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Eni, i satelliti del piano e perché per gli analisti l'azione può crescere del 20%

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
6 min

Più gas e meno petrolio, cessioni miliardarie, partnership, tagli dei costi e aumenti dei flussi su tanti fronti ognuno chiamato a raccogliere capitale e ancora dividendi e buyback.
Ma sulla transizione si vede ancora poco.

Eni, i satelliti del piano e perché per gli analisti l'azione può crescere del 20%

Lo scorso luglio, a metà mese circa, Eni scivolava a 10,5 euro circa, da quei livelli ai prezzi di oggi (14,48 euro in queste ore) c’è un balzo del 37% circa senza considerare poi 4 cedole distribuite nel frattempo, 2 da 0,24 € e 2 da 0,23 euro, per un totale di altri 0,94 euro che poi sono più dell’8,5% di quei 10,5 euro iniziali. Certo del senno di poi sono piene le fosse, ma da allora le cose sono cambiate in maniera sostanziale per il gruppo guidato da Claudio Descalzi con il nuovo piano industriale che si basa sul nuovo modello satellitare.

Si potrebbe semplificare in cessioni, partnership e investimenti, senza rinunciare a generose distribuzioni di capitale ai soci. Ma la Borsa fa i conti della serva e un po’ intendiamo farli anche noi stamane.

Eni, un 2023 molto brutto

In termini squisitamente reddituali l’anno scorso è stato molto brutto. I ricavi sono crollati del 29,27% a 93,71 miliardi di euro, l’utile operativo adjusted è diminuito del 32,28% a 13,8 miliardi e l’utile netto del gruppo adjusted è crollato del 37% a 8,32 miliardi. I dati reported, ossia comprendendo special item e voci straordinarie, sono ancora peggiori con un calo dell’utile da 13,88 a 4,77 miliardi di euro e non appunto a 8,3, in altre parole più di due terzi degli utili andati in fumo.

In realtà le cose l’anno scorso sono andate peggio anche per le consorelle maggiori del greggio Exxon ha tagliato gli utili netti dai 55,7 miliardi di dollari del 2022 a 36 miliardi nel 2023; Chevron ha tagliato gli utili da 35,4 miliardi di dollari a 21,4 miliardi; Shell ha chiuso l’anno con una flessione degli utili da 39,87 a 28,25 miliardi di dollari. Il perché dell’andazzo generale?

Al di là di tutte le ambigue forme di impegno sul fronte del clima e della transizione e dell’efficienza la ragione è solo una: il prezzo del Brent in media è stato di 101 dollari al barile nel 2022 e nel 2023 è sceso a una media 83 dollari al barile (-17%).
Nello stesso arco di tempo il WTI è passato da una media di prezzo di 94,3 dollari al barile a una di 77,63 dollari al barile nel 2023.

Eni, il 2024 si presenta meglio e il consensus degli analisti è di oltre il 20% sopra i corsi

Nel 2024 i prezzi del petrolio, come noto, hanno un po’ recuperato: il WTI finora ha una media aritmetica di 78,8 dollari al barile, il Brent in questa prima metà del 2024 ha una media di 83,69 dollari al barile.

Su Eni il consensus attualmente è molto favorevole. La media dei prezzi obiettivo posti dagli analisti sondati dalla società, il consensus in altre parole, è di € 17,36 ad azione: un potenziale upside del 20% quasi sui 14,472 euro di queste ore. Da prendere ovviamente con le pinze, ma comunque da valutare (sono 14 i BUY, 8 gli HOLD e c’è solo un SELL di Exane BNP Paribas).

ENI, il modello satellitare in parole povere

La parola d’ordine è Modello Satellitare, così è stato ribattezzato il nuovo modello ufficialmente teso alla transizione di Eni nel nuovo piano 2024-2027 annunciato a marzo. Si tratta in pratica di un’azione forte sul fronte del capitale e dell’approccio industriale insieme. In pratica 8 miliardi da cessione di quote e il 20% di investimenti in meno nell’arco del piano (una media di 7 miliardi l’anno comunque, per un totale di 27 miliardi nei quattro anni) grazie anche a tagli dei costi importanti. Mentre in termini di cassa il free cash flow ante variazione del circolante, la cassa organica è vista a 62 miliardi nell’arco del piano con 16,5 miliardi quest’anno.

Cosa sono i satelliti? Sono società del gruppo che si occupano di rami diversi del business e che saranno incoraggiate a reperire autonomamente i capitali per il loro sviluppo, sia con la quotazione che con la cessione di quote di minoranza a investitori terzi.

Il modello è Plenitude la controllata delle rinnovabili e della mobilità sostenibile che ha visto l’investimento di 588 milioni di euro da parte di EIP per il 7,6% del capitale in attesa di tempi migliori per una quotazione del ramo in Borsa. Previsto quest’anno un EBITDA da 1 miliardo che dovrebbe raddoppiare nel 2027.

Eni intende applicare il modello anche ad Enilive (bioraffinazione, biometano, lo sharing di Enjoy e le 5.000 stazioni di servizio alcune delle quali gestiscono anche attività di ristorazione): previsto anche in quest’area un EBITDA 2024 da 1 miliardo da raddoppiare nel 2027.

C’è anche la biochimica di Versalis che comprende anche riciclo meccanico e chimico, riciclo di polimeri e gomme, produzione di bioplastiche e altro. Il ramo è in crisi da decenni e l’obiettivo è il pareggio dell’ebitda nel 2025, con ebit positivo nel 2026.

C’è poi l’upstream (produzione ed esplorazione di petrolio greggio e idrocarburi) del Regno Unito dove si punta a fondere le attività nella placca continentale britannica con quelle di Ithaca Energy raggiungendo in gruppo una produzione da oltre 100 mila barili al giorno già quest’anno.

C’è poi VAR Energy, la controllata che presidia la Norvegia (36 giacimenti che hanno prodotto 246 mila barili al giorno nel 2021), già quotata ad Oslo. Insieme alla capogruppo ha comprato Neptune Energy (100 mila barili equivalenti di petrolio al giorno) in due investimenti per un totale di 4,9 miliardi di euro in termini di enterprise value. Neptune contribuisce con BP Algeria allo spostamento del portafolgio upstream dal petrolio al gas con riduzione quindi delle emissioni di CO2. Rimane infatti in piedi l’obiettivo della neutralità carbonica al 2050.

C’è soprattutto Azule Energy, joint venture paritetica con BP del petrolio e gas in Angola. C’è in fine il satellite del Carbon Capture utilization and Storage (CCUS) in poche parole la frontiera della cattura e dello stoccaggio di CO2.

A fine 2023 Eni aveva un debito netto post-IFRS 16 di ben 16,23 miliardi di euro (vs. 11,97 nel 2022), a fronte di un patrimonio netto sceso da 55,23 a 53,64 miliardi.

Eni, gli idrocarburi la fanno ancora da padroni

Il capitale investito netto cresceva da 67,2 a 69,88 miliardi di euro, di cui 51,53 miliardi in exploration & production (gas e petrolio insomma); altri 1,12 miliardi per gas e gas liquefatto; altri 9,62 miliardi per Enilive/Raffinazione e Chimica e infine 7,72 miliardi in Plenitude & Power che assorbono le attività più propriamente sostenibili.

Per impiegare la tassonomia in modo da rendere l’idea del peso degli idrocarburi sul giro d’affari del gruppo su 93,717 miliardi di euro di ricavi nel 2023, erano ammessi alla Tassonomia UE solo 6,266 miliardi, il 6,7% del totale. Di strada da fare insomma ce n’è.

Eni, ma cedole e buyback promettono di più ai soci

Ma la Borsa guarda ad altro, per esempio a cedole e buyback. Due conti tornano utili. Il target illustrato al mercato implica la distribuzione del 30-35% del CFFO (cash flow from operatings) al mercato tra dividendi e buyback, è un aumento rispetto al 25-30% precedente.
Il dividendo 2024 è già stato alzato a 1 euro (oltre 3 miliardi di euro di dividendi). Il buyback è stato già posto a 1,1 miliardi di euro e fino a un massimo di 3,5 miliardi di euro nell'arco del piano. Nei 4 anni c’è spazio per la remunerazione dei soci fino al 40% dell’attuale capitalizzazione di mercato, quindi (ai prezzi del 13 marzo quando è stato annunciato il piano) fino a 19,678 miliardi di euro. Sicuramente 8 miliardi di euro di cessioni confermate di cui forse 4 miliardi nell’upstream, contribuiranno. Di certo di strada da fare sul fronte industriale ce n’è tantissima.