S&P promuove l'Italia nonostante i dazi, ecco perché

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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L'economia italiana è in fase di consolidamento. Ritorno all'avanzo primario, investimenti tedeschi, PNRR e la natura stessa del nostro export dovrebbero ammortizzare l'impatto dei dazi, almeno in parte

S&P promuove l'Italia nonostante i dazi, ecco perché

L’Italia si presenta robusta alla guerra dei dazi. Questa in estrema sintesi la conclusione di S&P Global Ratings (la ex Standard & Poor’s) che ha promosso il nostro Paese da BBB a BBB+ (con outlook stabile) venerdì scorso a mercato chiuso.

Era dal 2013 che l’Italia non aveva dall’agenzia questo merito di credito. I giudizi di S&P si sono spinti anche oltre quelli recenti di Fitch, che il 4 aprile aveva confermato per l’Italia un BBB con outlook positivo.

Soprattutto il nuovo giudizio di S&P calcola per la prima volta il nuovo scenario dei dazi dell’America di Trump e promuove il Bel Paese pure in uno scenario di dazi al 10% su tutte le merci e di tariffe del 25% su acciaio, alluminio e auto.

Già Fitch aveva preso in realtà in considerazione uno scenario simile, anzi aveva a inizio mese ipotizzato per l’Italia una crescita dello 0,5% del Pil nel 2025 in uno scenario di tariffe Usa al 15% e di controdazi del 7,5% sulle importazioni dagli Stati Uniti, ma S&P stavolta opera sullo scenario attuale di dazi già applicati, anche se non mette nel computo il rischio di una riattivazione dei dazi più elevati dopo i 90 giorni di tregua annunciati da Trump. Come sempre in questi scenari assai complessi è comunque il senso dei numeri, più che la cifra bruta, a restituire valore all’analisi.

Italia, dati solidi dal mondo del lavoro

L’Italia ha una solida posizione netta su estero cresciuta al 15% del Pil nel 2024 e negli ultimi anni ha consolidato i bilanci delle aziende private, la posizione finanziaria delle famiglie, il bilancio pubblico. Ancora oggi la forza del risparmio italiano è vista come un cuscinetto anti-crisi formidabile per l’Italia, la posizione netta delle famiglie italiane (le loro attività, comprendendo i conti correnti e gli asset come le case e i loro beni) è oltre l’astronomico multiplo di 5 volte il Pil Italiano.

Tutta una serie di fattori specifici poi potrebbe limitare, smussare gli impatti più duri dei dazi statunitensi.

A partire dall’attuazione del PNRR da 194 miliardi che fa del Paese il maggiore beneficiario europeo del piano. L’Italia ha già ricevuto il 63% delle risorse ed è in linea per l’ottenimento della settima tranche, dopo avere eseguito il 52% delle opere.

C’è ancora spazio per ulteriori sostegni nel medio termine insomma, ma S&P si attende un qualche modifica del piano per adattarlo alle sfide della guerra commerciale.

L’agenzia di rating conferma l’impressione che il governo si sia forse troppo orientato a riforme istituzionali (come il presidenzialismo o la riforma della giustizia) e troppo poco alla modernizzazione del sistema economico e industriale.

Secondo S&P ci sarebbe ancora spazio per riforme capaci di cogliere le sfide dell’efficienza energetica, dei tempi della giustizia, del mercato del lavoro per il completamento di progetti infrastrutturali.

La crisi demografica italiana rimane una delle maggiori sfide strutturali dell’economia italiana e minaccia da vicino le dimensioni della forza lavoro e quindi il Pil potenziale del Paese, ma l’agenzia conferma che lo storico minimo della disoccupazione al 5,9% dello scorso febbraio 2025 conferma anche il raggiungimento di risultati importanti in questo campo con miglioramenti del tasso d’impiego e della partecipazione femminile, mentre altri spunti positivi potrebbero venire dell’immigrazione, anche se questo tema rimane politicamente sensibile in Italia e in Europa.

Italia, il ritorno al surplus primario è qui per rimanere

L’Italia nel 2024 ha raggiunto per la prima volta dalla pandemia il surplus primario, in particolare lo 0,4% del Pil nel 2024. Si tratta dell’avanzo del bilancio pubblico prima della spesa degli interessi, una voce fondamentale soprattutto per Paesi dal debito elevato come la nostra Repubblica. Il debito comunque pesa e il costo degli interessi per il debito pubblico italiano è stimato al 4% del Pil nel periodo 2025-2028.

Avanzi primari sono previsti in tutto il periodo previsionale di S&P dal 2025 al 2028 e traggono giovamento dalla positiva raccolta fiscale, dalla robustezza del mondo del lavoro, dagli spunti della riforma delle aliquote fiscali Irpef e dall’impegno del governo sul contenimento della spesa pubblica. Remano contro i lasciti del Superbonus per il quale si prevede una spesa fuori budget dell’1-2% del Pil ogni anno fino al 2027. Ma si tratta di un impatto decrescente nel tempo sui conti pubblici e per completezza S&P ricorda che l’esecuzione delle opere del PNRR al 52% a fine 2024 fletterebbe al 40% se si escludessero i crediti fiscali del Superbonus.

Il rapporto debito netto/Pil italiano a fine 2024 era al 129,4% e il rapporto debito/Pil al 133,7% ed è, anche per via dei lasciti del Superbonus, previsto in crescita fino al 138,7% nel 2027 (134,5% per il debito netto/Pil). Fra l'altro il rapporto deficit/pil sceso già dal 7,2% del 2023 al 3,4% nel 2024 è visto in ulteriore contrazione calo al 3,3%, al 3,1% e al 3% nel 2025, nel 2026 e nel 2027 rispettivamente.

A fine 2024 S&P calcola il rapporto tra spese e Pil al 50,6% e questo dato dovrebbe gradualmente calare al 50,1% nel 2027.

Per il 2025 S&P si aspetta una crescita reale del Pil italiano dello 0,6% (in leggero rallentamento dallo 0,7% dell’anno scorso) e quindi proietta un +1% sia nel 2026, che nel 2027. I conti sui dazi chiaramente inseriti nell’orizzonte previsionale con il caveat di dazi USA al 10% (25% acciaio, alluminio, auto) visti quindi con i livelli attuali di ‘pausa’. Alla fine del 2024 le esportazioni italiane coprivano il 32,7% del Pil italiano. Qui integriamo con alcuni dati Istat per chiarire il quadro. Nel 2024 per l’Italia il commercio estero extra-Ue ha coperto il 48% dell’export totale. In soldoni l’anno scorso l’Italia ha venduto beni per 623,5 miliardi di euro (export) e ne ha comprati per 568,5 mld (import). Il saldo della bilancia commerciale è stato quindi di un surplus di circa 54,9 miliardi di euro (avanzo commerciale totale). Fra l’altro se togliessimo il disavanzo energetico di 49,5 miliardi avremmo un avanzo commerciale di 104,4 miliardi. L’anno scorso l’Italia ha registrato un Pil di 2.192 miliardi di euro, quindi le esportazioni sono state pari al 28,4% del totale (S&P come detto calcola il 32,7%), ma le importazioni si sono attestate al 25,9% del Pil e quindi il surplus è stato pari a ‘soltanto’ il 2,50% del Pil italiano che significa appunto 54,9 miliardi (4,76% ossia 104,4 mld senza gli acquisti di energia).

Delle esportazioni italiani circa il 10% è diretto agli Stati Uniti, ossia circa 62 miliardi di esportazioni (ma ci sono anche importazioni per circa 7 miliardi). Quindi la posta dell’Italia è elevata, visto che gli States sono il secondo partner commerciale italiano dopo la Germania. Ma ci sono, come anticipato, secondo S&P diversi correttivi all’impatto dei dazi Usa.

Oltre agli effetti ancora benefici del PNRR, S&P cita la Germania che sta investendo la cifra monstre del 20% del Pil tra infrastrutture e difesa nel nuovo piano che ha già passato il test parlamentare di costituzionalità. Sia la difesa italiana che la meccanica, che copre da sola il 20% delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti, dovrebbero giovarsi degli investimenti tedeschi, bilanciando quindi almeno in parte l’eventuale contrazione degli scambi a stelle e strisce.

Attualmente il Pil italiano speso in difesa è circa l’1,5%, ma S&P non si aspetta che superi l’1,6% nel 2027 anche per via dei vincoli della spesa pubblica, anche se poi l’industria in sé dovrebbe vendere molto di più in Germania e nel resto d’Europa.

Fra l’altro l’appartenenza all’Europa e l’orbita monetaria nell’Eurozona gestita dalla Bce dovrebbe difendere in qualche maniera il Pil italiano dagli impatti maggiori della guerra commerciale Usa, sia in termini di potenziale negoziale integrato dell’area, che in termini di politica monetaria condivisa e ribassista (al riguardo però S&P si aspetta un taglio finale al 2,25% ad aprile o giugno e poi una pausa).

Anche il fatto che veicoli, moda, mobili italiani siano esportati verso gli Stati Uniti nella fascia alta e quindi verso un pubblico “alto-spendente” capace di sopportare eventuali rialzi dei prezzi maggiormente costituisce un potenziale ammortizzatore delle politiche di Trump.

Tutto sommato insomma il passaggio dallo 0,7% allo 0,6% del Pil anche nel contesto dei dazi già applicati da Washington non deve essere visto con allarmismo secondo S&P che pure stima un impatto sul Pil italiano dei dazi tra lo 0,3% e lo 0,4%. In seguito il Pil italiano dovrebbe crescere all’1% nel 2026 e nel 2027. Non può non notarsi che in sostanza la stima di una crescita dello 0,6% del Pil italiano nel 2025 è in linea con quella aggiornata dalla Banca d’Italia lo scorso 4 aprile e nello stesso giorno aggiornata da Fitch allo 0,5% sempre per il 2025. Le previsioni sul 2026 e il 2027 di S&P all’1% nei due anni sono anzi migliorative rispetto alle stime della Banca d’Italia e di Fitch allineate allo 0,8% nel 2026 e allo 0,7% nel 2027.

Fra mille incertezze (con la i maiuscola in questa fase ‘trumpiana’), l’economia italiana dovrebbe insomma tenere, secondo S&P e altri analisti di primo piano, anche grazie all’orizzonte di stabilità politica che sia Fitch, che S&P approvano come un elemento di forza per il quadro italiano. I mercati hanno scontato la scorsa settimana scenari evidentemente peggiori con vendite persino violente su diverse asset class (ma soprattutto sulle azioni come visto) e in queste ultime due sedute stanno riprezzando un orizzonte meno catastrofico.

Chiaramente, però, né S&P, né i mercati possono misurare l’imprevedibilità di Trump che ha già dimostrato di saper smontare interi quadri economici nel giro di poche ore. Lato Italia però, senz’altro l’economia si mostra almeno in una situazione di maggiore solidità rispetto ad altre fase e altre crisi del passato anche recente.