Inflazione ancora in calo a marzo, ma i prezzi restano alti

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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Il 7,6% dell’ultimo mese è un buon segnale sul raffreddamento del carovita, ma a guardare i dati da vicino le incertezze rimangono e anzi si moltiplicano. Dopo l’ultima decisione dell’Opec+ e le previsioni dell’Arera i rischi si moltiplicano, né la crescita importante di capitoli di spesa essenziali per le famiglie lascia ben sperare sulla tenuta della domanda

Inflazione ancora in calo a marzo, ma i prezzi restano alti

La nota di stamane sull’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) diffusa dall’Istat conferma “la fase di rapido rientro dell’inflazione”: siamo al 7,6% a/a nel terzo mese di questo 2023 carico di incertezze.

Un dato in calo sulle attese degli analisti (7,7%) e in rapida flessione sul 9,1% dell’inflazione registrato a febbraio. Ma almeno due grandi temi minacciano questa tendenza all’assestamento che lascia comunque ancora livelli dei prezzi storicamente elevati e necessariamente da collegare a una stretta monetaria in costante riconferma da parte della BCE (anche per la coerenza del dato italiano con i vari dati sull’inflazione in Europa).

Inflazione, la minaccia dell’Opec+ sui prezzi

Il primo tema è la decisione dell’Opec+ di tagliare la produzione di 1,16 milioni di barili al giorno a partire da maggio si sente infatti sui prezzi del greggio e catena sui più generali prezzi dell’energia da tempo. Lo ha ribadito recentissimamente anche l’IEA, nel suo ultimo Oil Market Report di aprile: le previsioni dell’Agenzia internazionale dell’energia infatti prevedevano già il rischio di una restrizione nella bilancia dei mercati per la seconda metà del 2023 e gli ulteriori tagli produttivi del cartello allargato alla Russia e ai suoi alleati “rischiano di esacerbare queste pressioni, spingendo sia i prezzi del greggio, che quelli dei prodotti petroliferi al rialzo”. Con il facile corollario che “i consumatori già sotto l’assedio dell’inflazione soffriranno ancora di più da prezzi più elevati, specialmente nelle economie emergenti e in via di sviluppo”.

La decisione dell’Opec+ viene dopo un taglio dell’output russo di 500 mila barili al giorno a marzo, poi esteso al resto del 2023 e dopo una riduzione di 2 milioni di barili al giorno di obiettivo che è divenuta efficace lo scorso novembre. Sembrano servire a poco le ricostruzioni delle scorte in atto nell’Ocse, perché l’incremento di gennaio di 53 milioni di barili di stock a un totale di 2.853 milioni di barili, il più alto livello dal luglio 2021, rimane ancora a 47 milioni di barili dalla media quinquennale e soprattutto perché già a marzo il trend di ricostruzione delle scorte si è invertito con un calo di 39 milioni di barili, il maggiore dell’ultimo anno.

Inflazione: le previsioni infauste dell’Arera sulle bollette (e le misure del governo)

L’altro grande tema, strettamente collegato, che minaccia i prezzi italiani è quello delle quotazioni all’ingrosso dell’energia elettrica. L’Arera ha scritto in una recente memoria:

Le quotazioni dei mercati all’ingrosso dell’energia elettrica per i prossimi mesi hanno recentemente di nuovo mostrato volatilità crescente e quotazioni per il terzo e quarto trimestre in rialzo, con aumenti di circa il 10% nel terzo trimestre e del 25% nel quarto trimestre rispetto alle quotazioni del secondo trimestre

Una spada di Damocle terribile, ma di cui il governo ha cominciato a prendere le misure con il Decreto Bollette all’esame del Parlamento che poi è anche il testo su cui si è espressa l’Autorità dell’energia.

Alcuni aspetti attirano soprattutto l’attenzione dell’Arera.

Il primo articolo che prevede fino a 400 milioni di euro per agevolazioni sulle tariffe energetiche (elettricità e gas) per famiglie con ISEE fino a 30 mila euro.

Il secondo articolo che per i consumi fino a 5 mila metri cubi di gas l’anno mantiene per questo aprile 2023 le aliquote negative della componente tariffaria UG2C e ne fissa il valore in misura ridotta del 65% rispetto al primo trimestre 2023.

In pratica l’ UG2C è una delle componenti del ginepraio fiscale cresciuto intorno a gas ed elettricità, una componente relativa alla distribuzione che era stata trasformata in aliquota negativa nei momenti di massima tensione sui prezzi per alleviare gli impatti su famiglie, imprese e operatori di settore.

Per capire le poste in gioco basti ricordare che la Legge di Bilancio 2023 stanziava fino a 3 miliardi di euro per consentire queste aliquote negative nel primo trimestre.

Ora, con i forti cali dei prezzi del gas (da 68,37 €/MWh a gennaio a 46,58 €/MWh a marzo), si cominciano a tagliare questi sconti che scompariranno da maggio.

Sono appunto manovre da finanziaria, basti pensare che per mantenere l’azzeramento delle altre aliquote degli oneri generali di sistema sono autorizzate spese per 160 milioni di euro proprio per questa aliquota negativa “light” dell’aprile 2023 e altri 120 milioni di euro per il mantenimento per l’intero secondo trimestre 2023 delle aliquote azzerate degli alti oneri generali di sistema.

In definitiva quindi una convalescenza non proprio economica e con la prospettiva di ulteriori rialzi per cui lo stesso progetto di legge in discussione prevede l’articolo 3.

Ossia un contribuito in quota fissa in caso di prezzi gas elevati.

Di cosa si tratta? Se il prezzo medio del gas all’ingrosso supererà la soglia di 45 euro/MWh su base mensile nei mesi di ottobre, novembre e dicembre, scatterà un contributo in quota fissa e differenziato per zone climatiche a parziale compensazione delle spese di riscaldamento sostenute dalle famiglie, ad eccezione di quelle già titolari del bonus sociale: un paracadute che potrebbe costare fino a 1 miliardo di euro, ma che tutti sperano di non dovere aprire.

Anche se il più recentemente andamento dei prezzi del greggio, come visto, proietta ombre cupe sul resto dell’anno, ancora i prezzi del gas tengono e oggi il TTF olandese quota a 41,7 euro a megawattora. Decoupling o meno, il Brent ha fatto un balzo di oltre il 23% in 18 sedute. Il WTI è balzato nello stesso periodo del 17,39%

Sono corse che si riflettono sui prezzi della benzina e in generale dei trasporti e a valle dei beni al consumo, inevitabilmente. I recenti rapidi rientri dell’inflazione “headline” sono sotto minaccia, insomma.

Ma torniamo all’Italia.

Prezzi, cosa sale e cosa scende in Italia

A marzo l’indice generale dei prezzi è sceso al 7,6% a/a con una variazione su febbraio del -0,4%, ma per le famiglie non sono rose.

I beni alimentari, comprendendo quelli non lavorati (che rientrano nell’inflazione headline, ma non nella “core”), che quelli lavorati (che sono invece solo core), mostrano un incremento del 12,9% a/a. Ovviamente il peso di questo balzo a due cifre graverà soprattutto sui bilanci familiari più fragili che nell’alimentare hanno una quota di spesa maggiore.

I beni energetici hanno registrato un rialzo del 10,8% che deriva dai non regolamentati (+18,9%, mentre i regolamentati mostrano un calo del 20,3%).

Gli altri beni, sia i durevoli che i non durevoli, che i semidurevoli (per esempio auto, tv e frigoriferi), mostrano rialzi tendenziali tra il 3,1% dei semidurevoli e gli oltre 6 punti dei più diffusi beni durevoli e non durevoli.

Complessivamente i beni segnano quindi un rialzo del 9,7%, meno del 12,4% di febbraio, ma comunque davvero troppo per un Paese con 5,6 milioni di persone senza mezzi sufficienti per condurre una vita dignitosa (un numero peraltro più che raddoppiato in poco più di un decennio, con sfide dunque che sono ancora da comprendere appieno).

I servizi tengono con rialzi del 4,5%, che rispetto al +9,7% dei beni sembra poco, ma è un livello storicamente molto elevato e composto per giunta da un +6,3% dei servizi relativi ai trasporti.

Inflazione, la prospettiva dalle divisioni di spesa dell’IPCA

Per un quadro che eviti però fraintendimenti bisogna anche guardare all’indice IPCA, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo, la misura europea dell’inflazione che dovrebbe fare da riferimento, ma stenta a imporsi. In questo caso marzo mostra un +8,1%, sotto il consensus (8,2%) e sotto il dato di febbraio (+9,8%).

Le divisioni di spesa che scompongono questo paniere mostrano pesi preponderanti per alimentari e bevande analcoliche, quindi per i trasporti, quindi per il gruppo “abitazione, acqua, elettricità e combustibili”, quindi per i servizi ricettivi e di ristorazione. Da soli questi insiemi coprono quasi il 40% del paniere.

Bene si registra un balzo del 15% del gruppo collegato all’abitazione, meno del 24,5% di febbraio, ma comunque non proprio bruscolini per queste spese essenziali.

Anche Prodotti alimentari e analcolici balzano del 13,2% contro il 13,4% di febbraio. Difficile non leggere ancora una volta un’inflazione sempre più radicata nella struttura dei prezzi.

Il tutto trova conferma così nella dinamica dell’inflazione di fondo, ossia la “core”, che mostra un aumento del 6,3%.

In definitiva quello di oggi rimane dunque un buon segnale, ma decisamente le sfide non mancano, sia per i livelli ancora elevati dei prezzi, sia per le incertezze di cui sopra (dai rischi di nuovi rincari energetici nelle previsioni dell’Arera a quelli collegati allo scenario internazionale), sia per altre, come quelle collegate alla guerra in Ucraina o ancora all’impatto della politica monetaria restrittiva. I consumi restano a rischio e con essi la ripresa economica.

L’ultimo dato sulle vendite a dettaglio di febbraio deve mettere in guardia: su base tendenziale si registra un +5,8% in valore e un -3,5% in volume. Come a dire che la gente compra meno, ma i prezzi continuano a crescere. Difficile non aspettarsi una frenata in queste condizioni.

Anche l’ultimo PMI manifatturiero, che analizza la fiducia dei responsabili acquisti di circa 400 imprese italiane del manufatturiero, lo conferma:

In un contesto di aumento dei tassi d'interesse e di incertezza macroeconomica globale, i partecipanti hanno riferito che l'esitazione dei clienti e la riluttanza a impegnarsi in nuove vendite hanno limitato le acquisizioni di nuovi ordini a marzo. Nel complesso, le vendite sono aumentate marginalmente dopo un mese di simili crescite a febbraio. Secondo gli intervistati, una fonte fondamentale dell'aumento delle vendite complessive a marzo sono stati nuovi ordini destinati all’esportazione, che hanno infatti mostrato un lieve aumento per la prima volta in quasi un anno

L’esitazione dei clienti un dato chiave e forse in questa primavera servirà più di una schiarita, anche per non arrivare a un inverno che potrebbe essere più rigido del previsto.