Petrolio di nuovo in calo, ma il puzzle dei prezzi resta complicato

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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La Cina annuncia nuovi stimoli, ma inflazione e bilancia commerciale sotto le attese incoraggiano il pessimismo dei mercati sulla domanda di greggio. Intanto le tensioni geopolitiche in Medioriente non si placano e il mercato calcola il rischi sullo Stretto di Hormuz

Petrolio di nuovo in calo, ma il puzzle dei prezzi resta complicato

Torna a ripiegare in avvio di ottava il prezzo del petrolio greggio nei mercati internazionali sulla spinta di rinnovati dubbi sulla tenuta della domanda cinese. Nel primo pomeriggio il future sul Brent segna un ribasso dell'1,86% a 77,57 dollari al barile e quello sul WTI cede l'1,97% per tornare a 74,07 dollari. Ma stamattina per il petrolio andava anche peggio.

Petrolio, il driver fondamentale della Cina alle prese con gli ultimi segnali

Secondo diversi osservatori questo calo è da imputare principalmente ai timori sulla tenuta della domanda cinese, uno dei driver principali dei prezzi degli ultimi anni.

Un segnale particolarmente negativo è giunto ieri dal dato sull’inflazione di settembre, l’indice dei prezzi al consumo della Repubblica Popolare infatti ha mostrato una crescita annuale dello 0,4%, il dato più basso degli ultimi tre mesi, inferiore alle attese di una riconferma dello 0,6% di agosto. Ovviamente se in Cina c’è un’inflazione più bassa dei prezzi al consumo significa che la domanda interna soffre e questo è uno dei segnali più brutti in questa fase per l’economia globale.

D’altronde anche il dato odierno sulla bilancia commerciale di settembre a 81,71 miliardi di dollari si è posto sotto il consensus ($ 89,8 mld) e la rilevazione precedente ($ 91,02 mld) incorporando una crescita inferiore delle attese sia per le importazioni (+0,3%), che per l’export (+2,4%). 

Ma la reazione odierna ai dati cinesi acquista un significato ancora più importante perché giunge dopo gli importanti annunci del ministro delle finanze Lan Fo’an del 12 ottobre. Molti osservatori occidentali hanno sminuito le indicazioni giunte dal governo cinese che pure promettono un aumento della spesa pubblica per sostenere uno sviluppo sostenibile che dovrebbe passare dalle imprese innovative cinesi al supporto del debito dei governi locali (uno dei maggiori problemi della finanza pubblica del Paese), fino all’atteso rilancio della domanda interna, ma in ottica di sostegno delle fasce più deboli o degli studenti.

Supporti previsti anche per il capitale delle banche commerciali a controllo pubblico, la disponibilità ad aumentare deficit e debito in maniera significativa per rilanciare l’economia e la riconferma dell’obiettivo di una crescita del Pil del 5% quest’anno non sono serviti a riconquistare in avvio di ottava la fiducia dei mercati.

Quanto al peso della Cina sulle dinamiche del petrolio restano diverse incognite da risolvere e c’è anche evidenzia che il forte sviluppo del mercato dell’auto elettrica in Cina stia minando la domanda locale di greggio. Per avere un ordine di grandezza può comunque essere utile l’ultimo aggiornamento del World Energy Review di Eni. Ricorda che nel 2023 gli Stati Uniti sono stati il maggiore consumatore di petrolio di greggio con una quota globale del 20%, seguiti appunto dalla Cina con una quota del 16,1% (terza l’India con il 5,3%).

Petrolio, incognita geopolitica e Opec

Ma come noto la geopolitica è stata uno dei fattori principali del recente rally del greggio, per il timore di interruzione nelle catene di approvvigionamento. I fattori di preoccupazione su questo fronte sono ancora tutti in essere. Malcolm Melville, fund manager all’energia di Schroders, ha sottolineato che la paura principale dei mercati è che Israele colpisca l’impianto iraniano di Kharg, nel Golfo Persico. E’ un complesso petrolchimico e un terminal che copre gran parte degli 1,7 milioni di barili di petrolio che ogni giorno l’Iran esporta. Se venisse colpito, grossi quantitativi di greggio stoccato nell’impianto e una fondamentale porta dell’export iraniano sarebbero messi a repentaglio.

Il rischio poi sarebbe anche quello della reazione dell’Iran che potrebbe nuovamente bloccare lo stretto di Hormuz e con esso circa un quinto del consumo mondiale di petrolio greggio. Con la facile conseguenza di un forte rialzo dei prezzi.

Oggi però il mercato guarda anche altrove, come per esempio alle proiezioni sulla domanda.
L’Opec il cartello dei produttori ha appena rivisto al ribasso le stime sulla crescita della domanda mondiale di petrolio per il 2024 di 106 mila barili al giorno a 1,9 milioni di barili giornalieri.

Proprio l’Opec+ è uno dei più importanti tasselli di quel delicato puzzle che deve trovare sul mercato l’equilibrio tra domanda e offerta. E’ in calendario da dicembre un ritorno a parte della produzione abbandonata dai tagli coordinati della produzione che (senza molto successo negli ultimi mesi) dovevano comprimere le quotazioni del petrolio greggio.

Melvile calcola che l’OPEC ha comunque capacità di riserva molto elevate, dai 5 ai 6 milioni di barili di petrolio al giorno, che su una domanda globale rivista oggi dal cartello a 104,24 milioni di barili al giorno possono fare la differenza sui prezzi, ma anche sull’approvvigionamento del mercato in caso di shock.

Va poi considerato che un recupero importante dei prezzi del petrolio per un periodo prolungato riaccenderebbe l’inflazione nelle maggiori economie, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, dove si farà di tutto per scongiurarlo.

Fra tensioni geopolitiche e debolezza della Cina persistenti, le prospettive del petrolio rimangono insomma ancora molto incerte.