Auto elettrica, la Cina resta in testa
pubblicato:La Repubblica Popolare integra le filiere su scala globale e l'Europa rischia di diventare solo un polo di assemblaggio per le batterie. Il libero mercato UE e i finanziamenti pubblici europei sembrano avvantaggiare più i grandi player cinesi, che lo sviluppo industriale continentale. Politica industriale cercasi disperatamente
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La Cina consolida il settore strategico dell’energy storage e quello collegato delle auto elettriche mettendo a segno nuovi investimenti e rafforzando la propria autonomia nelle filiere industriali critiche. Mentre l’Europa cerca di definire il rapporto con la nuova amministrazione statunitense di Donald Trump, Pechino accelera sulla via dell’innovazione tecnologica e dell’espansione globale.
Auto elettriche, il piano cinese per l’energy storage
Il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology cinese, insieme ad altri otto organi amministrativi, ha lanciato un piano d’azione congiunto per lo sviluppo dell’energy storage. L’obiettivo è potenziare la tecnologia delle batterie, migliorare l’efficienza della produzione e integrare soluzioni avanzate come blockchain, big data, intelligenza artificiale e 5G. Il piano prevede anche cooperazioni internazionali e si coordina con la Belt and Road Initiative e i progetti economici con i paesi BRICS.
Questa strategia si inserisce in un contesto di crescente tensione commerciale con gli Stati Uniti e si lega alla necessità per la Cina di assicurarsi il controllo su settori strategici. Un chiaro esempio è rappresentato dai rapporti con l’Africa, che continua a essere una fonte primaria per l’approvvigionamento di materie prime critiche.
La provincia cinese di Hunan ha appena annunciato un pacchetto di 11 misure per rafforzare i legami economici con il continente africano, puntando su investimenti infrastrutturali, sistemi logistici efficienti e accordi di cooperazione commerciale.
Auto elettrica, in Cina è boom anche a gennaio
Come noto la Repubblica Popolare cinese detiene la leadership globale nella produzione e vendita di veicoli elettrici (EV). A gennaio 2024, il paese ha prodotto 2,45 milioni di veicoli, con un incremento dell’1,7%, mentre le vendite sono leggermente diminuite dello 0,6%.
Le auto elettriche e ibride hanno registrato un aumento del 29%, con oltre 1 milione di unità prodotte e 944.000 vendute. Questo significa che, su 100 auto vendute in Cina, quasi 39 sono elettriche o ibride.
Anche l’export è in forte crescita: la Cina ha esportato 470.000 veicoli a gennaio (+6,1%), di cui 150.000 elettrici o ibridi (+49,6% rispetto all’anno precedente).
Questo dato conferma il ruolo sempre più centrale di Pechino nel mercato automobilistico globale, con una crescente influenza anche sulle politiche industriali europee.
Auto elettrica, l'Europa tra incentivi e dipendenza cinese
Nonostante il tentativo dell’Europa di rafforzare le proprie filiere produttive, il mercato automobilistico europeo resta fortemente dipendente dai produttori asiatici, in particolare cinesi e sudcoreani.
Transport & Environment (T&E), una delle principali associazioni di settore, ha lanciato l’allarme sul rischio che gli aiuti pubblici europei favoriscano le aziende asiatiche senza un reale trasferimento tecnologico verso l’industria locale.
Il Financial Times ha ripreso lo studio di T&E denunciando il rischio che l'Europa si trasformi in un semplice polo di assemblaggio delle batterie cinesi, senza lo sviluppo di una reale capacità competitiva e industriale.
Secondo T&E aziende cinesi in partnership con grandi gruppi europei hanno ricevuto ingenti finanziamenti pubblici senza vincoli ambientali o sociali, come nel caso della gigafactory CATL in Ungheria e della LG Energy Solution in Polonia. Entrambe le fabbriche hanno ottenuto oltre 900 milioni di euro di sovvenzioni pubbliche, ma senza obblighi chiari in termini di standard industriali e ambientali e infatti entrambi gli impianti si registrerebbero violazioni della Direttiva europea sulle emissioni industriali (dalle emissioni di NMP, solventi impiegati per le batterie, al ciclo delle acque).
Altri casi critici includono la partnership Volkswagen-Gotion in Germania e l’accordo tra CATL e Stellantis in Spagna (per una gigafactory da 4,1 miliardi di euro), che ha ricevuto 300 milioni di euro di aiuti pubblici. Secondo T&E, in questi due accordi non è previsto alcun trasferimento di know-how tecnologico dalla Cina all’Europa.
Si rischia insomma un'industria europea sempre più dipendente dai produttori asiatici e sempre meno capace di un sviluppare una propria capacità competitiva.
Auto elettrica, per l'Europa il rischio "Polo di Assemblaggio"
Attualmente, circa il 90% delle batterie per auto elettriche europee è prodotto da aziende asiatiche e il 40% delle nuove gigafactory annunciate in Europa è di proprietà cinese o sudcoreana.
Quindi, in assenza di misure regolatorie chiare, l’Europa rischia di diventare un semplice hub di assemblaggio, mentre la leadership tecnologica rimane nelle mani di Pechino o di altri player che in patria - spesso con ampi finanziamenti pubblici a sostegno dello sviluppo dell'intera filiera- hanno saputo sviluppare un know-how tecnologico competitivo.
Secondo Esther Marchetti, Clean Transport Manager di T&E Italia, è fondamentale stabilire norme più stringenti sugli investimenti esteri nell’UE, soprattutto se supportati da fondi pubblici.
L’Europa, secondo l’associazione, deve dotarsi di un quadro normativo chiaro e competitivo per non restare indietro rispetto agli Stati Uniti e alla Cina.
Deve per esempio dotarsi dei precisi vincoli che in Cina regolano il trasferimento tecnologico e l'impiego delle risorse locali. Deve sviluppare un quadro normativo che regolamenti anche gli aspetti sociali e territoriali come fanno negli Stati Uniti l'IRA e le norme sui “Foreign Entity of Concern”.
La corsa globale alla mobilità elettrica rimane quindi, nonostante la frenata di Donald Trump e le incertezze dell'industria automotive europea, intensa e la Cina continua a consolidare il proprio vantaggio strategico.
L’Europa investe miliardi di euro nel settore, ma la mancanza di vincoli stringenti rischia di favorire indirettamente i produttori asiatici, lasciando il Vecchio Continente in una posizione di subalternità tecnologica e industriale.
Paradossalmente la mancanza di vincoli normativi sul trasferimento tecnologico dai produttori asiatici in Europa, sul rispetto delle norme ambientali, sull'impiego della manodopera locale e sulle condizioni di lavoro negli stabilimenti europei della filiera dell'automotive elettrico, crea un libero mercato europeo che rischia di privileggiare player cinesi fortemente normati in Patria da un controllo pervasivo, organico e verticale dello Stato cinese.
Il rischio di trasformare le opportunità della transizione elettrica della mobilità europea in un semplice mercato di consumo per l’industria cinese è reale.