Dazi Usa, le borse tentano un rimbalzo
pubblicato:Rischio di reazione tecnica effimera. Non ci sono novità concrete di composizione in vista del rialzo dei dazi di domani. Neanche in Asia si ottengono concessioni e l'Europa si prepara a una moral suasion a pressione crescente

Un tentativo di rimbalzo. In queste ore i maggiori listini europei ci provano, dopo l’ondata di vendite delle ultime sedute, ma è tutta da verificare la solidità della reazione.
Sono in verde infatti i maggiori mercati europei del Vecchio Continente: Euro Stoxx 50 +0,5%, Dax tedesco +0,76%, Cac 40 francese +1,2%, Ibex 35 spagnolo +0,9% Anche il Ftse MIB segna un recupero dello 0,61%
Dazi Usa, listini italiani sui livelli chiave di agosto
Ma potrebbe trattarsi di una reazione effimera. Il caso del Ftse MIB è esemplare: il nostro indici ha subito pesanti ribassi tornando sui livelli dell’agosto 2024.
Il future sul Ftse MIB, che è lo strumento veramente contrattato, ieri ha toccato un minimo quasi chirurgico a 30.655 punti, sostanzialmente sul bottom a 30.660 punti del 5 agosto 2024. Quel giorno si registrò un altro black Monday dei mercati globali, il Nikkei 2025 perse il 12,4%, la peggiore seduta dell’ultimo trentennio.
C’era stato un brutto dato Usa sul mondo del lavoro, con la disoccupazione cresciuta a giugno al 4,3% il massimo in quasi tre anni e, sempre negli Stati Uniti, i nonfarm payrolls avevano mostrato una crescita dei posti di lavoro di ‘soltanto’ 114 mila unità contro i 215 mila posti attesi dagli analisti.
Il 31 luglio la Banca centrale del Giappone aveva alzato i tassi d’interesse dallo 0,1% allo 0,25% uscendo ufficialmente dalla stance ultra-espansiva degli ultimi anni e chiudendo la porta al carry trade valutario più diffuso su scala globale, quello che si indebitava in yen a costo zero (o persino negativo) per investire in mercati molto più redditizi come appunto gli Stati Uniti.
Il 19 luglio c’era stato un crash globale dei sistemi Windows dovuto a un aggiornamento difettoso del fornitore Crowdstrike: aveva generato il più grande blackout tecnologico della storia paralizzando i voli di mezzo mondo e i servizi pubblici e privati di un numero incalcolato di strutture.
Oggi invece sono i dazi, ma la reazione odierna potrebbe essere effimera. I future sul Ftse MIB e l’indice stesso, per esempio, sono scivolati rapidamente nella zona di ipervenduto indicata da oscillatori di breve come l’RSI a 14 sedute (a quota 23 per l’indice e a quota 20 per il future) o l’indicatore stocastico a 14 sedute (a 11,9 e a 15,6 rispettivamente). Una situazione simile si vede negli oscillatori del future sull’Euro Stoxx 50, sul Dax tedesco, sul Cac 40 francese. La reazione odierna potrebbe insomma essere effimera. Anche se è comunque un segnale da tenere in considerazione visto che anche i maggiori listini asiatici hanno chiuso una seduta di parziali recuperi, anche importanti (Nikkei 225 +6,01%, Hang Seng +1,51%).
Anche l'orientamento positivo dei future sui maggiori indici azionari Usa (+1,32% future sull'S&P 500, +1,03% future sul Nasdaq 100 e +1,8% future sul Dow Jones) è da tenere in considerazione.
Dazi Usa, ma sul fronte politico nessuna novità concreta
In realtà sul fronte politico, che poi è quello che dà le carte in questa fase non si vedono segnali incoraggianti di alleggerimento delle tensioni esplose con l'avvio della guerra commerciale di Donald Trump.
Né tutte le Borse asiatiche hanno retto bene: l’Indonesia, che domani dovrebbe vedere i dazi statunitensi schizzare al 32% ha registrato un crollo del 9,2% del listino principale e ha visto la sua rupia precipitare sui minimi storici.
Circolano voci che Singapore stia per ridurre le stime di crescita del 2025. Il suo primo ministro Lawrence Wang, che pure deve gestire una situazione più semplice di altre giurisdizioni essendo i dazi previsti per il suo Paese sul minimo del 10%, ha avvertito che se continuerà l’escalation commerciale di scontro tra Stati Uniti e Cina ci sarà una frattura del commercio globale, con impatti per tutti.
Una delle notizie di ieri è stata infatti l’immediata minaccia di nuovi dazi aggiuntivi del 50% sulle importazioni di prodotti cinesi negli Stati Uniti: Trump in un post ha dato sostanzialmente 24 ore al Beijing per cancellare i nuovi dazi del 34% che la Repubblica Popolare ha messo sulle merci Usa in risposta ai dazi già varati dall’amministrazione Usa.
Sulla Cina, dopo un avvio morbido, Trump ha fatto un giro di vite impegnativo ponendo prima dazi del 20% e quindi dazi aggiuntivi del 34%, attualmente quindi sulle merci del colosso asiatico Washington chiede un dazio del 54% che potrebbe salire a breve al 104% (senza considerare un 20% di dazi della prima amministrazione Trump).
La Cina ha risposto con i controdazi e ha dichiarato che combatterà fino alla fine.
Un crack del commercio globale e della stessa globalizzazione si prepara sotto gli occhi di tutti.
La voce di Wong che chiede di rivedere gli accordi commerciali globali che sono stati progettati quando la Cina valeva il 5% del Pil mondiale (ora vale il 15%) in sede di WTO appare flebile. Domani verosimilmente saliranno al 32% i dazi Usa su Taiwan, al 37% quelli sulla Thailandia, al 46% quelli sul Vietnam. Sono hub di produzione mondiale, anche per le big corp a stelle e strisce. Hanoi si è detta pronta, oltre che a un azzeramento dei dazi sulle merci Usa, a comprare più aerei e armamenti dagli Stati Uniti e di accelerare le consegne alle compagnie vietnamite di aerei made in Usa.
In Vietnam si producono fisicamente Nike, Adidas e Apple Watch i iPad, ma ora il Paese rischia con i dazi un impatto dell’1,2% del Pil e chiede una pausa di 45 giorni per negoziare. Washington tace. Bruxelles intanto appronta una strategia.
Dazi Usa, l'Unione Europea mette a punto una reazione articolata
Ieri in Europa si è messa a punto una prima fase della strategia. Sul fronte commerciale l’architettura istituzionale europea ha una caratterizzazione forte che è al contempo un vantaggio e uno svantaggio in questa fase. La politica commerciale europea è infatti una materia di competenza della Commissione UE che così può gestire le trattative a nome di un mercato da 450 milioni di consumatori che nessuna grande area economica globale può ignorare.
C’è già stata una prima offerta a Trump: “zero contro zero”, ossia zero dazi in cambio di zero dazi. Ma questa proposta non è bastata a Washington e ora Bruxelles, tra falchi come la Francia che puntano a contromisure forti e rapide e colombe come l’Italia o la Spagna che frenano su nuovi contro-dazi che potrebbero rivelarsi un boomerang, cerca di stabilire un percorso.
Domani così in Commissione sarà verosimilmente approvata una prima lista di merci statunitensi da sottoporre a dazi europei. Si voterà a maggioranza qualificata: 15 Paesi su 27 e il 65% della popolazione Ue almeno. I dazi dovrebbero entrare in vigore dal 15 aprile. Si tratta di una risposta, declinata su dazi UE del 25% su un paniere meditato di merci Usa, ai dazi Usa al 25% su acciaio, alluminio, auto e componentistica automotive.
Ma il percorso che l’Europa sta definendo non guarda soltanto fuori, anzi potenti misure e provvedimenti vengono ideati e proposti anche per il mercato interno visto come alternativa importante alla crisi dei dazi Usa e allo sbocco su mercati alternativi come l’India e la Cina.
Nel suo discorso al Parlamento UE il primo aprile scorso Ursula von der Leyen ha sottolineato che secondo il Fondo Monetario Internazionale le barriere del mercato interno europeo equivalgono a dazi del 45% per la manifattura e del 110% per i servizi.
Ma le mosse Ue di domani saranno ancora più importanti da un punto di vista simbolico in quando domani, 9 aprile, sarà il giorno in cui i dazi statunitensi sull'Europa passeranno dal 10% al 20%, bisognerà quindi al contempo mantenere l’apertura al negoziato e la fermezza necessaria a rendere credibili delle ritorsioni commerciali. Con le nuove minacce alla Cina Trump ha dimostrato di essere pronto ad ulteriori escalation.
Ma bisognerà anche tenere in conto l’impatto asimmetrico di alcune potenziali misure europee, per esempio la Commissione ha ipotizzato dazi del 50% sul bourbon americano, ma Trump ha minacciato controdazi del 200% si tutte le bevande alcoliche europee vendute negli Stati Uniti, con un prevedibile forte impatto su vini italiani e francesi. Per questo il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha chiesto di togliere quella proposta dalla lista europea.
Dazi Usa, rischia di trasformarsi in una battaglia sulla soglia del dolore
Ma non è chiaro se sia stato ascoltato, anche perché questa guerra commerciale punteggiata di rumors e annunci, di vendite feroci sui mercati azionari e di dure contrapposizioni sta sempre di più diventando una battaglia sulla soglia di sopportazione del dolore.
Negli Stati Uniti le pressioni di Wall Street su Trump sono imperiose e appare chiaro che i rischi di inflazione in crescita e di rallentamento del Pil, se non di recessione, rischiano di concretizzarsi nei prossimi mesi. Mentre le proteste contro Trump si diffondono in diverse città su diversi temi, dall’immigrazione ai dazi, ai tagli alla pubblica amministrazione, in molti si chiedono quanto potrà resistere alla pressione crescente The Donald. La speranza in una serie di tagli del costo del denaro della Fed, il vecchio salvagente delle banche centrali, difficilmente potrà aggirare eventuali balzi dei prezzi che sono nelle cose se i dazi verranno implementati.
Al contempo la partita in Europa non è troppo diversa. Fallito l’approccio negoziale puro, bisogna mostrare anche i muscoli e dimostrare a Washington che anche Bruxelles ha frecce al proprio arco. Non solo la prima tornata di dazi su beni Usa importati, ma anche scadenze dilatate per creare spazio di negoziazione tra le due sponde dell’Atlantico.
E poi il bazooka sul tavolo, l’Anti-Coercion Instrument, un deterrente comunitario, pensato in realtà in chiave anti-cinese, che permette all’Europa un ventaglio di contromisure contro gli Stati che volessero imporre misure di coercizione economica al Vecchio Continente. Nel menù dazi, restrizioni sul commercio di servizi, diritti di proprietà, restrizioni all’accesso degli investimenti esteri diretti o anche alle gare pubbliche.
Ma intanto domani si lavorerà ancora di fino, tra la maggior parte dei dazi al 25% e qualche eccezione al 10%, tra acciaio e alluminio, Harley Davidson e jeans, tra grandi barche e succo d’arancia, magliette di cotone e mais. I dazi di domani dovrebbero essere volutamente limitati a circa 4 miliardi di euro.
Il secondo passaggio eventuale sarebbe invece assai più corposo: 5 settimane per decidere di dazi da ben 18 miliardi (in direzione di un graduale pareggio dell’impatto dei dazi Usa). La lista sarebbe più corposa, dal latte ai formaggi, dal manzo ai polli allo zucchero, dal curry, alla soja al ketchup e poi shampoo, dentifricio, medicinali, pelletterie, valigie, forni e stufe. Ancora si è in fase di elaborazione, ma molte categorie sono già in pratica nella lista delle possibili contromisure europee ai dazi Usa.
Questa fase due potrebbe scattare a maggio, se Washington non dovesse sentire ragioni. Si spera di non arrivarci, ma intanto è una pace per la quale ci si attrezza con le armi commerciali, con la consapevolezza che ogni contro-dazio avrà un ulteriore impatto negativo sulle nostre economie.
Dazi Usa, la posizione italiana
Per questo la task force italiana chiede di piegare il Green Deal alle nuove esigenze e di direzionare i fondi europei verso i settori più a rischio. Semplificazioni normative e la consapevolezza che riadattare il PNRR non sarà facile fanno parte degli argomenti che oggi saranno discussi dalla premier Giorgia Meloni con i rappresentanti delle categorie produttive più a rischio, dall’agroalimentare alla meccanica. La speranza è di liberare 10 miliardi di euro di risorse per dirigerle, in maniera mirata, sulle imprese più a rischio dazi Usa.
Si conta anche sul ruolo da pontiere del vicepresidente della Commission UE Raffaele Fitto, che proprio dalla gestione ministeriale del PNRR proviene. Non sarà facile, in nessun caso.
Ma ci sono anche molte altre possibili ritorsioni europee sulle pressioni degli Stati Uniti. I servizi avanzati e la tecnologia statunitense trovano uno sbocco fondamentale in Europa e riequilibrano molto di più l'interscambio di quanto la Casa Bianca non ammetta. Colpire Google o Apple o Microsoft non sarebbe però indolore, perché hanno già conquistato da tempo un ruolo di infrastrutture tecnologiche in diversissimi ambiti economici. Ma non si possono a oggi escludere ritorsioni anche su questi settori. Si spera, come sempre, di trovare un accordo prima, ma dati i toni di Trump - anche i rumors di una tregua di 90 giorni ai dazi circolati ieri sono stati smentiti prontamente - è un'auspicio ancora troppo fragile, per farne un percorso