Apple, nuova indagine UE sull'App Store
pubblicato:La Commissione sospetta condotte anti-concorrenziali e potrebbe varare sanzioni fino a un decimo del fatturato del gruppo. Anche negli Stati Uniti è stato avviato un caso simile, ma l'apertura delle piattaforme di Apple potrebbe anche cambiare il suo storico modello di business
Era nell’aria e alla fine l’annuncio di una nuova indagine europea su Apple è arrivato. La Commissione Europea sospetta che la società di Cupertino violi il Digital Markets Act (DMA) e in pratica ostacoli la concorrenza sulle proprie piattaforme.
Il DMA è la nuova piattaforma legislativa europea che, in assenza di campioni tecnologici nel Vecchio Continente, vorrebbe almeno creare un campo di competizione equo. Il tema è centrale e globale.
Ancora una volta nel mirino finisce l’Apple Store, ossia il mercato digitale delle applicazioni di Apple, che non lascia il campo libero alla concorrenza ma – è questo il sospetto – impone in pratica la scelta ai consumatori.
In teoria Apple rischia una sanzione fino al 10% del suo fatturato che è stato di 383,29 miliardi di dollari nel 2023, quindi la multa potrebbe superare i 38 miliardi!
Apple, una questione di “indirizzo”
Margrethe Vestager, la vicepresidente della Commissione UE con delega alla Concorrenza, ha spiegato che le valutazioni preliminari indicano che Apple non è in regola con la Direttiva europea sui mercati digitali in quanto con consente pienamente lo steering.
Letteralmente steering significa indirizzamento ed è un concetto chiave per tutte le piattaforme di marketplace, ossia per quei mercati virtuali come l’App Store o Google Play, dove l’utente spesso decide a chi si affiderà per un servizio o una funzione.
Se quel mercato virtuale è equo, l’utente medio potrà trovare diverse offerte di applicazioni anche da parte di imprese piccole e innovative che non sono ancora diffuse.
Se invece - come spesso accade - il gestore di quel mercato virtuale influenza e indirizza quel mercato, magari con commissioni occulte o requisiti tecnologici specifici, c’è il rischio che l’utente sia naturalmente indirizzato verso le applicazioni "favorite" dalla stessa Apple o dal gestore del marketplace.
Per il mercato europeo è essenziale lasciare aperte delle porte di ingresso sul mercato delle app.
Basti pensare a quando a inizio anni Duemila, da Commissario alla Concorrenza, Mario Monti si mise contro Microsoft perché con il suo Windows Media Player integrato bloccava lo sviluppo di applicazioni musicali concorrenti.
In un mercato digitale sempre più evoluto e globale, i termini della questione non sono cambiati poi troppo, anche se l’arretramento dell’Europa su diversi fronti si è aggravato.
Sul caso di Apple questa è la terza indagine di peso sul rispetto dei requisiti imposti dall’Unione Europea in base Digital Markets Act, ma è importante chiarire i termini della questione.
Apple, cosa chiede la Commissione in pratica
In base al Digital Markets Act ogni società che volesse distribuire una propria applicazione (app) tramite l’App Store di Apple dovrebbe poter comunicare senza oneri all’utenza l’esistenza di soluzioni più economiche o efficaci. Dovrebbe potere avere un canale di reindirizzamento alla propria piattaforma (lo steering appunto).
Ora la Commissione ha individuato tre set di regole commerciali che Apple impone sul proprio marketplace, ma che non consentirebbero le migliori pratiche di un mercato concorrenziale.
Secondo Bruxelles, nessuno dei set di regole permette alle imprese di indirizzare liberamente l’utenza sulle proprie offerte. Non possono comunicare dei prezzi dentro l’app, né informare l’utenza dell’esistenza di canali di distribuzione alternativa.
Nella maggior parte dei casi Apple consentirebbe il reindirizzamento soltanto tramite link-outs. In poche parole gli sviluppatori possono includere nella propria app un link di reindirizzamento a una pagina dove l’utente può concludere un contratto. Ma questo sistema è soggetto a severe restrizioni.
Apple può inoltre facilmente richiedere delle commissioni per promuovere l’acquisizione di nuovi clienti da parte degli sviluppatori e le fee versate per questi “canali privilegiati” andrebbero ben oltre lo stretto necessario, traducendosi anche in una commissione per ogni acquisto di beni digitali o servizi per i 7 giorni successivi al link-out dall’applicazione.
Entro 12 mesi la commissione deciderà in proposito, ma nel frattempo altri fronti si sono aperti.
La Commissione ha infatti messo sotto osservazione diverse caratteristiche contrattuali di Apple.
Una è l’Apple’s Core Technology Fee, in pratica una tassa di 50 centesimi di euro per gli sviluppatori di app e marketplace terzi. Bruxelles valuterà anche se il processo di installazione di app o marketplace terzi sugli iPhone non sia troppo lungo e svantaggioso. Un altro focus sarà sui requisiti chiesti agli sviluppatori terzi per verificare che siano equi.
Il Commissario al mercato interno UE Thierry Breton ha giocato sul famoso slogan della società di Cupertino “Think Different”, affermando che un nuovo spot dovrebbe essere “Act Different”, ossia agisci in maniera diversa.
Quindi facilità la libertà degli utenti di scaricare e scoprire le app migliori nei tuoi marketplace e sui tuoi dispositivi.
Insieme ad Alphabet, Amazon, ByteDance (ossia TikTok), Meta (quindi, tra gli altri Facebook) e Microsoft, Apple è uno dei sei gatekeeper designati dal Digital Markets Act europeo ed è quindi sottoposto a particolari vincoli su più fronti.
Apple, rinvio sull’intelligenza artificiale per l'Europa
La notizia delle nuove indagini europee su Apple di oggi è stata in qualche modo anticipata da un articolo del Financial Times che annunciava venerdì che la casa di Cupertino rinviava l’introduzione nel Vecchio Continente delle nuove funzionalità di intelligenza artificiale per via di “incertezze” sulle nuove regole della concorrenza.
I nuovi servizi sviluppati con OpenAI, la casa di Chat GPT, sono stati una delle grandi novità tecnologiche delle ultime settimane, ma proprio i paletti del Digital Markets Act hanno spinto la società guidata da Tim Cook a un rinvio.
Apple Intelligence, la nuova suite di strumenti di intelligenza artificiale collegata a un Siri più potente, per ora non potranno quindi sbarcare in Europa. Il tema è anche la condivisione dei dati nei servizi evoluti. Era appena successo anche con Meta che ha da poco deciso di rinviare il lancio del nuovo software di intelligenza artificiale.
Ma il caso di Apple rimane in qualche modo quello principale. Sia perché già lo scorso 4 marzo la Commissione UE aveva imposto una sanzione da 1,8 miliardi di euro per abuso di posizione dominante nelle app per lo streaming musicale su iPhone e iPad tramite l’App Store; sia perché la società californiana è finita nel mirino delle autorità antitrust anche in patria.
Lo scorso 21 marzo infatti il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, insieme a ben 15 Stati e al Distretto di Columbia, hanno avviato una causa contro Apple accusandola di un monopolio illegale nel mercato dei telefonini.
Le accuse ricordano molto da vicino quelle mosse alla società di Cupertino in Europa.
Secondo i ricorrenti le condotte anti-competitive di Apple includono restrizioni contrattuali alla creazione di app, alla distribuzione e all’accesso alle API e bloccano tecnologie come le super-app, il cloud streaming, la messaggistica, le applicazioni per dispositivi indossabili e per i portafogli digitali.
Barriere che ora vengono messe in discussione anche negli Stati Uniti dove negli ultimi mesi il caso di Google/Epic Games su Fortnite ha aperto un dibattito sismico per l’ecosistema tecnologico.
Una parte importante del dibattito riguarda poi la possibilità di trasferirsi su un'altra tecnologia, per esempio spostando rubriche e messaggi su un dispositivo Android. Secondo il giudice Merrick Garland, Apple ha impedito con decisione queste opzioni: "Ha mantenuto il proprio potere, non grazie alla sua superiorità, ma grazie a un illegale comportamento diretto all'esclusione". Ma per altri tutto questo mette in dubbio lo stesso modello di business della società. In qualche modo la chiave del suo successo.
Ma per Apple è anche un modello di business
Per Apple questa battaglia potrebbe infatti essere molto più difficile che per altri. Per diversi osservatori il business model della società si è sempre basato su una stretta integrazione fra hardware e software, fin dagli anni Ottanta.
Aprire ora le piattaforme software e i dispositivi di Apple alle alternative di altri produttori e distributori potrebbe rivelarsi dirompente per il sistema di Cupertino. In fondo l’integrazione verticale dal circuito all’applicazione è stata anche alla base della qualità dei servizi di Apple negli anni.
Ma questo ecosistema potenzialmente anticompetitivo potrà resistere ancora nell’ambiente globale e magmatico della tecnologia di oggi? A Cupertino senza dubbio lotteranno strenuamente prima di cedere e cambiare alle radici la società. Quel cambiamento che le autorità statunitensi ed europee chiedono sarà insomma tutt’altro che facile.
Ma dalle risposte di questi casi potrebbe anche derivare una grossa parte del modo in cui domani useremo le nostre tecnologie.