Campari in rosso, la holding Lagfin potrebbe dover pagare 1,2 miliardi di euro
pubblicato:Lagfin non avrebbe pagato la exit tax al trasferimento delle quote del big dei cocktail in Lussemburgo nel 2018. La holding dei Garavoglia conferma le scelte e ha tempo fino a settembre per le controdeduzioni. Per casi simili Elkann ed Exor pagarono 946 mln, per Gucci Kering pagò 1,25 miliardi. I precedenti ci sono insomma e forse il mercato si chiede se ora non si venderanno pacchetti sul mercato
Vendite su Campari, che perde il 2,34% a 9,08 euro ed è il secondo peggior titolo del Ftse MIB in mattinata.
La società è alle prese con le accuse del Fisco che ha messo sotto la lente la holding di controllo Lagfin della famiglia Garavoglia.
La fusione transfrontaliera del 2018, che ha portato il controllo del gruppo in Lussemburgo, sarebbe avvenuta senza il pagamento della exit tax.
Risultato: l’Agenzia delle Entrate ha chiesto alle società della famiglia Garavoglia (che possiede Lagfin) il pagamento di 1,2 miliardi di euro di tasse.
I reati ipotizzati dalla procura inquirente sono omessa dichiarazione dei redditi e omesso versamento delle imposte, due gli indagati (responsabili e legali rappresentanti).
Il caso non riguarda direttamente la società quotata Davide Campari-Milano N.V., che peraltro è diventata olandese nel 2020 trasferendo la sede legale ad Amsterdam (ma non la sede fiscale).
La holding Lagfin ha peraltro subito ribadito in una nota “la propria assoluta serenità rispetto a ogni eventuale contestazione, allo stato solo potenziale, in quanto nessuno avviso di accertamento è stato emesso e ciò anche in ragione della totale assenza dei presupposti di fatto e di diritto per la sua eventuale emissione”.
In realtà i legali del gruppo avranno 60 giorni per presentare controdeduzioni nell’ambito del procedimento, quindi in pratica luglio e agosto, poi scatteranno le contestazioni.
Sarà insomma un’estate calda per i soci di riferimento del gruppo.
Anche perché i precedenti non mancano e ci sono pure le associazioni infelici ai casi della Exor di casa Elkann.
Campari, i precedenti sulla exit tax non depongono bene
Agli atti dell’indagine su Lagfin risultano delle mail tra Luca Garavoglia, presidente del gruppo Campari (e socio di riferimento indiretto tramite Lagfin), e John Elkann che nel 2016 aveva trasferito la sede legale e fiscale della finanziaria di famiglia Exor in Olanda.
Un’operazione diversa quindi - alla fine Campari trasferisce solo la sede legale in Lussemburgo – ma comunque non priva di strascichi: alla fine Exor chiuse un contenzioso fiscale con l’Agenzia delle Entrate versando 746 milioni di euro ma rivendicando di non aver violato le leggi sulla Exit Tax e anche la Giovanni Agnelli e C. S.a.p.az. dovette pagare per l’anno fiscale 2016 al fisco altri 203 milioni di euro: totale 949 milioni di euro.
Già il terreno era stato preparato in quel caso dal trasferimento della sede legale di FCA, CNH Industrial e Ferrari, ma questo non aveva risolto il caso per il Fisco.
Gli Agnelli avevano provato ad applicare nel caso del trasferimento di Exor il regime di participation exemption (cosiddetta “Pex”) di cui all’Art. 87 del Testo Unico delle imposte sui redditi. Le plusvalenze sul valore delle partecipazioni erano state esentate ed escluse dal reddito imponibile ai fini della determinazione della Exit Tax nella misura del 95% del loro ammontare. In altre parole avevano deciso di pagare il 5% sulle plusvalenze maturate con fusione e cessione di asset alla base del trasferimento. Lagfin invece avrebbe pagato neanche il 5% delle plusvalenze sulle partecipazioni. Le imposte non pagate farebbero riferimento agli anni dal 2018 al 2020.
Nel caso Agnelli la cifra pagata era circa del 2,5% della capitalizzazione della società quotata Exor, oggi però Campari vale circa 11,45 miliardi e quindi si viaggia su un esborso potenziale del 10% della capitalizzazione, anche se ovviamente è a rigore un problema soltanto della holding Lagfin.
Un altro caso rilevante è stato quella del colosso francese della moda Kering che nel 2019 aveva alla fine pagato ben 1,25 miliardi di euro: un “accertamento con adesione” concluso con l’Agenzia delle Entrate perché la controllata svizzera Luxury Goods International (Lgi) aveva omesso di dichiarare ricavi per 14,5 miliardi di Gucci (per i 7 anni di imposte): la sussistenza di una stabile organizzazione in Italia nel periodo tra 2011 e il 2017 aveva fatto scattare la necessità di pagare il dovuto al fisco italiano per il fatturato di Gucci nel Bel Paese.
Ogni caso ha le sue peculiarità e come detto siamo proprio agli inizi.
Campari, il caso di Lagfin cosa sappiamo
Ma nel 2018 come era andata in pratica?
Nel 2018 la cassaforte lussemburghese Lagfin aveva incorporato Alicros assorbendo tutti gli asset e il controllo di Campari, ma senza pagare l’exit tax. Al contempo Lagfin aveva creato una stabile organizzazione in Italia per gestire alcuni immobili. Ma l’amministrazione delle attività finanziarie, a partire dalle quote nella quotata Campari, sarebbe avvenuta in Lussemburgo e non in Italia, per questo gli inquirenti sospettano il mancato versamento della exit tax nonostante il trasferimento in Lussemburgo delle partecipazioni.
All’epoca della fusione di Alicros nella lussemburghese Lagfin, il patrimonio netto di quest’ultima crebbe di 1,094 miliardi di euro circa (in concomitanza con il passaggio della valutazione delle partecipazioni dal metodo contabile di costo a quello di patrimonio netto).
Tra gli investimenti c’era il 51% di Campari, ma non solo.
Oggi Lagfin controlla ampiamente l’ormai olandese Campari NV con il 51,4% delle azioni ordinarie e addirittura l’82,5% del capitale votante grazie all’accumulo di azioni speciali A (che attribuiscono un voto in più) e azioni speciali B (che ne attribuiscono 4 in più). Il risultato è che il controllo del gruppo lascia ampi margini di ottimizzazione con la conseguenza che la holding se messa alle strette dal fisco potrebbe vendere agevolmente ampie quote della Campari quotata mantenendo un solido controllo.
Peraltro appena lo scorso agosto 2023 sono maturate oltre 590 milioni di azioni B dalle azioni A precedenti in mano a Lagfin con il risultato di ampiare notevolmente la quota dei diritti di voto in mano alla società del Granducato (sul momento si era passati dal 68,6% all’84% dei diritti di voto su Campari NV e la quota diretta era del 54,4% del capitale ordinario a un prezzo di carico di 2,027 miliardi di euro).
Ancora si è in una fase del tutto preliminare: la catena ha visto la Guardia di Finanza trasmettere solo la scorsa settimana gli esiti della verifica cominciata nel 2019 all’Agenzia delle Entrate, da questo il “processo verbale di constatazione” è giunto alla Procura di Milano guidata da Marcello Viola che ha aperto l’inchiesta.
Tutto sembra sia partito da indagini su alcuni immobili di Lagfin.
Nel 2018 come detto la Lagfin aveva insediato una filiale nel milanese, la “Lagfin-Succursale di Sesto San Giovanni”, e una in Svizzera, a Paradiso “Lagfin -Succursale Paradiso”.
Ma il vero mattone di peso di Campari dovrebbe essere la nuova sede in Centro: un investimento da 110 milioni di euro quest’anno solo per l’acquisto dello stabile in corso Europa 2 a Milano, cui aggiungere poi tutti gli interventi sulla struttura da 9 piani fuori terra e 4 interrati per un totale di 10 mila metri quadrati.
Se è vero – come riporta Il Sole 24 Ore - che le indagini sono partite da alcuni immobili di Lagfin, è possibile che siano partite proprio da lì.
D’altronde la procura di Marcello Viola si è già fatta notare non poco per i suoi interventi sul settore immobiliare che hanno generato uno stallo senza precedenti nel settore (forse solo con Tangentopoli si vide qualcosa del genere).
A fare due più due - insomma - questa volta la partita potrebbe essere diventata miliardaria.