Fuga di cervelli: sgravi a rischio per chi torna e stipendi fino a 10 volte più bassi
pubblicato:Il paragone ormai non regge più, su alcun piano: dalla retribuzione alle tutele, alla qualità della vita. Gli sgravi fiscali sono a rischio per i cervelli in fuga e li attendono stipendi fino a 10 volte più bassi.
Parlano i lavoratori che da anni sono all’estero per via della propria carriera. Il fenomeno della fuga di cervelli dall’Italia resta costante e, in alcuni settori in prevalenza, preoccupante.
Il paragone ormai non regge più, su alcun piano: dalla retribuzione alle tutele, dalla qualità della vita all’organizzazione, fino alla meritocrazia e alla tassazione.
Un’Italia che ormai diventa un Paese solo per le vacanze? Sono in tanti gli italiani all’estero che tornano nella loro regione d’origine solo per far visita ai parenti o per trascorrere i periodi di pausa dal lavoro, in estate o durante le festività.
Il Governo però ha deciso che concedere detrazioni fiscali a chi pensa di rientrare in Italia è troppo costoso per le casse statali. E da gennaio 2024 la situazione cambierà.
Fuga di cervelli, gli incentivi non funzionano
Lo scorso 16 ottobre, il Governo ha presentato una bozza del decreto legislativo riguardante il “rientro dei cervelli” in Italia, che è ricco di novità. Ma non allettanti purtroppo per coloro che stavano valutando un ritorno in patria.
Dal primo gennaio 2024 infatti nuove condizioni attendono chi rientra nel nostro Paese, dopo un periodo di lavoro all’estero. A oggi, e fino al 31 dicembre 2023, chi decide di tornare per lavorare in Italia, può beneficiare del 70% di sgravio fiscale sul reddito (è questa la percentuale del non imponibile).
E se si sceglie una regione del Sud per la residenza, allora la detrazione aumenta e arriva al 90%.
Da gennaio invece le cose cambieranno. Ecco un video dello studio commercialisti Allevi che presenta le principali informazioni al riguardo.
Rientro dei cervelli in Italia, nuovi requisiti dal 2024
Il Governo Meloni ha tirato le somme e ha stabilito che gli sgravi fiscali così impostati sono troppo onerosi per le casse dello Stato.
Ecco dunque che la bozza legislativa prevede delle importanti novità, a partire da gennaio 2024.
Innanzitutto, chi vorrò rientrate potrà beneficiare di una detassazione pari solo al 50% e solo se il reddito è inferiore a 600 mila euro.
Inoltre, i “cervelli” che vogliono tornare, devono aver lavorato all’estero per almeno tre anni e impegnarsi a restare in Italia per almeno cinque, dopo l’avvenuto trasferimento. Altrimenti, saranno tenuti a rimborsare al Fisco tutti i contributi non pagati nel periodo di permanenza in Italia.
Ecco le città migliori dove vivere in Italia per lavorare in Svizzera.
Fuga di cervelli, stipendi fino a 10 volte più bassi in Italia: le storie
Ecco le testimonianze di alcuni dei professionisti e lavoratori altamente specializzati che hanno commentato la decisione della Meloni.
Alcuni di loro, come due ingegneri elettronici (marito e moglie) che lavoravano nella stessa azienda al Sud, hanno ricevuto un’offerta dall’estero e sono partiti. E dicono:
Scrivetelo a caratteri cubitali, per favore. Il lavoro nella tecnologia a elevata specializzazione non è per niente valutato rispetto all’estero.
Loro sono rientrati al Sud per assistere un genitore malato e ora pagano il 10% di Irpef. Altrimenti, non l’avrebbero fatto.
Un altro ingegnere, in questo caso sviluppatore software si è trasferito all’estero ma con la consapevolezza che sarebbe stata dura ricominciare tutto. L’azienda poi lo ha richiamato ma lo stipendio era sempre lo stesso e molto più basso rispetto a quello estero. Nonostante la volontà di tornare, ha rifiutato. Essendo del Sud però gli hanno prospettato la possibilità delle detrazioni fiscali e di pagare solo il 10% di Irpef. E allora ha accettato.
Emblematico anche il caso di due veterinari (coppia sposata) che hanno messo in evidenza come il loro stipendio sia 10 volte più alto all’estero ma non solo. La loro più grande soddisfazione sta nell’aver realizzato una carriera che oggi li porta a convegni internazionali
con un contratto da alti dirigenti, benefit e tutele che in Italia un veterinario del loro livello sogna: sette settimane di ferie all’anno, malattia, assicurazione sanitaria, maternità.
Sono stati chiamati da due ospedali italiani per valutare un’offerta e hanno sostenuto il colloquio.
Offerta economica totalmente inadeguata, proposta a partita Iva, un salario dieci volte inferiore a quello che percepiscono all’estero e nessuna tutela.
La moglie afferma: "Non abbiamo avuto il coraggio di chiedere se la malattia fosse retribuita, perché ci sembrava tutto poco chiaro".
Per loro praticamente un salto indietro di almeno 20 anni.