Ucraina, lo scossone della Difesa Ue arriva alle utility

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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Si attendono nuove forti spese in armamenti e cresce il premio al rischio per i titoli di Stato e l'innalzamento dei rendimenti si traduce in vendite diffuse sulle utility. Sullo sfondo diverse altre partite di settore, dal consolidamento al caro-energia, presto però torneranno in primo piano. Ecco il quadro

Ucraina, lo scossone della Difesa Ue arriva alle utility

Tout se tient. Tutto si tiene. Anche sui mercati. In queste ore l’indice delle multiutility italiane, il Ftse Italia Utenze segna un pesante ribasso dell’1,31% e anche l’Euro Stoxx Utilites cede l’1,01%.

Vendite sulle utility, il meccanismo nervoso dalla Difesa ai titoli di Stato

Il maggiore indiziato di queste vendite diffuse sul settore delle società dei servizi ai cittadini (non solo i tradizionali energia e riscaldamento o rifiuti, ma sempre più spesso anche servizi di telecomunicazioni e intrattenimento) sono i rendimenti del debito pubblico europeo.

In queste ore i titoli di Stato Ue sono oggetto di vendite consistenti e per quella legge fondamentale per le obbligazioni che vede i prezzi (in calo con le vendite) muoversi in direzione opposta dei rendimenti (in crescita con il calo dei prezzi) si registrano dei rendimenti in forte rialzo un po’ per tutti, dai BTP italiani che crescono di 13 punti base al 3,59% ai Bund tedeschi che vedono i rendimenti crescere di 10 punti base al 2,49%. Movimenti simili si vedono sugli Oat francesi e sui Bono spagnoli.

Perché? A tagliarla con l’accetta grossolana (ma affilata) dei mercati, il pool di incontri e scontri intorno all’Ucraina del week end si traduce in un riarmo importante dell’Europa che vedrà un passaggio fondamentale già giovedì prossimo (6 marzo) con un piano completo che sarà presentata dalla presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen non soltanto per un riarmo complessivo del Vecchio Continente, ma anche per il supporto necessario a trasformare l’Ucraina in quel “porcospino d’acciaio” che risulterebbe indigesto a eventuali nuovi appetiti di Mosca dopo la tregua.

Uno dei corollari principali di questo piano di cui a Londra si è avuto un confuso antipasto, ma accompagnato da miliardi di sterline prontamente investiti in armi per l’Ucraina da Londra. Starmer ha annunciato un piano immediato da 2,2 miliardi di sterline per il supporto dell’Ucraina comprensivo di 1,6 miliardi di sterline per 5.000 missili di fabbricazione Thales a Belfast, a finanziarlo sarebbero i proventi degli asset russi congelati, che Starmer vorrebbe direttamente confiscati per la Difesa Ue e Kiev.

Al Vecchio Continente quegli asset fanno sempre più gola, ma il loro status è ancora quello di asset russi, Mosca li vorrebbe impiegare nella ricostruzione ucraina per metterci sopra il proprio cappello, l’Europa vorrebbe usarli per rafforzare Kiev e coprire spese per la ricostruzione ucraina e altro, ma teme che il loro sequestro abbia un impatto devastante sull’affidabilità percepita dai mercati mondiali sui depositi in Europa.

Dettagli a parte, pare comunque certo che l’Europa dovrà spendere centinaia di miliardi di euro per riarmarsi (si ipotizzano 500-600 miliardi di euro) e che le finanze pubbliche registreranno il contraccolpo della nuova Difesa comune UE i cui confini e obiettivi sono ancora in parte da progettare. Così intanto si vende il debito UE, ossia si alza il premio al rischio, il rendimento dei Titoli UE appunto, nel Vecchio Continente.

Una delle conseguenze principali è la vendita dei titoli delle utility del Vecchio Continente. Perché?

Perché per sua natura il settore delle società dei servizi tende a essere molto indebitato (spesso gestisce o controlla costose infrastrutture) e quindi un aumento dei rendimenti che rischia di tradursi in un aumento del costo del servizio del debito tende a diventare spesso una vendita dei titoli delle utility sul mercato.

Il loro debito costerà di più, quindi guadagneranno di meno, quindi il loro valore di Borsa deve scendere, è il ragionamento automatico degli operatori in queste circostanze.

Lo stesso identico motivo per cui in queste ore il Ftse Italia Banche fa un balzo dell’1,21% Se i rendimenti crescono, crescono anche i margini di interesse delle banche e quindi quei titoli devono valere di più.

Sono movimenti tipici dei mercati che in genere seguono le fasi del ciclo economico, ma possono essere anche influenzati da importanti dossier internazionali come questo. I titoli della Difesa UE in forte rialzo oggi ovviamente guadagnano terreno da tempo, ma dopo l’ultimo week-end si stima che la spesa europea in Difesa crescerà ancora di più, di quante centinaia di miliardi non è dato sapere, ma si fa più concreta la probabilità di corposi investimenti.

A Milano vendite su tutte le utility, da Terna a Enel, a Italgas, passa sullo sfondo il riassetto post Italgas-2i Rete Gas

A Milano così in queste ore perdono invece quota i titoli dell’energia e le utility: Terna -1,66%, Enel -1,35%, Hera -0,96%, Snam -1,42%, Italgas -0,08% a € 6,18 (ma dopo un affondo a 6,09).

Movimenti relativamente corposi per azioni che sono tipicamente stabili e difensive. I dossier concreti e immediati passano in secondo piano rispetto alle dinamiche di settore.

Ascopiave in controtendenza guadagna lo 0,17% a 2,935 euro a metà seduta. Passano in secondo piano i rumors del Corriere della Sera secondo i quali potrebbe entrare nel dossier tra Italgas e 2i Rete gas comprando parte degli asset in avanzo dalla maxi-fusione per ragioni di Antitrust, eppure per Ascopiave potrebbe essere un’altra maxi-operazione dopo l’acquisizione di 490 mila punti di distribuzione gas in Lombardia da A2A (-0,46%) per 430 milioni di euro lo scorso dicembre.

Alla finestra degli “scarti” dell’acquisizione di 2i Rete Gas da parte di Italgas ci sarebbe anche Acea che in queste ore perde l’1,87% per il sentiment negativo dei mercati sulle utility. D’altronde secondo quanto riportato dal Corriere della Sera gli asset residuali in gioco potrebbero essere ben 650 mila utenze che potrebbero valere circa 650 milioni di euro.

Ci vogliono mani forti per acquisti di queste dimensioni e anche verosimilmente una qualche prossimità fisica ai territori interessati, perché la prossimità crea valore nel campo delle utility e delle infrastrutture.

Di certo il tema del consolidamento del mercato non è l’unico discusso dal settore utility in questi giorni.

Utility, dopo il Decreto Bollette si parlerà ancora di energia

Con il varo del Decreto Bollette il governo ha appostato 3 miliardi di euro sulla spesa energetica di famiglie e imprese per contrastare il caro energia che rischia di sabotare la ripresa della manifattura italiana e dei consumi delle famiglie.

Ha anche posto le basi per un ritorno al nucleare, ma dovrà confrontarsi anche con misure più strutturali per il taglio del costo dell’energia in Italia.

Un costo che risente del sistema del costo marginale il system marginal price (SMP) che ancora allinea troppo il costo dell’energia in Italia a quello del gas con impatti soprattutto sulla bolletta di famiglie e PMI.

Per Elettricità Futura, ramo di Confindustria che rappresenta però anche i produttori di energia che in questo periodo guadagnano da prezzi elevati, potrebbero essere utili dei contratti di medio e lungo termine con i produttori da rinnovabili: “Questa iniziativa potrebbe aiutare a stabilizzare i prezzi finali dei consumatori su circa 20 miliardi di kWh di energia elettrica per il corrente anno”.
Servirebbe inoltre il rinnovo di impianti eolici e fotovoltaici vetusti che potrebbe aggiungere altri 20 miliardi di kWh di produzione. Due misure che - stima ancora Elettricità Futura – potrebbero portare benefici per 2 miliardi di euro, sbloccando anche investimenti per 10 miliardi sul settore.

Ci sono però anche proposte alternative, come il prezzo equo dell’energia fissato dal governo Draghi, in pratica un prezzo medio decennale basato sul costo dell’energia da rinnovabili scollegato dal prezzo del gas promosso dal partito Azione.

Il Pd propone invece due misure: un disaccoppiamento dei prezzi del gas e delle rinnovabili (che potrebbe tradursi in un tetto al prezzo, in "price cap") e l’introduzione di un acquirente unico pubblico.
Si guarda alla Spagna dove si è posto un tetto al prezzo del gas, ma l’esperienza è vista in modo diverso da analisti (e fazioni politiche) diversi. L'amministratore delegato di Iren, Gianluca Bufo, per esempio, si è detto scettico sul tema del price cap: più favorevole a misure come i contratti di lungo termine o i contratti di acquisto di energia PPA (power purchase agreement). Ma la volatilità dei costi e dei prezzi del gas e dell'energia è purtroppo una costante nello scenario attuale.

Il dossier energia insomma non si è chiuso con il Decreto Bollette e sicuramente, viste le tensioni sui consumi delle famiglie e delle imprese, se ne tornerà a parlare.

Così come di consolidamento del settore, di reti e di approvvigionamenti.

Ma oggi no, oggi il meccanismo che prevale è quello che passa dal piano di riarmo dell’Europa al rialzo dei rendimenti fino alle quotazioni in calo delle utility.

Come detto, tout se tient.