Disney affonda a Wall Street. Utenti in fuga dallo streaming
pubblicato:Utenti in fuga dalla piattaforma di streaming. Disney, costretta a tagliare gli investimenti in contenuti, affonda a Wall Street nella peggiore performance del Dow Jones.
The Walt Disney Company affonda a Wall Street in scia a una trimestrale contrastata e segnata in particolare dalla fuga a sorpresa degli utenti dalla piattaforma di streaming Disney+.
Disney affonda a Wall Street sulla fuga a sorpresa degli utenti dello streaming
Il colosso dell'entertainment di Burbank ha comunicato per il secondo trimestre un calo degli abbonati, legata anche al taglio degli investimenti in contenuti voluto dal chief executive Bob Iger.
Alla fine del trimestre il 1° aprile Disney+ aveva 157,8 milioni di abbonati, contro i 161,8 milioni al 31 dicembre e decisamente sotto ai 163,5 milioni attesi dal mercato. Fuga dovuta a diversi fattori.
Utenti in fuga da Disney+ che ha rallentato la pubblicazione di contenuti
Disney+ ha rallentato la pubblicazione di nuovi contenuti, i prezzi degli abbonamenti sono aumentati e il big Usa dopo cinque anni ha perso i diritti digitali per il campionato di cricket in India.
Giustificazioni che non hanno evitato il crollo del titolo giovedì 11 maggio a Wall Street. E Disney ha perso l'8,73% al Nyse, nella performance peggiore di S&P 500 e Dow Jones Industrial Average.
I risultati del trimestre sono stati contrastati. L'utile è quasi triplicato da 470 milioni a 1,27 miliardi ma su base rettificata l'eps è calato da 1,08 dollari a 93 centesimi, in linea con le attese.
I ricavi sono saliti ma il pareggio nello streaming è ancora lontano per Disney
I ricavi sono saliti del 13% annuo a 21,82 miliardi contro i 21,80 miliardi del consensus di FactSet. Le perdite operative nello streaming sono scese da 887 a 659 milioni ma il pareggio è lontano.
Come nota Therese Poletti di MarketWatch i risultati di Disney non fanno che confermare quanto la guerra nello streaming e per catturare gli utenti stia solo rendendo il business più difficile.
Alti costi per la produzione di contenuti un problema per Disney come per Netflix
Gli alti costi per la produzione di contenuti sostenuti da Disney rispecchiano il problema che ha già afflitto Netflix da quando ha de-enfatizzato l'attività di noleggio di dvd per corrispondenza.
"È fondamentale razionalizzare il volume dei contenuti che creiamo e quanto spendiamo per produrli", ha ribadito il numero uno Iger nella conferenza di presentazione dei risultati trimestrali.
Va ricordato che il successo iniziale di Netflix nasceva dal fatto che l'azienda di Los Gatos poteva attingere al catalogo di tutti i maggiori produttori di contenuti. Nessuno credeva nello streaming.
Tutti i big sono entrati nello streaming ed è necessario continuare a produrre
Ora che tutti i big sono entrati in gara il panorama è radicalmente cambiato ed è necessario continuare a produrre nuovi contenuti per motivare i consumatori nel rimanere abbonati a una piattaforma.
La chief financial officer Christine McCarthy ha spiegato agli analisti come Disney rivaluterà il catalogo di Disney+ sottolineando che toglierà contenuti e che ne produrrà di nuovi con "volumi inferiori".
La dieta di Disney costerà 1,5-1,8 miliardi di svalutazioni nel terzo trimestre
Revisione parte della dieta dimagrante voluta da Iger e incentrata su un'ottica di risparmio dei costi ma che si tradurrà in svalutazioni nell'ordine degli 1,5-1,8 miliardi di dollari nell'attuale trimestre.
Come per Netflix, impegnata in una non facile transizione (stretta sulla condivisione di password e introduzione della pubblicità), anche per Disney il business dello streaming non è semplice.
Streaming rimane comunque una "terra promessa" di grandi opportunità
Per Michael Nathanson di Svb MoffettNathanson lo streaming rimane una "terra promessa" di grandi opportunità, nonostante massicci investimenti e le perdite generate dai contenuti.
"Il quadro degli utili nel lungo periodo dovrebbe essere più luminoso di quanto il mercato creda e per questo riteniamo il titolo sottovalutato", ha sottolineato Nathanson, citato da MarketWatch,.