli ambientali sulla componentistica che produciamo guadagneremmo un ulteriore vantaggio competitivo. Noi questo cambiamento “green” lo propugnavamo fin dal 1986, molto in anticipo sui tempi”.

La vostra azione soffre, anche se avete annunciato un dividendo in crescita a 0,40 euro che ai corsi di adesso (22,85 euro) sconterebbe un dividend yield dell’1,75%. Dai massimi pre-dividendo dell’anno scorso il titolo è calato di oltre il 27%, né appare troppo scontato (P/E sui corsi attuali e utile 2023 a 17x circa, con un EV/EBITDA di 8x). È vero anche che Lu-Ve ha una capitalizzazione inferiore alle vendite e ha proposto un rinnovo del buyback. La società ritiene ingenerosi i corsi di Borsa dell’ultimo anno?

“Siamo convinti di avere ancora molto valore da esprimere, anche sul mercato: nel tempo sicuramente si capirà la nostra proposta di valore. Abbiamo imparato ad accettare che il contesto finanziario generale può influenzare profondamente i corsi e che fattori specifici possono impattare sul titolo, senza che i prezzi siano mossi dalle notizie sui fondamentali frutto del nostro operato. Soffriamo comunque una mancanza di liquidità sul titolo.

Sicuramente l’anno scorso abbiamo subito la maturazione dei PIR sullo STAR: due fondi che avevano investito su di noi in fase di quotazione hanno smobilitato pacchetti azionari per un valore di circa 16 milioni di euro. Erano passati già alcuni anni dall’investimento e ci hanno spiegato che le loro regole gli suggerivano di vendere prima le azioni meno liquide e più redditizie: avevano comprato sui 10 euro ad azione quindi ci guadagnavano molto. C’è stata poi la concorrenza sui mercati azionari dei BTP e degli elevati rendimenti dei titoli di Stato che hanno rubato l’attenzione di molti investitori.

Noi comunque proseguiamo per la nostra strada, certi della crescita futura e delle numerose opportunità di sviluppo che scorgiamo su scala globale”.

Argomenti

Lu-Ve