Italia, i numeri del DEF su Pil, deficit e debito
pubblicato:Esplode a 219,5 miliardi di euro il costo dei bonus edilizi (ma non è solo il 110%) e pesa su tutto, dal deficit al debito. Le nuove stime però tengono, anche se tagliano qua e là. Il governo decide di aspettare qualche mese per i numeri completi e intanto conferma taglio dell'Irpef e del cuneo per l'anno prossimo
Rinviare tutto può avere un senso. Il nuovo DEF 2024 varato dal governo in sostanza fa un quadro della situazione economica dell’Italia (peggiorando le stime) senza però aggiungere niente sulle politiche economiche. Lascia quindi nell’incertezza, potenzialmente fino al prossimo 20 settembre, analisti e operatori finanziari, cittadini e giornalisti, fino alla più ampia platea degli stakeholder, come ama dirsi oggi. Ci sono dei motivi che vanno capiti però. Il primo, squisitamente pragmatico è l’incombenza delle elezioni europee e la necessità di attendere l’insediamento della nuova commissione europea e quindi il posizionamento post elettorale delle forze politiche (continentali e nazionali). Il secondo, strettamente collegato, è quello di prendersi il tempo necessario per trovare quell’equilibrio tra i vari capitoli di spesa e di entrata che quest’anno rischia di essere più complicato del solito.
Italia: i numeri del DEF su Pil, deficit e debito
2024 | 2025 | 2026 | 2027 | ||
PIL | DEF | 1,0% | 1,2% | 1,1% | 0,9% |
NADEF (settembre 2023) | 1,2% | 1,4% | 1,0% | ||
Deficit | DEF | 4,3% | 3,7% | 3,0% | 2,2% |
NADEF | 4,3% | 3,6% | 2,9% | ||
Debito | DEF | 137,8% | 138,9% | 139,8% | 139,6% |
NADEF | 140,10% | 139,90% | 139,60% |
Luci e ombre nel nuovo Documento di Economia e Finanza. Senza il calcolo degli effetti delle manovre del governo, le stime vanno prese con le pinze: è un po’ come dire “ecco che succede se non facciamo niente (ma state certi faremo)”. A bocce ferme però intanto le stime vengono riviste. Il Pil 2024 passa dall’1,2% della Nadef all’1,0%, quello del 2025 dall’1,4% a 1,2%. Sono degli zerovirgola - è vero – ma ogni 0,1% sui dati del 2023 vale circa 2 miliardi, quindi c’è poco da scherzare.
Sorprende positivamente la stima immediata sul debito/pil che non solo si pone sotto il 140% annunciato, ma scivola nella previsione per il 2024 al 137,8% Si tratta di stime a politiche invariate – va ricordato ancora – ma come noto quando già le stime sulla traiettoria del debito erano uscite in passato si era sottolineata la traiettoria di peggioramento della dinamica del debito pubblico in rapporto al Pil. Le previsioni sono infatti per il passaggio graduale dal 137,8% del 2024 al 138,9% nel 2025 quindi al 139,8% nel 2026 e solo nel 2027 un calo minimo al 139,6%. La variazione sulla Nadef è relativa, il peso sul dato del costo mostruoso dei bonus edilizi confermato.
E poi c’è il deficit. Schizzato al 7,2% nel 2023 ci garantisce una procedura per eccesso di deficit e richieste di correzione negli anni a venire. Una brutta certezza, che l’essere in ampia compagnia non consola. Anche sul fronte del deficit le nuove stime del governo sono leggermente peggiorative: 4,3% nel 2024 (invariato sulla Nadef), 3,7% nel 2025 (vs. 3,6%), 3% nel 2026 (vs 2,9%), ma nel 2027 dovrebbe tornare al 2,2% grazie probabilmente anche all’estinzione finalmente del pesante fardello dei superbonus.
Sono tutti numeri importanti che non hanno però scosso il mercato e confermano un quadro di sostanziale controllo dei conti pubblici. Non tutto è coperto, non tutto è chiaro, non tutto sarà semplice, ma l’allarme superbonus sembra comunque pesantissimo ma in qualche modo sotto controllo. Il fatto che poi il mercato per ora guardi alle politiche monetarie e ai tassi più che alle manovre di finanza pubblica aiuta. D’altronde è vero che senza numeri più definitivi con le manovre dei governi, ogni esercizio di analisi resta per forza di cose parziale. Ma qualcosa si può comunque aggiungere in questa fase.
Ci sono infatti le regole, il macigno e le promesse.
Italia, DEF e conti pubblici: la questione delle regole
Le regole sono le nuove regole europee con il debutto del nuovo patto di stabilità, l’attesa per le traiettorie tecniche, la procedura per eccesso deficit, gli sconti previsti e i negoziati sotto il nuovo quadro, che quindi si definirà per tutta l’Europa in autunno, pur con il passaggio importante a maggio delle raccomandazioni specifiche per Paese e a giugno delle elezioni. Ci torneremo sopra, ma è un percorso che accomuna tanti Paesi europei e in effetti l’Italia sarà probabilmente in buona compagnia nella presentazione di documenti economici e finanziari senza un quadro programmatico. E’ una scelta economica, ma anche politica, anche perché un governo che si senta “in forma” può sfruttare il quadro programmatico per promettere nuovi interventi da sfruttare in chiave elettorale a giugno.
Italia, DEF e conti pubblici: il macigno…
Il macigno. Il macigno è quello del Superbonus 110%, o meglio dei bonus per edilizia in generale. Una valanga che cresce, anzi esplode, fino a 219,5 miliardi di euro che, anche tolti 40 miliardi già compensati e 16 miliardi di euro di crediti sequestrati (cifra che dovrebbe ancora salire) lascia sul campo 163 miliardi di euro. Una montagna di denaro superiore a quella del PNRR, che lascia spiazzati un po’ tutti, che è già sotto accusa per la lievitazione del deficit 2023 al 7,2% (dal 5,3% di appena pochi mesi prima) e che proietta ombre oscure sul debito pubblico e sulle manovre finanziarie dei prossimi anni. Non è tutto superbonus 110%: al discussissimo provvedimento anti-crisi sono attribuiti 160,3 miliardi di euro, mentre 58,7 miliardi di euro sono da ricondurre alle altre agevolazioni edilizie (per esempio il bonus facciate). Ma se arriva una valanga, farne una radiografia serve fino a un certo punto.
Italia, DEF e conti pubblici: le promesse
Le promesse. In tutto questo difficile lavoro di sartoria parziale, nel quadro tendenziale senza le nuove misure del governo, si rivedono comunque le stime della Nadef e si confermano alcuni impegni. Ci si prepara a qualche amarezza e al tempo stesso filtra l’aria di elezioni europee.
Il taglio delle aliquote Irpef dovrebbe costare circa 4,3 miliardi di euro e il governo ha riconfermato l’intenzione di rimetterlo in campo nel 2025. Senza un rifinanziamento del provvedimento, scadrebbe infatti alla fine di quest’anno: coinvolge più di 30 milioni di italiani (oltre ai 10 milioni della no tax area), sarebbe sicuramente un tema politicamente sensibile senza la dovuta chiarezza.
C’è poi il taglio del cuneo contributivo (lato aziende) che costerebbe altri 10 miliardi di euro e che il governo intende confermare l’anno prossimo.
E ci sono spese indifferibili per 20 miliardi e si potrebbero aggiungere i temi della difesa e della sanità... ma qui già si scivola oltre giugno, nella terra tutta da perimetrare del dopo elezioni europee.