Google senza Chrome? Si addensano le nubi sul Big Tech USA

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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Accuse di monopolio al gigante di Mountain View, il Dipartimento di Giustizia chiede, tra l'altro, la vendita di Chrome e delle attività in AI (Anthropic). Ad aprile un nuovo round in Tribunale, ma intanto cause di monopolio sono in forza contro Meta, Apple e Amazon

Google senza Chrome? Si addensano le nubi sul Big Tech USA

Trema di nuovo il tech Usa, anche se in questo caso le scosse di avvertimento c’erano state eccome, soltanto non era ancora chiaro come l’orientamento della nuova amministrazione Trump avrebbe accolto uno dei casi più caldi di Wall Street: quello della separazione da Google del suo motore di ricerca Chrome, in pratica uno dei suoi asset più importanti.

Il Dipartimento di Giustizia americano ha confermato l’orientamento tenuto durante l’amministrazione Biden, ossia un duro niet all’attuale asset del gruppo. In altre parole il DOJ americano ribadisce che Google detiene monopolio illegale nei motori di ricerca e deve quindi separare le attività di Chrome dal resto.

Google, i giudici Usa chiedono la cessione di Chrome

Già l’anno scorso una decisione storica del giudice Amit P. Mehta del Distretto della Columbia aveva sostenuto questa tesi sottolineando che la posizione di monopolio era collegata a pratiche di esclusione della concorrenza, a barriere di ingresso nel mercato della ricerca online e della pubblicità su internet realizzate anche tramite pagamenti e contratti specifici con i produttori di dispositivi che inserivano di default il browser di Google ai danni della concorrenza.

Nel novero pratiche che disincentivavano Apple dal fornire alternative possibili ai servizi di Google, contratti con i publisher per limitare l’ingresso di potenziali concorrenti, sistemi di remunerazione che privilegiavano Chrome. Sotto accusa anche i servizi collegati all’intelligenza artificiale che si sposa ogni giorno di più con i motori di ricerca.

Google, nel mirino anche Android e gli investimenti in AI

Google ha in realtà già annunciato un appello contro la decisione della corte Usa che intima già dallo scorso anno di vendere Chrome e tutti gli asset e servizi necessari e richiede un’approvazione preventiva dell’acquirente eventuale di queste attività.

Nel mirino è infatti non solo il motore di ricerca più diffuso al mondo, ma anche accordi con giganti come Apple, Mozilla e Samsung che prevedono che in caso di ricerca sul web appaia immediatamente il browser di Google.

Nel mirino anche Android, il sistema operativo della telefonia mobile sostanzialmente di proprietà di Google.

Google, le proposte della società per ristabilire la concorrenza

Il colosso guidato da Sundar Pichai afferma invece che il successo di Chrome non è dovuto a pratiche anti-concorrenziali, ma a una sua migliore qualità nell’intercettazione dei contenuti e della domanda dei consumatori.

Non solo, il dominio di Chrome, sarebbe secondo la casa di Montain View rappresenterebbe un’eccellenza americana e un baluardo della sicurezza nazionale, quindi un suo spezzatino rischierebbe di nuocere agli interessi della nazione. Il segnale di venerdì scorso, quando il Dipartimento di Giustizia ha chiesto ad Alphabet di cedere anche i suoi investimenti nell’intelligenza artificiale, comprese le quote nel concorrente di OpenAI Anthropic, è stato letto come una chiara indicazione dell’approccio della nuova amministrazione Trump ai grandi dilemmi del big tech Usa.

La questione è rovente perché Google sostiene che una revisione dei contratti con le grandi case, con una maggiore “flessibilità” anche sul fronte dei contratti con i big degli smartphone sarebbe sufficiente a garantire la concorrenza senza ridurre i servizi all’utenza.

Secondo Google, i rimedi proposti dal Dipartimento di Giustizia non dimostrano a sufficienza il nesso di causalità tra il dominio della propria offerta e le pratiche messe all’indice.

C’è inoltre il rischio di tarpare le ali agli investimenti enormi che la casa ha portato avanti finora.

Ad aprile è previsto un nuovo round giudiziale in questo caso dalla portata globale in cui i giudici denunciano il rischio di limitazione alla libertà di opinione e associazione, di innovazione e di competizione mentre Google reclama una posizione di successo dovuta ai propri meriti.

In gioco c’è però ancora di più: sono in atto processi per posizioni di monopolio anche contro Meta, Apple e Amazon e l’esito della battaglia legale su Google potrebbe essere un anticipo di un generale riassetto (o di una riconferma) dell’attuale equilibrio del Big Tech a stelle e strisce.

Google, Alphabet ripiega in Borsa, ma flette anche tutto il Nasdaq

Ieri il titolo Alphabet ha accusato il colpo con un calo del 4,6% e oggi il titolo perde ancora e torna sui minimi di novembre, tecnicamente il grafico indica il cedimento della trendline rialzista in forza dal marzo 2023 e l’area attuale di prezzo a 163 dollari incorpora supporti di peso.

Il calo del titolo è in atto dal 4 febbraio scorso, quando furono aggiornati i massimi a 207 dollari circa, da allora le azioni hanno violato le medie mobili esponenziali a 50 e a 100 sedute.

Tutti brutti segnali condivisi con l’indice tecnologico generale Nasdaq 100.

Forse il cielo si fa grigio sulla Silicon Valley, forse il pellegrinaggio dei CEO del big tech americano a Mar-a-Lago, la dimora del nuovo presidente Usa non ha scongiurato il maltempo.