Fed, cosa guarderà oggi il mercato

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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I tassi dovrebbero restare nel range 4,25%-4,50%, ma gli operatori guarderanno con attenzione al prospettive dei "dot plot" e alle previsioni economiche.
Dall'economia Usa giungono segnali contrastati, ma sono le politiche di Trump ancora una volta la vera sfida, anche per Powell

Fed, cosa guarderà oggi il mercato

Cresce l’attesa per le decisioni odierne della Federal Reserve statunitense sui tassi d’interesse. Alle 19 di oggi (ora italiana) si avranno l’esito delle decisioni che saranno seguite dalla conferenza stampa del presidente Jerome Powell mezz’ora dopo. In realtà quasi tutti gli osservatori danno per scontato che il FOMC, l’organo decisionale della Fed in maniera di tassi, lascerà le cose come stanno, ossia i tassi d’interesse nel range 4,25-4,50%

A più riprese diverse voci della banca centrale hanno sottolineato la necessità di un approccio paziente in questa fase, anche perché – è il sottotesto – le conseguenze delle guerre commerciali scatenate dalla nuova amministrazione Trump non sono ancora chiare per esiti e portata, ma potrebbero influenzare non poco i prezzi.

Fed, le attese del mercato

Il FedWatch Tool, uno strumento del CME che traccia le probabilità delle varie decisioni di politica monetaria sulla base dei volatili prezzi dei future sui Fed Fund a 30 giorni, dà al 99% la possibilità che oggi i tassi restino dove sono.

Per questo gli operatori si concentreranno sul resto, che non è poco. La riunione di oggi è infatti accompagnata dall’aggiornamento delle proiezioni economiche e su questo fronte sono in molti a sottolineare l’importanza che l’aggiornamento delle prospettive potrebbe avere nell’equilibrio del meeting.

Le ultime proiezioni di dicembre prevedono per il 2025 una crescita del Pil USA del 2,1%, un tasso di disoccupazione del 4,3%, un’inflazione PCE al 2,5%, un’inflazione PCE core al 2,5%

Gli ultimi segnali dall’economia statunitense sono stati contraddittori ed è cresciuto il timore tra gli operatori di una recessione USA, anche se per altri versi il quadro rimane solido.

Un’attenzione particolare sarà rivolta ai cosiddetti “dot plot”, un grafico a puntini che riassume le previsioni dei membri del FOMC sul livello dei tassi nell’orizzonte previsionale.

L’ultimo report con le proiezioni poneva la maggior parte delle previsioni del “dot plot” sui tassi d’interesse nel range tra il 3,75% e il 4,0%, quindi indicava l’attesa di due tagli dei tassi d’interesse in quest’anno 2025. Eventuali modifiche su questo fronte sicuramente attirerebbero l’attenzione. Attualmente la maggior parte degli osservatori stima un primo taglio non prima di giugno e poi eventualmente un altro, ma eventuali novità implicite dai "dot plot" potrebbero ridisegnare il quadro.

Al contempo gli analisti cercheranno di comprendere l’equilibrio che la Fed porrà in questa fase alle varie istanze che guidano la sua politica monetaria, si soppeseranno quindi gli accenti sull’inflazione, sul mondo del lavoro, sull’andamento dell’economia, perché ogni sfumatura potrebbe fornire indicazioni sull’approccio generale e sull’equilibrio del doppio mandato della banca centrale teso sia al controllo dei prezzi, che alla massima occupazione.

USA, gli ultimi dati macroeconomici

I dati macroeconomici sono, come detto, contradditori. A febbraio l’inflazione complessiva CPI degli Stati Uniti ha mostrato un calo dal 3,0% al 2,8% e si è posta sotto le attese (2,9%), inviando un segnale di fiducia ai mercati sul controllo dei prezzi e il processo disinflazionistico in corso. Anche l’inflazione CPI core ha mostrato una dinamica simile, dal 3,3% al 3,1% (consensus 3,2%). Ma va detto che siamo ancora su livelli di inflazione che non consentono alla Fed di abbassare la guardia sui prezzi.

Anche l’inflazione PCE (dai prezzi al consumo), la più monitorata dalla banca centrale, ha fornito indicazioni simili: a gennaio è scesa dal 2,6% al 2,5% (in linea con le attese) e la PCE “core” è calata dal 2,9% al 2,6%.

Il livello dei prezzi si sta quindi allineando alle proiezioni della Fed, ma al tempo stesso sullo sfondo rimane il pressante interrogativo sull’impatto dei nuovi dazi che potrebbero scaldare nuovamente i prezzi americani.

La stima preliminare sul Pil del quarto trimestre ha mostrato un consistente rallentamento, dal 3,1% al 2,3% (in linea con le attese), ma i segnali di indebolimento dell’economia a stelle e strisce si moltiplicano.

In questi giorni viene monitorato con attenzione l’indice GDPNow della Fed di Atlanta che nell’ultimo aggiornamento di ieri è migliorato al -1,8% dal -2,1% precedente e dopo un minimo al -2,8%. L’idea di una contrazione del Pil nel primo trimestre ha spaventato non poco i mercati nelle ultime sedute, ma l’indicatore della Fed di Atlanta è costruito in “tempo reale” con i dati che giungono e va quindi ponderato con cautela, come evidenzia anche una nota di ieri di Charles Schwab.

Sicuramente anche le condizioni del mercato del lavoro faranno parte del pacchetto delle analisi della Fed, essendo parte integrante del suo mandato istituzionale. Le buste paga del settore non agricolo statunitense, i famosi nonfarm payroll, lo scorso 7 marzo hanno mostrato la creazione a febbraio di 151 mila nuovi posti di lavoro, un dato più robusto dei 125 mila posti di gennaio che avevano segnato una brusca contrazione.
Il dato si pone comunque leggermente al di sotto della media di 168 mila posti degli ultimi 12 mesi.
La disoccupazione al 4,1% (che significa 7,1 milioni di disoccupati) rimane su livelli fisiologici ed è inferiore alle ultime proiezioni della Fed per quest’anno poste – come detto – al 4,3%.
Il livello dei salari mostra inoltre segni di moderazione: il dato di febbraio dei nofarm payroll mostra un incremento del 4,0% in un anno con una crescita dello 0,3% nel mese a 35,93 dollari l’ora.

Anche il dato recente della produzione industriale di febbraio (+1,4% a/a al record di 104,2 punti) e i nuovi cantieri residenziali fanno ben sperare (+1,5 mln a febbraio vs. consensus a 1,38 mln), ma altri segnali sono più preoccupanti, come le vendite al dettaglio di febbraio cresciute dello 0,2% contro attese per un +0,6% (ma c’è un range di 0,5 punti), l’indice di fiducia del Michigan (54,2 punti vs 64,3 atteso a marzo).

In definitiva vari segnali potrebbero indicare una situazione sotto controllo, senonché l’elefante nella stanza delle nuove politiche dell’amministrazione Trump scuote la fiducia.

Vaste politiche di rimpatrio della forza lavoro migrante, dazi commerciali diretti lungo le dorsali dei maggiori canali commerciali statunitensi con il rischio di shock diffusi sulle catene di approvvigionamento e tagli imperiosi della spesa pubblica tramite una riduzione violenta degli organici amministrativi rischiano di manomettere ogni giorno di più il quadro prospettico dell’inflazione e dell’occupazione, oltreché le prospettive sull’economia.

Sul fronte macro i segnali di ricezione di questo mutato contesto sono ancora deboli, ma la Fed nella sue prospettive dovrà con cautela e fermezza tenerne conto.

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Economia