Auto, altro che green deal, il vero problema sono i prezzi

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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Un'auto nuova negli Stati Uniti costa ormai in media 48 mila dollari. In Europa i prezzi dei modelli base (non le elettriche per vip) sono cresciuti del 41% tra il 2019 e la fine del 2023. I soldi sono finiti in dividendi invece che in ricerca e così l'auto occidentale è rimasta indietro e le famiglie hanno smesso di comprarla. Altro che direttive europee...

Auto, altro che green deal, il vero problema sono i prezzi

Per la prima volta in assoluto negli Stati Uniti a ottobre lo scarto medio di prezzo fra un’auto nuova e un’auto usata ha superato i 20 mila dollari. Per l’esattezza in media un veicolo USA (lì si usano grandi SUV e pickup che non sono sempre paragonabili alle auto europee) nel terzo trimestre di quest’anno costava 47.542 dollari (in media!) contro una media dei prezzi per l’usato di 27.177 dollari. Uno scarto di 20.365, il maggiore mai registrato secondo una ricerca della piattaforma di vendite Edmund, tanto che le case a stelle e strisce hanno cominciato ad alzare gli sconti medi fatti sul nuovo (caso degli stock di invenduto Stellantis a parte).

Auto Usa, ma quanto mi costi?

Secondo Cox in realtà le auto nuove statunitensi sono ancora più care, in media, 48.623 dollari a veicolo a ottobre, non sui massimi storici, ma ben oltre i 35.000-40.000 dollari del pre-Covid.

Sempre meno “affordable” per le famiglie USA, al punto che dopo il luglio 2022 gli sconti praticati dalle case sono rapidamente cresciuti dal 2% fino all’8% attuale con una punta della scontistica proprio nei marchi di Stellantis (Chrsyler, Dodge, Jeep e Ram).

Il mercato USA dei veicoli è comunque caro, le grandi cilindrate vedono il 45% del mercato in mano a tre segmenti: i full-size pick up truck, che costano in media 65.389 dollari, il segmento competitivo dei compact SUV, con una media di prezzo più bassa a circa 36.769 dollari e il segmento SUV midsize, in media a 49.977 dollari. 

L’automobilista USA ci deve pensare su insomma prima di comprare un’auto, alla faccia della terra di Ford che fabbricava auto per i suoi operai.

A breve non è previsto un forte ribasso dei prezzi: la nuova elettronica e la nuova tecnologia in generale, oltre al costo del lavoro cresciuto di molto con gli scioperi nel settore lo scorso anno e al costo dell'energia sono ostacoli importanti a un repricing.
Né è l’unico costo vivo, le assicurazioni per l’auto sono balzate tra il 15 e il 25% l’anno scorso, e la benzina che pure è scesa ormai sui 3,14 dollari a gallone (che fa appena 0,8 euro a litro perché lì c’è abbondanza di greggio e raffinazione e le tasse sono appena al 16% per la benzina) è vista ancora come un grosso peso, d’altronde lì in media una famiglia fa 80 chilometri al giorno in auto.

Ma forse dal taglio dei tassi della Fed qualche spunto verrà. Giocano tanti fattori in un continente come il Nord America, in California la media dei prezzi della benzina è più di 4,65 dollari al gallone, più di un dollaro sulla media nazionale, la gente scappa dal caro vita e va in posti dove magari la casa e tutto il resto costa meno, ma serve anche un’auto nuova.

Se però arrivano davvero di dazi di Trump, il rischio per i prezzi delle quattro ruote aumenta, eccome.

Le attese sono comunque per una cauta ripresa del mercato, un recente report di JD Power e GlobalData ipotizza a novembre una crescita del 6,7% sul dato di un anno fa fino a un totale di 16,5 auto nuove vendute nel mese. Ma si aspetta che crescano del 29,7% a 2,1 milioni di auto anche gli stock. I prezzi dovrebbero calare leggermente.

Nell’ultimo anno il mercato dei veicoli statunitense è rimasto incollato tra i 16 e i 16,5 milioni di auto al mese, contro i 17,5 milioni circa del pre-Covid, ma forse la ragione principale sono proprio i prezzi, né la domanda delle famiglie, né la transizione elettrica, né i tassi della Fed.

Che poi logistica e tecnologia pesino sui costi di produzione così come il costo del denaro nessuno lo nega, ma forse alla fine le famiglie semplicemente fanno più fatica a comprare un’auto di 5 anni fa perché è più cara e costa di più mantenerla.

E in Europa?

Auto, in Europa i prezzi sono volati anche per le utilitarie non elettriche

Sono spesso un po’ troppo lineari i ragionamenti della cronaca sulla endemica crisi dell’auto in Europa, mentre alle porte i tartari in versione cinese bussano con auto meno costose e più efficienti.

Se l’auto è in crisi è colpa dell’Europa che impone le quattro ruote elettriche a famiglie che non se le possono permettere e incoraggia così la concorrenza cinese, un “approccio ideologico” alle tecnologie devastante. Ma sarà così?

Un rapporto di T&E, lobbista della mobilità sostenibile in Europa sempre ben informato, un anno fa calcolava che nel 2020 i 5 big della quattro ruote europee (Volkswagen, Stellantis, Renault, BMW e Mercedes) avevano alzato i prezzi dal 2019 alla fine del 2023 del 41% sui modelli più economici, doppio quasi di un’inflazione cumulata rampante del 21%.
Per esempio i prezzi di utilitarie come la Peugeot 208, la Seat Ibiza o la Renault Twingo che prima oscillavano tra i 10.300 e i 15.500 euro erano aumentati di almeno 6 mila euro., ovviamente Mercedes e BMW non erano sfuggite alla gara al rincaro.

Fra il 2019 e il 2022 le big five avevano raddoppiato i profitti da 28 a 64 miliardi di euro, ripagando gli azionisti con ben 27 miliardi di euro nel 2023: alla faccia dell’urgenza degli investimenti per la transizione.

Se però si guarda l’offerta di auto ibride o elettriche di questi cinque big e la si paragona ai modelli di case asiatiche sudcoreone o giapponesi storicamente radicate in Europa e USA, bisogna mettere mano al portafoglio per trovare qualcosa.

L'impressione è che siano rimaste indietro da morire rispetto all’Asia, non solo alla Cina, ma anche al Giappone (e va bene che l’auto ibrida l’ha inventata la Toyota, ma nel 1997!)…
La sensazione è che il ritardo sulle filiere delle materie prime critiche, sulla logistica, sulla tecnologia sia insomma un po’ comprensibile, ma anche molto colpevole.

E va bene che in Cina lo Stato finanzia a 360 gradi da anni, ma se l’Europa o gli Stati Uniti sono rimasti indietro è forse un po’ anche colpa loro, delle loro case automobilistiche che pure hanno ottenuto incentivi importanti alla transizione un po’ in tutti i mercati, ma al tempo stesso hanno preferito alzare il prezzo delle auto e pagare dividendi invece che investire nella competitività.

Eppure lo sapevano che in Cina costruire un'auto costa in media il 30% in meno che in Europa, come indica il rapporto Draghi.
Il documento indica anche che nonostante il 90% di riduzione degli inquinanti tra l'Euro 1 e l'Euro 6 le emissioni di anidride carbonica sono aumentate di oltre il 90% tra il 1990 e il 2019... come mai? Perché le auto sono diventate più numerose (fino al 2019) e più grandi (sono ormai il 60% più pesanti che nel 2019) e quindi emettono più CO2 anche se la tecnologia è migliorata.

Insomma il successo dei SUV ormai pluridecennale non aiuta, ma forse la tecnologia inizia a farsi sentire. In Cina si sono messi all'avanguardia e Stati Uniti ed Europa sono rimasti indietro. Molto indietro, tanto che inseguono a stento con dazi e investimenti in una manifattura che trascuravano da mezzo secolo.

Forse per l'Occidente quel treno non è ancora del tutto passato, ma probabilmente i consumatori a questo punto una risposta chiara l’hanno data: stavolta dovranno essere le imprese a spendere e investire per competere.

I dazi, della von der Leyen o di Trump, potranno forse regalare un po’ di tempo, ma se una famiglia non guadagna abbastanza per comprare l’auto, non servirà risponderle che c’è il cambiamento climatico. Non la comprerà lo stesso.