Stellantis, è ancora allarme sull'Italia

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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L'auto elettrica è carica di incertezze e Tavares teme un bagno di sangue globale. Intanto in Italia manca un terzo della produzione pre-pandemia e Urso cerca un altro player per il Bel Paese, ma la grande industria sembra non amare in questa fase l'Italia

Stellantis, è ancora allarme sull'Italia

I segnali di crisi sociale nell’automotive italiano si moltiplicano ogni giorno di più e sono sempre più importanti le voci che denunciano il rischio di desertificazione industriale delle quattro ruote italiane con la scusa del passaggio all’auto elettrica.

L’industria dell’auto ha avuto da sempre un solo nome, FIAT, ma quell’epoca è chiusa da tempo in Italia e il colosso internazionale Stellantis parla sempre più francese e sempre meno italiano, mentre la politica fatica a trovare leve di controllo su scelte industriali sempre più lontane, nei fatti, dal Bel Paese. Gli allarmi però negli ultimi giorni hanno ritmo da escalation.

Auto elettrica, l'allarme parte dalla Ford

La Ford ha appena annunciato un taglio dei prezzi sull’F-150 Lightning a batteria. L’F-150 è storicamente il pickup più venduto d’America e il suo nuovo modello elettrico è una svolta per il mercato. Ma Ford annuncia un taglio dei prezzi perché le vendite si dimostrano più deboli delle attese.

In realtà sono cresciute del 55% a 24 mila unità nel 2023, ma sono ancora troppo poche e così l’azienda mentre abbassa i prezzi e blocca i piani di espansione produttiva dell’elettrico.

Secondo The Verge l’F-150 Lightining sarebbe passato in listino da circa 60 mila a circa 50 mila dollari, ma va detto che su questo pick-up elettrico i prezzi hanno ballato molto. Era stato lanciato 40 mila dollari nel 2021, ma subito i prezzi di listino erano risaliti, con diverse oscillazioni nelle fasi di pre-ordine.

L’ultima novità è appunto un taglio dei prezzi e il rinvio di uno dei due spostamenti produttivi a Dearborn, dove si produce l’F-150 elettrico.

Una cosa simile l’ha appena fatta anche General Motors con lo Chevrolet Silverado EV.

E’ chiaro che le case automobilistiche faticano a trovare l’equilibrio tra la produzione e i ricavi dei pickup elettrici e anche la scontistica entra nella partita. Ford ha pure ridotto gli investimenti per un impianto di produzione di batterie in Michigan.

Auto elettrica: Tavares (Stellantis) teme un bagno di sangue

Chiaramente viene interpellata su questi casi anche Stellantis. Al Financial Times il CEO Carlos Tavares rilascia il 19 gennaio 2024 una dichiarazione di fuoco: se le case taglieranno troppo in fretta i prezzi dei veicoli elettrici ci sarà un bagno di sangue.

La situazione è critica in effetti, non ci sono soltanto i passi indietro di Ford, General Motors e in parte di Tesla su nuove espansioni di produzione di veicoli elettrici, c’è anche Hertz che ha cominciato a vendere un terzo della sua flotta globale elettrica (circa 20 mila vetture) e sta ricomprando le vecchie motorizzazioni.

“Se procedi con tagli di prezzo ignorando la realtà dei costi – argomenta Tavares - avvii una gara al ribasso che finirà in un bagno di sangue. E’ esattamente quello che voglio evitare”.

Già in parte è accaduto con Tesla che ha tagliato a più riprese i prezzi e Ford che le è andata dietro subendo un impatto sugli utili.

Stellantis, in Italia Urso cerca un secondo produttore di automobili

Il giorno dopo queste dichiarazioni sul rischio di un bagno di sangue nel settore il ministro delle imprese Adolfo Urso dichiara:

“Stiamo lavorando perché una seconda casa automobilistica possa insediarsi nel nostro paese”.

Vuol dire che qualcosa si è rotto e forse questa è solo l’occasione per fare il punto.

D’altronde i numeri sono arrivati oltre la scollatura, sono giunti allo strappo.
Il ministero ha l’obiettivo (molto ambizioso) di produrre 1,4 milioni di auto in Italia, ma siamo sicuramente molto lontani.

Il Corriere della Sera che riporta sabato 20 gennaio le dichiarazioni di Urso sottolinea che l’anno scorso sono state prodotte nel Bel Paese appena 520 mila vetture, ricorda che a Mirafiori le linee si fermeranno dal 12 febbraio al 3 marzo e quindi 2.260 dipendenti andranno in cassa integrazione, anche a Melfi l’attività sembra alla paralisi. Anche se dal ministro arriva la promessa di più di 500 milioni di euro per la transizione industriale, lo scenario resta cupo.

Auto: Stellantis, i numeri della produzione in Italia

Il report di Fim-Cisl del 4 gennaio le cifre sulla produzione con qualche altro dato utile a comprendere il quadro: Stellantis ha prodotto 521.104 auto in Italia l’anno scorso, ma questo implica già una crescita dell’8,6% della produzione e i 230.280 veicoli commerciali prodotti ad Atessa mostrano un aumento dell’11,8 per cento.

In totale quindi fanno 751.384 veicoli con un incremento del 9,6% sul 2022, ma è ancora un livello molto al di sotto dell’epoca Covid, nel 2019 infatti si producevano in Italia 818.880 veicoli e già quel dato era frutto di un calo produttivo storico si era infatti sopra il milione ancora nel 2017 quando le auto prodotte in Italia erano più di 743 mila.

E nel mezzo ci sono forti discontinuità.

A Pomigliano c’è stato un balzo del 30% della produzione a 215 mila unità (le Panda, i SUV Alfa Tonale, il Dodge Hornet), ma a Torino c’è un -9,3% a 85.940 unità, le Maserati segnano un -49% anche se invece si mantengono stabili a Modena.

A Cassino c’è allarme per il calo dell’11,3% della produzione a 48.800 unità: nel 2017 in quello stabilimento si producevano più di 153 mila veicoli. A Melfi c’è un +3,9% a oltre 170 mila veicoli (500x, Jee Renegade e Compass), ma siamo in calo del 31,4% sui livelli del 2019.

Manca insomma ancora un terzo della produzione Stellantis sui livelli del pre-pandemia e il governo si preoccupa.

L’esperienza della vendita di Magneti Marelli e della crisi di Crevalcore fa ancora male. Anche l’industria dell’auto chiede aiuto al governo, insieme all’acciaio.
Né i segnali di disinteresse di Stellantis mancano.

Stellantis, la denuncia di Calenda

Il leader di azione Carlo Calenda ieri ha accusato chiaramente Stellantis si avere invitato i suoi fornitori a spostarsi in Marocco, il Foglio ha recuperato la lettera e i depliant che spingevano alla delocalizzazione in un incontro spesato a Rabat il 9 e 10 novembre scorsi.

Il timore è che, nonostante gli investimenti promessi e in qualche caso effettuati, l’Italia non riesca a competere con la Francia e altri Paesi europei nella capacità di attrarre la grande industria.

Il caso ex Ilva-Arcelor Mittal ne è una pesante dimostrazione, anche il caso della nuova fabbrica di chip di Intel ormai verso la Germania o la Polonia conferma.