Unicredit, una fiche miliardaria su Generali per allettare il governo
pubblicato:Vale quasi due miliardi l'investimento di Unicredit che potrebbe essere decisivo a maggio per l'assemblea della compagnia assicurativa. L'asse Delfin-Caltagirone-governo potrebbe ingolosirsi
Fa un po’ impressione vedere il titolo di Generali guadagnare l'1,11% con un rally degno di una midcap qualunque. Il grafico delle azioni (quello giornaliero, ma anche quello mensile) mostra un’impennata dei prezzi ancora più vertiginosa per un gigante da oltre 48,6 miliardi di capitalizzazione ormai. La forza del titolo spicca ancora di più oggi se si considera che in teoria dovrebbe essere un difensivo e se si guarda al resto del mercato che cade sotto i colpi dei primi dazi di Trump: FTSE MIB -1,01%, Euro Stoxx 50 -1,6%, Euro Stoxx Insurance -0,86%
Generali, l'investimento a sorpresa di Unicredit
Per dire che gli acquisti sul Leone di Trieste sono quasi una mosca bianca e che la notizia rimbalzata tra agenzie e quotidiani nel week end dell’ascesa di Unicredit al 4,1% del capitale della compagnia assicurativa ha regalato a Generali – se anche ce ne fosse stato bisogno – ulteriori appeal speculativo.
La conferma delle indiscrezioni da parte di Piazza Gae Aulenti è giunta alle 14:32 di ieri, una domenica rovente per gli appassionati di scenari finanziari.
Non può essere definito un fulmine a ciel sereno. Il cielo non era sereno e da settimane si parla ormai dell’offerta di MPS su Mediobanca che tira un fils rouge tra Siena e Trieste, visto che Caltagirone e la Delfin degli eredi Del Vecchio sono azionisti su tutta la catena. Con la novità quest’anno dell’appoggio chiaro del governo all’offerta della banca senese su Piazzetta Cuccia.
Quell’11,7% di MPS che il governo ancora controlla e non è più vincolato a obblighi europei di disimpegno è chiaramente a supporto della caccia grossa che punta in ultima analisi al Leone, visto che poi con tutto il suo know how e il brand e premier e il credito al consumo e il resto, nella cassaforte di Mediobanca il 13,1% di Generali resta il gioiello più prezioso.
Generali, breve recap di tutto il resto (o quasi)
Così quando rimbalza sugli schermi la notizia che Unicredit ha circa il 4,1% di Generali (oltre a uno 0,6% detenuto come sottostante di attività ordinarie dei clienti e relative coperture), la comunità finanziaria è costretta a rimasticare il pallottoliere delle opzioni possibili, dei patti industriali, degli equilibri di potere.
Unicredit (-1,22% stamane in linea sostanzialmente con un mercato che è appunto in ribasso) sottolinea che “è un puro investimento finanziario”.
Con tutte le pressioni sulla cassaforte degli italiani parrebbe quasi vero, se non fosse che i forni di Andrea Orcel sono tutti troppo vicini per rendere credibile un’assenza di contaminazioni.
A partire da Banco BPM. Non è un segreto che il governo si è inviperito quando nel mezzo di una impantanata battaglia per la conquista di Commerzbank, Unicredit ha lanciato un’offerta carta contro carta su Piazza Meda a fine novembre.
Un’offerta risibile sul fronte del valore (ancora stamane le 0,175 azioni di Unicredit offerte per ogni titolo di Banco BPM valgono l’8,9% in meno del valore di Borsa della banca guidata da Giuseppe Castagna), ma capace per se stessa di congelare i piani dello stesso governo Meloni per il terzo polo bancario italiano a causa della passivity rule.
Il Ministero dell’Economia aveva appena chiuso l’ultima tranche di privatizzazione di MPS e un 5% era stato aggiudicato proprio a Banco BPM – mentre Delfin saliva al 9,78% della banca senese e Caltagirone oltre il 5% - ed era chiara una prospettiva sul fronte che va da Piazza Salimbene, la piazza senese che da sempre ospita Banca MPS, e Piazza Meda, la milanese sede di Banco BPM. Niente da fare, Orcel scombinava il gioco.
La prima reazione in realtà è stata anche del Credit Agricole, primo azionista di Banco BPM con il 9,9% del capitale, che ha annunciato il 6 dicembre la sottoscrizione di contratti in derivati su un altro 5,2% di Banco BPM, portandosi quindi al 15,1% potenziale e annunciato l’intenzione di chiedere l’autorizzazione alla BCE a salire fino al 19,99%.
Se ce ne fosse bisogno il colosso francese guidato dal CEO Philippe Brassac sottolineava che sul futuro del Banco si doveva parlare comunque con il Credit Agricole, già forte di accordi sul credito al consumo e sulla bancassurance.
Appena due giorni prima Davide Leone aveva raggiunto il 5,324% potenziale del capitale del Banco, aggiungendo al 2,147% detenuto da tempo direttamente, opzioni di call e put con scadenze tra il 20 dicembre 2024 e il 19 giugno 2025 sull’1,239% del Banco e un Cash-Settled contract for differenze con scadenza al 15 gennaio 2025 sull’1,938%.
Il 19 dicembre entrava in campo anche Bank of America con il 6,852% potenziale del Banco BPM, solo l’1,168% diretto e il resto tra right to recall senza scadenza (0,132%), call option con scadenza tra il 19 giugno 2025 e il 18 giugno 2026 sul 5,422% (titolare delle partecipazioni Merrill Lynch International) e un altro 0,131% in una OTC Option con scadenza al 19 dicembre 2025. Da tempo in Banco BPM ci sono poi BlackRock, secondo azionista con il 5,037% (e socio forte anche di Unicredit con un altro 5,12%)
E’ poi del 30 dicembre la notizia che anche JP Morgan controlla un 3,057% del capitale di Banco BPM in gestione non discrezionale del risparmio, mentre a novembre anche Jefferies aveva detenuto un 4,665% del Banco.
Insomma nelle settimane successive all’offerta inattesa di Unicredit sul Banco BPM pezzi da novanta della finanza USA, oltre ovviamente al Credit Agricole, aveva costruito posizioni rilevanti nel capitale di Piazza Meda, mentre le azioni del Banco BPM salivano ben oltre l’offerta di Orcel. Il rischio di un muro di gomma si faceva sempre più concreto.
Generali, l'offerta a sorpresa di MPS su Mediobanca che punta al Leone
Poi l’altro grande colpo di scena. L’offerta di MPS per Mediobanca: 2,3 azioni di MPS per ogni titolo di Mediobanca, un’altra proposta carta contro carta poco verosimile, ancora oggi implica uno sconto dell’8,7% sul valore di Borsa dei titoli di Piazzetta Cuccia.
Ma anche questa volta di mezzo c’è il governo, appunto grande socio di MPS, e stavolta è subito chiaro che Generali è la posta finale, viste le quote:
- La Delfin dei Del Vecchio ha un nuovo 9,78% di MPS, più il 19,39% di Mediobanca (che come detto il maggior socio di Generali con il 13,1%), più un altro 9,82% di Generali
- Caltagirone ha un nuovo 5% di MPS, che aggiunge al 5,49% di Mediobanca e al 6,46% di Generali
Appare chiara una morsa a tenaglia su Generali in vista del piano annunciato giovedì scorso, del bilancio atteso per il prossimo 13 marzo 2025 e soprattutto dell’assemblea dell’8 maggio prossimo che dovrà anche rinnovare il consiglio di amministrazione.
Già tutto questo meriterebbe fiumi di analisi e d’inchiostro sugli scenari possibili.
Ma nel mezzo il gioco si complica ancora con la maxi-operazione di Generali con Natixis, il piano di un gestore di risparmio con 1.900 miliardi di asset in gestione a cavallo tra Trieste e Parigi. Caltagirone sembra subito fieramente contrario, forse teme di perdere il vantaggio nella partita per il controllo del Leone.
Intanto, un giorno prima del piano industriale arriva la conferma: il consiglio di amministrazione di Generali (con l’amministratore delegato Philippe Donnet fortemente sponsorizzato dal Ceo di Mediobanca Alberto Nagel) non presenterà una lista propria per il prossimo consiglio di amministrazione a maggio. Donnet spiega che dipende dal nuovo DDL capitali (un parto non sempre felice del governo Meloni, sicuramente incapace di rilanciare a pieno Piazza Affari) che ha cambiato lo scenario. Nel nuovo panorama regolatorio la lista del cda prevede un’approvazione distinta per ogni candidato e di fatto diviene più difficile.
Donnet era stato da subito critico. Comunque sia a questo punto Mediobanca dovrà presentare direttamente una propria lista e competere apertamente con quella eventualmente alternativa di Delfin o di Caltagirone.
Manca ancora qualche mese, ma le liste devono essere presentate 25 giorni prima dell’assemblea e per quella data verosimilmente ognuno degli attori in campo avrà deciso con chi stare.
Generali, la puntata da 1,97 miliardi di Unicredit ha un messaggio implicito al governo
L’ultimo blitz di Unicredit irrompe in questo scenario e, sebbene dichiari una puntata solo finanziaria su Generali, ma il 4,1% di Generali valeva venerdì scorso a mercato chiuso ben 1,97 miliardi di euro), si rivolge chiaramente al governo.
Difficile infatti pensare che il messaggio all’esecutivo non sia questo: abbiamo una quota strategica di Generali, potrebbe fare la differenza nella vostra partita con Caltagirone e Delfin, possiamo appoggiarvi oppure ostacolarvi molto. Dateci la vostra benedizione sul Banco BPM e avrete il nostro sostegno strategico per il resto.
Male che vada poi chissà, la compagnia promette dividendi, sale in Borsa e qualche spunto di business si potrebbe sempre trovare (fermo restando il patto di ferro di Unicredit con Allianz).
Intanto Generali a Piazza Affari sale ancora e torna a testare livelli che non vedeva dai massimi a cavallo tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008.
Intanto MPS lavora ai contatti con i grandi investitori anglosassoni di stanza a Londra. Tutto appare sospeso, il piano con Natixis, la nuova governance di Generali.
I piani futuri per buona parte della finanza italiana e per alcuni assetti europei non solo nel risparmio gestito ma anche nel banking più tradizionale.
Su tutti i dossier gli investitori al dettaglio, i piccoli azionisti (e i meno piccoli in molti casi), sembrano totalmente fuori dai giochi, con offerte non convenienti, carta contro carta e fumose sui dettagli industriali sulle prospettive che pure dovrebbero essere al primo posto per chi vuole proporre i propri titoli in cambio di altri e per giunta spesso a un prezzo sotto i valori di mercato. Già in passato su Mediobanca e sulla stessa Generali però sono stati i risultati portati sul tavolo e i piani concreti per il futuro a fare la differenza in assemblea.
In tanti sperano in uno o più rilanci qua e là, ma niente è certo. Fuorché la necessità di tenere allacciate le cinture.