Allarme a Panama, con il clima si rompe anche il commercio globale

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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La peggiore siccità in quasi un secolo e mezzo mette in crisi lo Stretto e il 5% del commercio marittimo mondiale. I prezzi salgono, le navi cariche di petrolio, di gas, di container aspettano in file per settimane. Ma potrebbe essere solo la punta dell'iceberg di una crisi globale dei porti ed El Niño non promette niente di buono

Allarme a Panama, con il clima si rompe anche il commercio globale

L’effetto domino è devastante. A lanciare l’allarme è stato anche il Fondo Monetario Internazionale (FMI) che ha fatto i conti sulla crisi dello Stretto di Panama e ha capito che è un problema serio.

Il teorema è che la siccità e le alluvioni che stanno accompagnando il riscaldamento globale stanno anche mettendo KO il commercio mondiale che è basato ancora sulle navi e sui porti.

Commercio globale, ecco quanto vale Panama

Il Canale di Panama rischia di essere solo la punta dell’iceberg, ma già da solo farà danni in mezzo mondo.

Da quell’opera faraonica cui ha contribuito anche la nostra Webuild passa circa il 5% del commercio marittimo globale. Significa oltre mille navi al mese con circa 40 milioni di tonnellate di merce. Più o meno 14 mila transiti all’anno, un pilastro del commercio marittimo.

Prima del Canale di Panama bisognava infatti doppiare Capo Horn in Sudamerica e fare un viaggio di 8 mila miglia nautiche che richiedeva due mesi, oggi il 40% dei container statunitensi passa da Panama. Sono 80 chilometri vitali per la globalizzazione insomma.

Panama, la peggiore siccità degli ultimi 143 anni

Adesso c’è la peggiore siccità degli ultimi 143 anni e il lago Gatun che alimenta il canale si è seccato con il risultato di un taglio di circa 15 milioni di tonnellate di merce nei passaggi quest’anno.

L’FMI ha registrato così un effetto domino su molti altri porti e Paesi collegati al traffico di Panama. L’impatto si può stimare tra il 10 e il 25% dei flussi commerciali da e per Nicaragua, Ecuador, Perù, El Salvador e Giamaica, ma gli effetti su una mappa mondiale si diffondono sui maggiori porti degli Stati Uniti, del Giappone, della costa cinese, sulle coste europee, persino in Australia e Nuova Zelanda.

Butterfly effect?

A Panama il traffico si dimezzerà in pochi mesi, colpa anche di El Niño

A fine ottobre Canal de Panamà, l’Authority dello stretto, ha emesso un altro costernato comunicato: il mese di ottobre è stato il più secco degli ultimi 73 anni, il 41% di piogge in meno sul lago Gatun e siamo a soli due mesi dalla fine della stagione delle piogge, quindi il passaggio tra Oceano Atlantico e Oceano Pacifico si farà ancora più stretto.

Dai 36 slot prenotati in tempi normali si precipita in questi giorni a 24, che poi diventeranno 22 a dicembre, 20 a gennaio e soltanto 18 a febbraio: praticamente la metà del traffico usuale.

Significa problemi con i container, con i tanker di liquidi (navi cisterna di petrolio o gas liquefatto per esempio), con i bulker (le portarinfuse che possono trasportare grano, ferro o carbone).

È il ritorno di El Niño, un complesso fenomeno di riscaldamento della superficie degli oceani che potrebbe portare fenomeni estremi e continuare fino alla prossima primavera.

A Panama si rischia un peggioramento disastroso del traffico marittimo. Secondo il Wall Street Journal ci sono circa 98 navi in attesa ai due lati del Canale.

Al quotidiano Ricaurte Vasquez Morales, che amministra l’opera, commenta preoccupato: “L’aria è ferma e non c’è pioggia”. Significa che se gli slot prenotati in anticipo di mesi riescono a venirne fuori, quelli con tempi più brevi, come i tanker di greggio o gas rischiano di rimanere intrappolati per settimane.

I prezzi sono balzati, da 500 mila dollari per il transito di una nave di propano a 2,4 milioni di dollari. Per Morales ci vorrebbe una seconda riserva d’acqua sulle colline, ma c’è un divieto che risale agli accordi del 2016 e ci saranno le elezioni nazionali a Panama in maggio, quindi rischiano di restare fermi anche i progetti.

Intanto il problema si allarga al commercio globale già rimesso in discussione dal Covid, dalla Trade War tra Stati Uniti e Cina, dal reshoring, dall’inflazione.

Sul tema l’FMI con l’Università di Oxford ha messo in piedi anche il sito di monitoraggio globale dei porti Port Watch, monitora quotidianamente 1.378 porti nel mondo e circa 120 mila navi.

Probabilmente servirà a guardare da vicino come il cambiamento climatico rischia nei prossimi mesi di colpire duramente il commercio mondiale.