BTP e debito pubblico, ecco come funzionano

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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Breve guida ai titoli di Stato per semplici risparmiatori. Cosa è un BTP Valore? E un BTP Italia? Dai CTZ ai BOT, passando per i green, una spiegazione facile del mercato del debito pubblico italiano: come funziona e come si collega allo stato delle finanze pubbliche.

BTP e debito pubblico, ecco come funzionano

Quanto è grande il nostro debito?

Dopo una serie di rialzi dei tassi d’interesse della BCE, il rendimento dei titoli di Stato italiani ed europei è tornato a farsi interessante.

Anzi la prima emissione del BTP Valore con la sua raccolta da record di oltre 18,19 miliardi ha confermato il ritorno degli italiani al BTP grazie al rendimento oggettivo che offrono in una fase di elevata inflazione: quasi il 99% degli ordini è venuto dall’Italia e questo significa una nazionalizzazione importante del debito.

Ma il debito pubblico dell’Italia è un problema strutturale o un’opportunità? Ovviamente entrambe le cose, a seconda che si guardi all’Erario o al proprio portafoglio titoli.

Il debito pubblico rimane uno dei maggiori problemi della nostra economia.

Dopo l’impennata degli anni ’80 e il superamento nei primi anni ’90 della soglia del 100% del Pil, infatti l’Italia non è riuscita più a comprimere (come pure fatto in passato) l’ammontare del proprio debito pubblico, anzi l’abbinamento di una crescita debole o stagnante al peso montante degli interessi l’ha porta sempre più spesso in territori inesplorati e inospitali.

Il debito visto dal lato delle finanze pubbliche

Dopo la pandemia abbiamo infatti raggiunto un nuovo record e soltanto una ripresa per certi versi impetuosa e sorprendente ha salvato Roma da dure misure di contenimento e dalla sanzione dei mercati. Il debito però continua a salire. Secondo la Banca d’Italia ha raggiunto i 2.789 miliardi di euro nel marzo del 2023. Un livello mai visto, su cui hanno pesato ben 18 miliardi di euro di nuovo debito delle amministrazioni centrali in un mese (mentre le locali tagliavano di 100 milioni).

Il rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo nonostante qualche calo dovuto alla ripresa era ancora sull’allarmante livello del 144,4% a fine 2022 secondo i dati Eurostat

Debito sì, ma per i risparmiatori può essere un'opportunità

Il Ministero dell’Economia emette ormai circa 8 categorie di titoli di Stato.

Si tratta di:

1)      Buoni Ordinari del Tesoro (BOT)

2)      Certificati del Tesoro Zero Coupon (CTZ)

3)      Certificati di Credito del Tesoro (CCT/CCTEU)

4)      Buoni del Tesoro Poliennali (BTP)

5)      Buoni del Tesoro Poliennali Indicizzati all’inflazione europea (BTP€i)

6)      Buoni del Tesoro Poliennali Indicizzati all’inflazione italiana (BTP Italia)

7)      Buoni del Tesoro Poliennali step-up riservati agli investitori retail (BTP Futura)

8)      Buoni del Tesoro Poliennali riservati agli investitori retail (BTP Valore)

Le differenze fra queste categorie di titoli sono da ricondurre essenzialmente alla loro durata e al loro sistema di remunerazione. 

I BOT sono dei titoli di Stato di breve durata (a 3,6 e 12 mesi) assimilabili a degli strumenti di liquidità e remunerati tramite lo scarto di emissione. Cosa vuol dire? Significa che vengono emessi sotto il valore nominale e ripagati alla pari. Per esempio vengono emessi a 98 euro e ripagati a scadenze 100 euro, con un rendimento lordo quindi di 2 euro.

I CTZ sono strumenti a 24 mesi remunerati anch’essi tramite lo scarto d’emissione. CTZ/CCTeu sono invece titoli con una durata maggiore (5-7 anni) che pagano cedole semestrali ed eventuale scarto di emissione.

I BTP, infine, la categoria nettamente più diffusa, sono i titoli del debito pubblico che coprono le scadenze (maturity) più ampie. Esistono infatti BTP a 2, 3, 5, 7, 10, 15, 20, 30 e 50 anni. Tutti pagano cedole fisse semestrali (in qualche caso è previsto lo scarto di emissione) ed eventuale scarto di emissione. Esistono però diverse altre variabili.

Per esempio l’inflazione. Dopo più di un decennio di prezzi bassi e in calo, nel quadro di un’economia stagnante, l’Eurozona ha visto tra il 2021 e il 2022 un balzo del carovita spaventoso.

La crisi degli approvvigionamenti del post pandemia, del gas e della guerra in Ucraina hanno costretto a dure misure la Bce che ha rapidamente alzato i tassi per contrastare l’inflazione. 

I prezzi sono diventati un nuovo argomento, dopo anni di globalizzazione deflattiva. E i titoli del debito pubblico ne hanno tenuto conto. Qualche titolo italiano collegato ai prezzi già esisteva da tempo, ma altri ne sono stati inventati.

Il concetto è quello di un titolo di stato che bilancia i livelli dell’inflazione e quindi paga un rendimento crescente se cresce anche il carovita.

Ma quale inflazione?

Da anni hanno debuttato sul mercato i BTP€i (scadenze a 5,10,15 e 30 anni), che pagano cedole semestrali “reali”, rivalutano infatti il capitale sottoscritto a scadenza prendendo a riferimento l’inflazione europea

Più recente la nascita dei BTP Italia (4,6 e 8 anni), che prevedono cedole reali semestrali e una rivalutazione semestrale del capitale sulla base dell’inflazione italiana con un premio di fedeltà per chi li acquista al collocamento e li mantiene fino alla scadenza.

Si tratta di un titolo che ha registrato di recente cedole da record che hanno ingolosito i risparmiatori in cerca di un rendimento o almeno di un argine all’erosione dei risparmi a causa del carovita. 

Ancor più recenti i BTP Green (da 8 a 15 anni) pagano cedole fisse semestrali e hanno la caratteristica di dirigere gli investimenti finanziati dalle risorse raccolte su spese “ambientalmente sostenibili” con un focus importante sulle rinnovabili. 

C’è poi il BTP Futura (da 8 anni a 16 anni), un’emissione nata nel 2020 con l’obiettivo di canalizzare i piccoli risparmiatori su investimenti per l’Italia. Si era in pieno Covid e si cercava sostegno per tutto il sistema e per la ripartenza. La struttura decisa è stata particolare: cedole step-up (ossia crescenti nel tempo) e un premio fedeltà a scadenza pari al tasso medio di crescita annuale del PIL (1% minimo, 3% massimo).

Si è arrivati così al BTP Valore, un’altra emissione che si rivolge direttamente al pubblico retail e che ha fornito rendimenti prevedibili, crescenti e la promessa di un premio fedeltà per chi lo manterrà in portafoglio.

La Composizione del Debito

Gli ultimi dati generali forniti dal Dipartimento del Tesoro italiano fanno riferimento al 31 maggio 2023 e forniscono una panoramica abbastanza precisa di come l’Italia si finanzia sui mercati internazionali del debito pubblico.

BTP e debito pubblico, ecco come funzionano

 

Si può osservare dunque che più del 72% del debito pubblico italiano è costituito da BTP, che costituiscono dunque la categoria largamente più impiegata dal Tesoro per immettere titoli sul mercato.

Questo permette di comprendere perché la vita media del debito pubblico italiano sul mercato ammonti a fine maggio 2023 a 7,03 anni.

Il debito pubblico sul mercato è sottoposto a una continua erosione dettata dalla scadenza dei titoli emessi in passato. Al tempo stesso la Repubblica si rifinanzia di continuo sul mercato con l’emissione di nuovi titoli.

In un apposito report del settembre 2019 la Banca d’Italia ha rilevato che a marzo, nel contesto dei settori residenti, si sono registrate emissioni nette di obbligazioni per 15,8 miliardi di euro.

Le amministrazioni pubbliche hanno effettuato emissioni nette pari a 9,8 miliardi di euro: vi hanno contribuito i CCT (4,5 miliardi), i BOT (2,7 miliardi), i BTP (2,5 miliardi) e i titoli internazionali (0,1 miliardi). Il dato ovviamente non tiene conto delle emissioni successive tra cui quella record del BTP Valore.

Esiste ovviamente una complessa pianificazione delle nuove emissioni di debito basata sulle scadenze e sulle condizioni di mercato. I dati del Tesoro di fine maggio contano soltanto nel 2023 titoli in scadenza per 397,5 miliardi di euro circa.

Mercato, come e dove si comprano i BTP

Per il debito pubblico esiste chiaramente un mercato primario e un mercato secondario.

Il mercato primario è quello che coinvolge lo Stato che emette i titoli del debito in un’asta competitiva tra operatori specializzati. Al termine dell’asta sono fissati prezzi e rendimenti di quel debito.

Il mercato secondario è quello che ospita gli scambi dei titoli del debito pubblico dopo l’emissione.

In Italia il mercato del debito pubblico è caratterizzato da due grandi protagonisti.

Il MOT (Mercato telematico delle Obbligazioni e dei Titoli di Stato) è il mercato secondario gestito da Borsa Italiana, dove i risparmiatori (sempre tramite un intermediario) possono comprare o vendere titoli di Stato e altre obbligazioni, con importo minimo pari a 1.000 euro. \

Oltre al MOT, esiste anche un altro mercato. L’MTS (Mercato Telematico dei titoli di Stato, gruppo London Stock Exchange) che è riservato agli intermediari autorizzati (banche e imprese di investimento) e ospita per esempio le piattaforme sulle quali si leggono quotidianamente gli spread e i rendimenti.

Normalmente i mercati delle obbligazioni, sia sovrane che corporate, sono popolati da titoli poco standardizzabili. I bond hanno infatti caratteristiche molto diverse tra loro (per esempio variano le scadenze, i titoli possono essere con o senza cedola e la cedola può essere costante, crescente o decrescente oppure essere variabile e indicizzata in maniera diretta o inversa, può esserci un’emissione alla pari o sotto la pari, i titoli possono essere convertibili a varie condizioni, convertendi, cum warrant etc.).

L’estrema varietà delle possibili caratteristiche dei titoli rende dunque molto più difficile il raggiungimento di uno standard da porre alla base della creazione di un mercato regolamentato e traghetta la maggioranza delle negoziazioni tra gli operatori professionali su bond nei mercati non regolamentati (OTC-Over The Counter).

Il debito sovrano italiano però si sottrae in parte a questa logica e si stima che il citato mercato MTS sia in grado di rappresentare circa il 50% degli scambi del debito pubblico italiano emesso.

Per definizione i mercati non regolamentati tendono a sfuggire al monitoraggio e ogni valutazione non può quindi che essere approssimativa, ma l’elevata rappresentatività dell’MTS costituisce comunque una garanzia per il Tesoro, gli operatori e i risparmiatori.

Un vantaggio di trasparenza progettato già ai tempi della fondazione di MTS da economisti del calibro di Luigi Spaventa e Giacomo Vaciago.

Quanto Vale il Debito sui mercati

Il collocamento del debito sul mercato e ancora di più la contrattazione continua dei titoli del debito pubblico su mercati over the counter e regolamentati comportano un aggiornamento ininterrotto delle valutazioni dei titoli stessi.

Questo significa che i giudizi espressi non solo dalle agenzie di rating, ma anche degli operatori, sulla solvibilità e in generale sull’andamento dell’economia dell’Italia, influenzano i prezzi dei titoli di Stato e con essi i rendimenti, anche in fase di collocamento.

Per questo motivo rendimenti in rialzo chiesti dal mercato per il rischio sul debito sovrano italiano si traducono nel tempo in un rincaro del costo del debito per lo Stato (e viceversa).

Un esempio concreto può chiarire. Il titolo del BTP decennale di riferimento su MTS (il mercato telematico dei titoli di Stato) il 2 ottobre 2019 era il BTP con scadenza al 1° aprile 2030 e cedola annuale all’1,35% (codice ISIN IT0005383309).

Al termine di quella difficile seduta il prezzo del BTP chiuse a 103,72 euro con una flessione dello 0,39%

Contemporaneamente il rendimento (che per le obbligazioni ha un andamento opposto a quello del prezzo) ha mostrato un rialzo di ben 15 punti base e si è riportato allo 0,99 per cento.

Nelle stesse ore il Bund tedesco segnava un rendimento in calo di 1 punto base a quota -0,54%

Di conseguenza il famoso spread BTP/Bund, ossia la differenza tra i rendimenti dei titoli decennali di Italia e Germania, saliva a quota 153 punti base.

Cosa significano questi numeri? Quel giorno i mercati hanno registrato forti vendite in concomitanza con la decisione del WTO di autorizzare dazi USA su merci europee per 7,5 miliardi di dollari.

La tenuta della crescita globale, già in forse per via della guerra dei dazi tra Washington e Beijing, ha subito un altro colpo con l’allargamento dei contrasti all’Europa (sebbene nell’ambito della questione degli aiuti di Stato ad Airbus).

Al contempo diversi dati macroeconomici deludenti europei e statunitensi hanno moltiplicato i segnali di sfiducia e il dossier della Brexit, prevista per il 31 ottobre, ha registrato altri contrasti. \

E l’Italia? Rischia di essere il classico vaso di coccio. Una fetta importante del suo export è rivolto alla manifattura tedesca, che rallenta per via delle incertezze sul commercio globale e come conseguenza del Dieselgate.

Un altro mercato di sbocco importante come il Regno Unito è soggetto alle incertezze sulla Brexit, mentre l’agroalimentare (ma non solo) rischia di ricevere un contraccolpo dai possibili nuovi dazi Usa.

Nel frattempo il nuovo governo Conte Bis lavora a una manovra finanziaria difficile.

In questo contesto gli operatori mostrarono le incertezze, che pesarono e si moltiplicarono sull’Italia, con vendite sui titoli di Stato e il risultato di rendimenti in crescita e prevedibile graduale aumento il costo del debito.

Storicamente i Paesi con un più elevato livello di debito pubblico risultano più esposti agli shock finanziari e globali.

Sostenibilità

Il discorso sulla sostenibilità del debito pubblico italiano è assai articolato e complesso. In generale il debito di un Paese è ritenuto sostenibile quando il suo costo cresce meno di quanto non cresca l’economia.

In altre parole se il tasso medio d’interesse sul debito non supera il tasso di crescita nominale del Paese, il debito risulta sostenibile.

Per l’Italia questo non succede da circa due decenni e fra il 1999 e 2017 il tasso sul debito ha superato di misura il tasso di crescita, con il risultato che il debito pubblico è lievitato e l’economia ha faticato sempre di più.

Nello stesso periodo l’Italia è stata dunque costretta a sviluppare degli avanzi primari (ossia degli avanzi di bilancio al netto del costo del debito), ma questo non è servito risollevare la situazione. La crescita asfittica dell’economia italiana non ha permesso dunque di sostenere un debito sempre più elevato.

Una situazione aggiornata si ottiene dal DEF 2023 (Documento di economia e finanza). Il quadro programmatico (che include dunque gli effetti degli interventi messi in cantiere) prevede a fine 2023 un deficit complessivo (in questa sede definito indebitamento netto) del 4,5% del Pil.

Questo significa che il saldo tra entrate e uscite produrrà un disavanzo del 4,5% del Prodotto Interno Lordo aumentando il debito pubblico. Per fortuna si programma un calo graduale al 2,5% nel 2026.

Il saldo primario (ossia quello tra entrate e uscite al netto del debito) sarà ancora negativo, ma migliorerà a un -0,8% per poi crescere fino a un +2% nel 2026.

Il debito pubblico è proiettato dunque dal 144,4% di fine 2022 al 142,1% del Pil nel 2023 alla presenza di una crescita stimata all’1% a fine anno.

La spesa per interessi, che poi è il vero macigno, nel 2022 ha raggiunto il 4,4% del Pil ossia ben 83,2 miliardi di euro. Dovrebbe “flettere” al 3,7% del Pil a fine 2023.

Non mancano ovviamente i punti di forza dell’economia italiana, che dalla pandemie in poi ha realizzato la migliore ripresa del Mondo Occidentale, ma i segnali sempre più frequenti di indebolimento della produzione industriale e l’ingresso dell’Eurozona in recessione tecnica minacciano la sostenibilità del debito pubblico in futuro.

Banca d’Italia ha stimato a fine 2021 una ricchezza privata pari a 10.422 miliardi di euro, ben superiore dunque al Pil e al debito pubblico.

È un argomento che è stato avanzato a più riprese nei momenti di massima tensione sul mercato dei titoli di Stato, l’Italia sarebbe in definitiva “too rich to fail”. Il problema è che gran parte di questa ricchezza non è immediatamente liquidabile, anzi. Un approccio massiccio ai patrimoni degli italiani per salvare i conti pubblici presuppone inoltre uno scenario di allarme che sicuramente sarebbe meglio evitare.

Ma questi sono forse problemi che interessano più politici ed economisti, che semplici risparmiatori.