First Republic riaccende l’allarme: tornano le vendite sulle banche
pubblicato:Fuga di depositi nella banca Usa, onde sismiche si diffondono sui mercati e le banche tornano a fare da cinghia di trasmissione delle perdite, mentre UBS perde nel primo trimestre il 52% degli utili e il Santander registra un balzo dei costi. Segnali di allarme e clima risk-off scuotono di nuovo l’azionario globale
Credito in affanno, di nuovo, in Europa. L’Euro Stoxx Banks segna un pesantissimo ribasso del 2,09% E lo scenario cambia. Ieri infatti il Ftse MIB era il peggior listino d’Europa e le banche lo mandavano giù, ma era anche la grande giornata dei dividendi di Piazza Affari e quindi sembrava naturale pensare che fossero le cedole e scuotere i valori.
Oggi però dagli Stati Uniti giungono nuovi venti di guerra e l’incancrenimento del dossier First Republic scuote la fiducia. Ricavi -13,4% nel trimestre a 1,2 miliardi di dollari, EPS in calo del 38,5% a 1,23 dollari, utile meno 32,9% a 269 milioni. Il CET 1 ratio della banca è al 9,32% Ma soprattutto fuggono i clienti, il tipico bank run che spesso porta le banche a gambe all’aria: alla fine del periodo si registra un crollo dei depositi del 35,5% a 104,5 miliardi di dollari, come a dire che più di un cliente su tre se ne va.
Certo la banca parla di stabilizzazione e ricorda che a fine dicembre i depositi calavano del 40,8%, ma i numeri di fine marzo includono anche 30 miliardi di depositi a tempo ricevuti dalle altre grandi banche Usa, quindi l’allarme resta alto.
In pre-market il titolo perde il 20%, ma soprattutto il dossier innesta onde sismiche di vendite e incertezza sui vari mercati globali, a partire da quelli europei nel pieno della seduta.
First Republic, pesante impatto sulle banche europee
Il peggior titolo dell’Euro Stoxx 50 è infatti il colosso spagnolo Santander, fresco di dati diffusi al mercato, con un -4,14% otteniamo un primo indizio. Al secondo posto della classifica dei peggiori del paniere europeo vediamo lo spagnolo BBVA (-2,7%), otteniamo un altro indizio. Vengono poi l’olandese ING Groep (-2,23%), la francese BNP Paribas (-2,1%), l’italiana Intesa Sanpaolo (-1,78%). Fuori dall’Euro Stoxx 50 si deve notare il -2,75% di Deutsche Bank, il -1,26% di Credit Agricole il -2,7% di Unicredit. A Piazza Affari il Ftse Italia Banche segna un -2,11%
Insomma c’è un chiaro scenario di fuga dalle banche e dal rischio, confermato dagli acquisti di titoli di Stato.
Sicuramente la botta viene dalla banca americana, ma vanno guardati anche i conti appena pubblicati sul trimestre da alcune delle maggiori banche UE, conti che comunque sono coerenti con uno scenario di incertezza che potrebbe anticipare la recessione più pronosticata della storia e forse da subito influenzare le decisioni della Fed e della Bce.
Di certo sono stati pubblicati risultati trimestrali importanti.
Banche, i conti di UBS e Santander
UBS, fra tutti, ha segnato un crollo dell’utile del 52% nel primo trimestre. Non proprio un bel viatico per la fusione con Credit Suisse, non proprio una bella accoglienza a Sergio Ermotti. I ricavi trimestrali della banca svizzera sono passati da 9,38 miliardi di dollari nel primo quarto del 2022 a 8,74 miliardi di dollari nel primo trimestre 2023. Fra i conti emerge un aumento da 665 milioni di dollari negli accantonamenti collegati alla questione dei titoli RMBS, ossia i titoli garantiti da mutui residenziali statunitensi che si trascina nella giurisdizione americana da 15 anni. Lasciti insomma della Grande Crisi del 2008, ma le trattative con il Dipartimento di Giustizia Usa sarebbero in fase avanzata. Lo scenario, afferma la nota della banca elvetica, resta incerto e l’attività dei clienti potrebbe rimanere sottotono anche nel secondo trimestre 2023, un sentiment debole che potrebbe impattare anche la raccolta di risparmio di UBS.
Il colosso spagnolo Santander ha pubblicato un altro tipo di risultati, in sostanziale crescita in termini di giro d’affari, soprattutto grazie al margine d’interesse. Non sono solo rose però, perché i risultati in fondo al conto economico risentono di un balzo degli accantonamenti per perdite sui crediti e perché i risultati commerciali negli Stati Uniti e in Brasile sembrano deludere gli operatori. C’è comunque per il Banco un pericolo trend generale di crescita dei costi operativi a causa dell’inflazione, l’11% in media, con punte del 10% nel Nord America e addirittura del 19% in Sudamerica. L’utile operativo europeo (+36%) trascina il conto economico consolidato, ma in pratica l’utile operativo degli Stati Uniti perde il 14% (meno proventi da leasing e più costi) mentre quello in Sudamerica registra un complessivo 3%
Banche, segnali pericolosi che complicano il quadro
Segnali pericolosi. Si abbinano a un contesto di generale incertezza che deriva anche da questioni geopolitiche e di politica monetaria.
Una fatica rinnovata a prezzare il rischio in un contesto di pulsioni divergenti tra dati macroeconomici ancora non da recessione e inflazione in radicamento nelle maggiori economie.
Il tutto per servire un piatto di tradeoff tra stabilità finanziaria e contrasto del carovita che per le banche centrali – con buona pace di Christine Lagarde – rischia di essere davvero un abbinamento difficile.