Signa, una crisi immobiliare miliardaria che spaventa l’Europa
pubblicato:La crepa nel colosso austriaco fa tremare il settore del mattone e le tante banche coinvolte, a partire da Raiffeisen, Unicredit e Baer. I libri sono finiti in tribunale e i partner del gruppo sono pezzi da novanta
A volte anche il mattone è fragile. E se in un anno e due mesi pompi i tassi d’interesse dallo 0 al 4,25%, la gente smette di comprare casa e molte società immobiliari strutturalmente indebitate finiscono in crisi.
Se poi questa stretta nasce da un boom dell’inflazione che gonfia anche i costi dei materiali di costruzione e dei lavori, beh, tenetevi stretti.
E infatti qualcuno cade e si tira dietro molti altri. C’è chi ha definito il crack di Signa, il colosso immobiliare austriaco che ha portato giovedì scorso i libri in tribunale, la nuova Lehman d’Europa. Ed è un paragone azzardato, ma dà un’idea delle dimensioni del problema.
Signa, un colosso internazionale del settore immobiliare
Forse questa volta René Benko ha fatto il passo più lungo della gamba. L’imprenditore tirolese a 46 anni è già un protagonista del mercato immobiliare e del settore retail europeo, è uno che ha messo piede nel Chrysler Building di New York, nei grandi magazzini britannici di Selfridge (ma qui il tailandese Central Group ha subito preso il controllo quando è emersa la crisi), nell’hotel viennese di Park Hyatt.
Ma dopo anni di crescita esplosiva a debito arriva il tribunale di Vienna e Signa si presenta con un patrimonio immobiliare di 27 miliardi di euro, con progetti in sviluppo per 25 miliardi di euro tra Austria, Germania, Svizzera, Nord Italia e Gran Bretagna, con forti debiti e una struttura proprietaria e finanziaria quantomeno complicata.
Nel documento per la richiesta di insolvenza, ossia nella richiesta di bancarotta, Reuters sottolinea che la holding del gruppo Signa mostra esposizioni per 5 miliardi di euro circa a fronte di attivi per circa 2,7 miliardi di euro. Ci sono in gioco 42 dipendenti e 273 creditori e non è certo una partita regionale, ma rischia di coinvolgere mezza europa.
Basti pensare che al gruppo fanno riferimento anche alcune catene commerciali di importanza europea come la Galeria Kaufhof e KaDeWe in Germania o Globus in Svizzera.
Con progetti in sviluppo per 25 miliardi di euro c’è poco da scherzare, si rischia un domino immobiliare in un settore che solo in Germania fa un quinto del Pil e le tessere sono un po’ dappertutto nel Vecchio Continente.
Signa, le banche e i soci importanti
E poi ci sono le banche che hanno finanziato ampiamente e ora rischiano perdite di rango, c’è l’elite austriaca fortemente corteggiata da Benko, ci sono i soci esposti con il gruppo Signa, dalla famiglia Peugeot che avrebbe il 4,6% della holding al miliardario tedesco della logistica Klaus-Michael Kuehne, che ha il 10% e la scorsa settimana valutava un’offerta per Elbtower, un grattacielo bloccato nella sua Amburgo.
Ma fra i partner ci sarebbero anche il presidente della Lindt & Sprungli (sì quella del cioccolato), Ernst Tanner e ci sarebbe Torsten Toeller che ha fondato la Fressnapf, un colosso europeo del cibo per animali con oltre 1.400 punti vendita.
E ci sarebbe anche la svizzera Eugster/Frismag che fa circa un quinto delle macchine da caffè della Nestlé.
E alla Svizzera riporta anche il versante bancario.
Una settimana fa il colosso del private banking, Julius Baer, quello che sta vendendo Kairos ad Anima, ha annunciato accantonamenti da 70 milioni di franchi per coprire i rischi e un’esposizione da ben 606 milioni di franchi svizzeri (circa 640 milioni di euro) nei confronti di Signa. Il gruppo svizzero è solido, ma non sono bruscolini.
In Austria le cose vanno anche peggio: le esposizioni verso le banche connazionali di Signa sarebbero di 2,2 miliardi di euro.
Di questi ben 800 milioni di euro sarebbero di Raiffeisen Bank International e circa 600 milioni di euro sarebbero della nostra Unicredit tramite Bank Austria.
Anche le banche tedesche sarebbero pesantemente coinvolte (con le dimensioni del gruppo come potrebbe essere diversamente?), in particolare le banche regionali pubbliche tra l’Assia e la Baviera Helaba, NordLB e BayernLB.
Signa, adesso bisogna capire come uscirne
Insomma un bel guaio europeo. Secondo i rumors, Signa avrebbe provato a cercare l’aiuto di altri investitori, da Attestor Capital a Elliot dal fondo saudita Pif a Mubadala Investment, ma alla fine i libri in tribunale confermano la crisi e l’Europa del mattone e della finanza adesso trema.
Al punto che alcuni osservatori ipotizzano persino che dietro certe pressioni tedesche sul Mes ci sarebbe il bisogno di un paracadute europeo per le banche teutoniche e non solo.
Le questioni cardine di questa fase sono però molto più palpabili.
Quanto valgono ancora gli asset nel portafoglio di Signa, dagli alberghi di lussi, agli immobili commerciali ai progetti di sviluppo?
Possono essere liquidati prontamente in questa fase di generale diffidenza verso l’immobiliare?
Quali saranno gli impatti generali sul settore immobiliare e sulle banche coinvolte?
Il caso Signa insomma aumenta l’incertezza e fa tremare gli operatori, perché in questa fase delicata rivela la pericolosa fragilità del mattone.