Leonardo: la guerra paga, ma servono alleanze
pubblicato:Voglia di consolidamento in Europa sul fronte della Difesa, le società del settore puntano alle crescenti commesse UE e alle spinte politiche sui progetti comuni. Leonardo è piccola, ma vuole dire la sua
La guerra paga. Leonardo nel 2023 è stato il miglior titolo del Ftse MIB con un +85,3% che è già diventato un +103% di performance in questi giorni se si parte dall’inizio del 2023. Meglio di Unicredit, meglio di Stellantis e delle altre banche.
Eppure a guardare il ratio prezzo/utili ordinario degli ultimi 12 mesi posto tra 11 e 12x l’azione non sembra affatto cara, le concorrenti viaggiano su valutazioni nettamente maggiori.
Sicuramente il ritorno recente del titolo su livelli che non si vedevano dal 2008 è stato un buon segnale anche tecnico.
Ma è altrettanto certo che il futuro della nuova gestione targata Roberto Cingolani non sarà stabile, ma dinamico.
C’è molto da fare, e da investire, insomma, come dimostra la vendita di 20,7 milioni di azioni della lucrosa controllata americana DRS lo scorso novembre: quasi 370 milioni di dollari di fieno in cascina mantenendo comunque il 72,3% della società Usa.
Il piano principale è quello di incoraggiare e sfruttare la costituzione europea di giganti in due settori strategici, essere parte attiva e pesante insomma del piano UE per l’Aerospazio (più facile) e per la Difesa (più difficile).
In questo ambito Cingolani ha da subito dichiarato di volere ricavare un ruolo adeguato per la società di Piazza Monte Grappa.
Leonardo, aria di merger in Europa
E non è detto che non si passi per qualche grossa fusione. In Europa ci sono già spinte politiche in tal senso. Leonardo però parte in svantaggio dimensionale. E' infatti piccola rispetto alle grandi società della Difesa che potrebbero promuovere le manovre più importanti.
Basta confrontare, per esempio, i 9,6 miliardi di capitalizzazione di Leonardo con i 29 miliardi della francese Thales per avere un'idea delle sproporzioni.
Oltretutto - per rimanere all'esempio - nel capitale di Leonardo il Ministero dell’Economia ha il 30% circa; in quello di Thales ci sono lo Stato Francese al 26% e un colosso come Dassault Aviation al 25% circa (i diritti di voto sono anche di più). Quindi politica e interessi industriali.
Leonardo e la quota strategica della tedesca Hensoldt
Eppure gli intrecci non mancano, anzi. Fra le partecipazioni strategiche (MBDA, GIE ATR, TAS, Telespazio ed Hensoldt) c’è appunto la tedesca Hensoldt. Si tratta di una società specializzata in sistemi elettronici impiegati nei radar e nei sensori per l’optoelettronica e l’avionica. Ha fornito anche dei radar contro gli attacchi aerei all’Ucraina ma Leonardo già ci collabora da anni per l’Eurofighter in Germania.
Leonardo ne ha comprato un quarto (25,1%) a inizio 2022 per ben 606 milioni di euro da KKR (quella che oggi sta comprando la rete di TIM). La quota di Leonardo in Hensoldt è quindi pari a quella della Repubblica Federale Tedesca che ne ha almeno il 25,1% da statuto (con rappresentante nel consiglio di supervisione). Lo scorso 5 dicembre Hensoldt ha annunciato l’acquisto della connazionale dell’elettronica della difesa ESG da Armira per un enterprise value di 675 milioni di euro che intende finanziare con un aumento di capitale fino al 10% delle azioni in circolazione a oggi e con nuovo debito per circa 450 milioni di euro.
Il giorno dopo Leonardo ha precisato di condividere appieno l’acquisizione, ma anche che non parteciperà all’aumento di capitale.
Questa settimana alla guida di Hensoldt è arrivato, in sostituzione di Thomas Muller, Oliver Dorre, storico manager proprio di Thales di cui è estato CEO e Presidente dal 2021. D’altronde il titolo di Hensoldt non brilla come quello di Leonardo, in un anno eccezionale per il settore Difesa ha guadagnato in Borsa appena il 7%.
Però per molti potrebbe essere coinvolto in qualche nuovo merger europeo con la crescita della spesa UE in armamenti.
Leonardo, i colossi europei e la politica
Già l’anno scorso Thales ha comprato la britannica Cobham Aerospace Communication per $ 1,1 mld e la statunitense Imperva per $ 3,6 mld, mentre ad agosto la britannica BAE System ha comprato per ben 5,5 miliardi di dollari la Ball Aerospace.
Anche la britannica Bae System vale molto, circa 34,7 miliardi di euro, il conglomerato Dassault comprende (anche) Dassault Systemes che vale 56,45 miliardi di euro e Dassault Aviation che vale in Borsa 14,87 miliardi. Anche la tedesca Rheinmetall famosa per i carri armati Leopard che combattono per Kiev vale circa 13,29 miliardi di euro.
Leonardo insomma è piccola e si muove in una industria europea in consolidamento dove gli spazi di manovra si restringono e anche la politica spinge per delle aggregazioni che facilitano il progetto di creazione di una Difesa Unica che rassicurerebbe molto a fronte delle tempeste geopolitiche di confine (dall’Ucraina a Israele alla Libia).
Ma, come nota Reuters, a questo punto entrano in campo gli Stati che sono soci di peso dei grossi rimasti in gioco per un eventuale merger: Parigi al 25% di Thales e Dassault e all’18% di Safran, Berlino appunto in Hensoldt e Roma in Leonardo. Un discorso a parte è invece per Rheinmetall, che è controllata da vari hedge fund, da Wellington in giù, e per Bae Systems, controllata da istituzionali come Capital Research, Invesco e Barclays.
Se sulla carta insomma i merger sono prevedibili, il peso della politica nelle eventuali decisioni lo è ancora di più.
Leonardo, le partnership europee, dai missili ai caccia
Le intese però ovviamente non mancano. Tornando a Leonardo basta guardare alle partecipazioni strategiche.
Ci sono i missili di MBDA in cui è socia al 25% di Airbus (37,5%) e Bae Systems (37,5%). Parliamo di un colosso da 14 mila dipendenti e 4,2 miliardi di euro di ricavi.
La NSPA della Nato il 3 gennaio ha confermato che supporterà le Germania, Olanda, Romania e Spagna con un contratto per la realizzazione di fino a mille missili Patriot GEM-T: se ne avvantaggerà proprio COMLOG, la joint venture paritetica tedesca tra la stessa MBDA e l’americana Raytheon. Un contratto che potrebbe valere secondo AnalisiDifesa fino a 5,5 miliardi di dollari.
C’è poi il Global Combat Air Programme(GCAP), il nuovo programma di aerei da combattimento che unisce la Bae britannica, la Mitsubishi giapponese e appunto la Leonardo italiana. Vale decine di miliardi.
Con la BAE Systems e con Airbus Leonardo collabora anche sull’Eurofighter Typhon, il cacciabombardiere molto venduto anche in Medioriente (fra l’altro la Germania ha appena “sbloccato” la vendita di 48 velivoli di questo tipo all’Arabia Saudita con l’obiettivo di consentirne l’impiego nella crisi del Mar Rosso. Prima era stata impedita proprio per il caso della guerra in Yemen e per il caso Khashoggi)
Ci sono anche almeno 125 carri armati Leopard 2 A8: Leonardo ha confermato che li costruirà e manuterrà per l’Esercito Italiano insieme a KNDS, una joint venture della tedesca Krauss-Maffei Wegmann e della francese Nexter. Sui carri l’obiettivo sarebbe già continentale con la creazione di un “Gruppo di Difesa Europeo” il cui indotto per Der Spiegel potrebbe raggiungere un totale di commesse per 50 miliardi di euro.
Bisogna poi almeno accennare alla vera eccellenza di Leonardo: gli elicotteri. Su un portafoglio di 40,1 miliardi di euro al 30 settembre scorso, 14,57 miliardi erano di elicotteri e 17 miliardi di Elettronica per la Difesa e la Sicurezza. Nei nove mesi gli ordini sono cresciuti del 14,8%, il debito è calato di oltre mezzo miliardo a 3,8 mld e il deflusso di cassa si è ridotto da 900 a 600 milioni di euro.
Senza considerare tutti i più ampi intrecci sul fronte dell’Aerospazio che meriterebbero un articolo a parte.
Di certo i colossi dell’armamento non hanno alcuna intenzione di rinunciare ai profitti messi in piedi con gli ultimi conflitti. Anzi, stanno trasformando le guerre al confine dell’Europa in un business di lungo periodo. Se ci riusciranno davvero, dati i bilanci nazionali non sempre solidissimi, è presto per dirlo. Per ora di certo la guerra continua a rendere.