Italia, tra Moody’s e PNRR ecco la situazione

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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I progetti del Recovery Fund e i soldi dell’Europa all’attenzione dei mercati, da Moody’s il rischio downgrade e Goldman Sachs il rischio spread. Lo scenario dei conti pubblici è a dura prova, ma resta solido

Italia, tra Moody’s e PNRR ecco la situazione

L’Italia è forte è solvibile. Bisogna subito chiarirlo di parlare ancora di rating e debito pubblico. L'economia si è risollevata rapidamente dalla crisi del Covid e ha fatto meglio di molti altri nella ripresa post-pandemia, sorprendendo costantemente al rialzo le previsioni.

Nonostante i segnali, peraltro globali, di indebolimento, l’Italia ha già recuperato e superato il Pil del 2019, cosa non scontata visto che nel 2020 avevamo registrato un pesantissimo -9,1%

Certo il fardello del debito pubblico è salito enormemente, come per tutti i Paesi alle prese con manovre fiscali di sostegno, ma con la dura eredità storica di livelli di partenza ben più svantaggiosi di quasi tutte le economie avanzate (Giappone escluso ovviamente). Siamo ormai al 144,4% del Pil, livello oggettivamente molto elevato, ma già in calo.

Mentre dunque si prepara la recessione globale più annunciata della storia e crescono i tassi d’interesse (sia UE che USA) è naturale che le valutazioni si moltiplicano, comprese quelle effettuate naturalmente dalle agenzie di rating.

Ha fatto scalpore qualche valutazione sul rischio che Moody’s abbassi il rating sull’Italia il prossimo 19 maggio.
Attualmente l’Italia è per l'agenzia l’unico Paese con un rating Baa3 con outlook negativo. Lo ha ricordato Moody’s (con un’ironia involontaria lo scorso 25 aprile, la festa della Liberazione) nel report Fallen angel sovereigns' path back to investment grade is challenging, paved with Reforms.

Un rapporto generale sulle sfide storiche dei Paesi finiti nell’impervio territorio dei titoli spazzatura. Il lessico vivace di settore allevia qualche tecnicismo. Ci sono “angeli caduti”, ossia Paesi finiti a livello “speculative grade” quindi con un debito definito rischioso, in pratica i cosiddetti junk bond.

Chi rimane di qua dalla barricata è un “investment grade”, ha quindi debito ritenuto ancora relativamente sicuro.

L'Italia è sulla soglia dell'investment grade in quella che Moody' chiama "Crossover Zone", potrebbe scivolare insomma.

E' una noiosa tassonomia, ma molto importante, perché un rating migliore fa pagare meno interessi, uno più duro, ne fa pagare di più.

Con il rischio anche di essere tagliati fuori dagli investimenti fondamentali di grandi investitori istituzionali come i fondi pensione.

Moody's, cosa rischia l'Italia?

Allora cosa rischia l’Italia se Moody’s il prossimo 19 maggio taglierà al livello di un junk bond (in questo caso a Ba1) il nostro merito di credito? I nostri BTP saranno tagliati fuori dai portafogli di assicurazioni e fondi?

La risposta è no. Dipende da caso a caso e da statuto a statuto, ma generalmente questa espulsione avviene soltanto se tutte e tre le maggiori agenzie di rating portano a junk bond il giudizio e, giusto per completezza, S&P Ratings ha appena confermato per l’Italia un BBB con outlook stabile.

Il 12 maggio è poi prevista Fitch, che a novembre ha ribadito un BBB con outlook stabile e quindi potrebbe al limite peggiorare l’outlook, ma difficilmente fare un taglio più deciso.

Per essere ancor più completi bisognerebbe contare anche DBRS, che domani rivedrà il nostro rating ma parte da un BBB (high) stable trend.

Italia, cosa ha detto Moody's

Insomma l’ostacolo resta Moody’s. Ma cosa ha detto?

L’Italia ha attualmente l'unico debito sovrano con rating Baa3 e outlook negativo. Ci sono maggiori rischi che il PNRR dell'Italia non sia pienamente attuato a causa della debole capacità amministrativa di alcune amministrazioni locali, di restrizioni nei mercati del lavoro e di prodotto, dell'elevata inflazione e del fatto che alcuni progetti si sono rivelati più ambiziosi di quanto originariamente previsto. Una crescita lenta e costi di finanziamento più elevati potrebbero indebolire ulteriormente la posizione fiscale dell'Italia. Anche se sono state prese misure importanti per ridurre il consumo di gas e diversificare le forniture da quelle della Russia, la dipendenza significativa dal gas per l’energia continua ad esporre l'Italia a rischi di approvvigionamento e aumenti dei prezzi del gas naturale

Italia, dai rating al PNRR

Fermo restando che è il caso che dopo anni l'Italia ritrovi un confronto sereno con le agenzie di rating e i mercati, è difficile discordare con quel che ha detto Moody's.

Somiglia tanto alle parole del ministro Raffaele Fitto al Senato ieri, mentre spiegava che la sfida del PNRR è sempre più dura e bisogna essere realisti. In realtà al Senato il ministro del PNRR ha rinviato tutto alla prima rendicontazione semestrale del prossimo maggio.

Lì si capirà finalmente a che punto siamo con il Recovery Fund. Intanto sembra che si sia sbloccata la terza rata da 19 miliardi di euro (!).

Abbiamo dovuto sacrificare alle obiezioni europee lo stadio “Artemio Franchi” di Firenze e il “Bosco dello sport” di Venezia e dovremo reperire i 150 milioni di quei due progetti altrove, dovremo anche riscrivere il bando sul teleriscaldamento, ma abbiamo almeno sbloccato il dossier delle concessioni portuali.

Insomma i 19 miliardi dovrebbero arrivare, ma ora la sfida – e sembra ancora più dura – sarà per i 16 miliardi di euro della quarta rata.

Servono 27 interventi e alcuni obiettivi sembrano già compromessi, per dire entro giugno dovremmo aggiudicare (e notificare) tutti gli appalti pubblici per 2.500 colonnine di ricarica elettrica rapida in autostrada e 4.000 in zone urbane, praticamente impossibile. I bandi nella maggior parte dei casi non sono neanche partiti.

C’è poi il delicatissimo obiettivo di potenziamento dell’Ecobonus e Sismabonus, abbiamo già speso circa 75 miliardi spesso presi proprio dal PNRR, ora dovremo dimostrare di avere davvero migliorato la sostenibilità degli edifici, ossia provare iol risparmio energetico del 40% e due classi energetiche in dodici milioni di metri quadri e almeno 1,4 milioni di metri quadri rivisti per scopi antisismici.

Ci sono poi gli asili nido, 4,6 miliardi dal PNRR, la situazione è a macchia di leopardo, ma comunque critica, ancora una volta i soggetti attuatori, ossia gli enti locali, sono chiamati in causa ma anche valutati per le loro diverse, diversissime, capacità di spesa. Il governo pone il principio di responsabilità per loro, ma ammette che non è facile, anzi c’è “un ritardo complessivo che rischia di mettere in discussione la possibilità per tutti gli interventi di avere affidati i lavori al giugno 2023”.

C’è poi anche l'idrogeno per il trasporto stradale, qui “semplicemente il numero delle domande è stato inferiore alla disponibilità finanziaria”. Insomma pancia a terra, con un bagno di realismo che rischia di essere una doccia fredda.

Italia, il PNRR finisce all'attenzione dei mercati

Il confronto con la Commissione continua e sarà sistematico, ma oggi sappiamo che il successo dell’Italia nella spesa dei fondi del PNRR è monitorato anche dai mercati, soprattutto, come è ovvio, in chiave di apporti al Pil e quindi sostenibilità del debito.

Ce lo ha ricordato qualche giorno fa Goldman Sachs che nel report Hike Premium Returns to Europe. In uno poco lusinghiero studio sull’impatto del rialzo dei tassi sull’Europa la banca d’affari ha espresso l’infausto pronostico di uno spread BTP/Bund in volo a 235 punti base entro la fine dell’anno. Intendiamoci sarebbero livelli visti già lo scorso ottobre, ma quel che conta è che gli analisti temono che le valutazioni sullo stato di attuazione del PNRR comincino a pesare sulle aspettative domestiche di crescita.

Il tutto mentre la BCE smette di comprare titoli di Stato e continua ad alzare i tassi.
Così finisce che Goldman Sachs consiglia di vendere BTP e comprare Bono spagnoli.

Se ne trae la conferma che il PNRR è diventato oggetto di valutazione della cronaca finanziaria internazionale (non il generico report di Moody’s è finito su Bloomberg).

Italia, ma le prospettive restano positive

Se ne trae anche l’idea un po’ approssimativa che tutta la crescita italiana derivi dal PNRR il che, basta guardare gli ultimi dati sui veicoli commerciali, non è esatto, anzi. 

A completare il quadro va anche ricordato che finora l’esplosione dell’inflazione ci ha permesso di tenere sotto controllo il rapporto debito/Pil.

Ne hanno fatto le spese i cittadini, ma intanto l’economia si è rivitalizzata e se sapremo difendere la domanda aggregata potrebbero crearsi opportunità di consolidamento della crescita.

L’ultimo DEF del governo mantiene le prospettive di crescita, come la maggior parte degli osservatori internazionali. Anche S&P nella sua ultima revisione del rating prevede crescita e riduzione del debito/Pil nel periodo 2023-2026.

Certo la traiettoria di una spesa da 75 a 100 miliardi di euro sugli interessi sul debito italiano tra il 2023 e il 2026 è inaccettabile, soprattutto in confronto con le altre spese sociali dello Stato, ma abbiamo già capito dall’ultima crisi finanziaria che l’unica ricetta contro il debito è la crescita.

Ricordando che il 60% del Pil italiano viene dai consumi privati dovremo difenderla e in quest’ottica difendere anche il PNRR.