Elezioni USA 2024: Harris e Trump in corsa per la Casa Bianca in una sfida al cardiopalma

di Alessandro Magagnoli pubblicato:
7 min

Le elezioni Usa accendono volatilità sui mercati, ma la Fed rimane l'elemento centrale

Elezioni USA 2024: Harris e Trump in corsa per la Casa Bianca in una sfida al cardiopalma

Le elezioni presidenziali americane del 5 novembre vedono Kamala Harris e Donald Trump contendersi il ruolo di 47° presidente degli Stati Uniti.

Harris raccoglie il 50% dei consensi

Entrambi puntano a raggiungere la soglia dei 270 grandi elettori, necessari per ottenere la vittoria. Secondo un sondaggio NPR-PBS News-Marist, Harris raccoglie il 50% dei consensi, mentre Trump si attesta al 48%.

La media dei sondaggi nazionali di The Hill mostra Harris in vantaggio del 3,4%.

Sette Stati chiave restano in bilico

Nonostante i giochi siano quasi conclusi, sette Stati chiave restano in bilico e saranno cruciali per determinare l'esito finale.

Questi Stati includono: North Carolina, Pennsylvania, Nevada, Georgia, Arizona, Michigan e Wisconsin.

Ecco la situazione attuale nei sondaggi in questi Stati decisivi:

Pennsylvania: Harris 48,8% - Trump 47,5% Michigan: Harris 48,7% - Trump 46,8% Wisconsin: Harris 49,4% - Trump 47,5% North Carolina: Harris 47,9% - Trump 48,1% Georgia: Harris 47,9% - Trump 48,6% Arizona: Harris 47,3% - Trump 48,6% Nevada: Harris 48,9% - Trump 47,1%

Harris ha ottenuto un vantaggio nei cosiddetti Stati della Rust Belt, come Wisconsin, Michigan e Pennsylvania, che sono post-industriali e situati nel nord.

Trump, d'altra parte, sta avanzando negli Stati della Sun Belt, che coprono il sud degli Stati Uniti, dalla costa atlantica a quella pacifica.

Nonostante Harris sia in vantaggio in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin dall'inizio di agosto, le differenze nei sondaggi restano sottili, rendendo la gara ancora incerta negli Stati in bilico.

Le elezioni non sono l'unico fattore che influisce sulle performance della borsa

Le elezioni negli Stati Uniti, specialmente in settori economici chiave, hanno storicamente acceso una certa volatilità sui mercati, ma non sono l'unico fattore che influisce sulle performance a medio-lungo termine.

Mentre la politica e i risultati elettorali possono determinare cambiamenti settoriali, in genere non sono la variabile più decisiva per gli investitori.

Al contrario, fattori come le politiche monetarie della Federal Reserve, ad esempio, possono avere un impatto più rilevante e duraturo sui mercati finanziari.

L'S&P 500 nel 2024 ha già registrato un’ottima performance

L'S&P 500 nel 2024 ha già registrato un’ottima performance nei primi tre trimestri. Inoltre, questi sono stati i migliori tre trimestri in un anno di elezioni presidenziali, un segnale positivo per il mercato azionario statunitense.

Le statistiche indicano che l'S&P 500 tende a ottenere buone performance durante il terzo anno di un ciclo presidenziale e, spesso, anche durante l'anno elettorale.

Questi trend mostrano che, sebbene l'incertezza politica possa generare movimenti di breve termine, i mercati azionari sono più influenzati da dinamiche economiche di lungo periodo, piuttosto che da singoli eventi elettorali.

Negli Stati Uniti, è evidente che l'inflazione sta rallentando

Negli Stati Uniti, è evidente che l'inflazione sta rallentando, come dimostrato dalla recente decisione della Federal Reserve di tagliare i tassi di interesse di 50 punti base.

Questa mossa riflette la fiducia della Fed nel raggiungere il tanto atteso "atterraggio morbido", ovvero un rallentamento dell'economia senza entrare in recessione.

Il calo dei prezzi sta infatti riducendo la necessità di mantenere tassi elevati, permettendo alla Fed di adottare una politica monetaria più accomodante.

Le borse ovviamente traggono vantaggio da questa situazione, tuttavia, restano incertezze sul futuro economico, con i mercati che monitorano attentamente le prossime mosse della banca centrale.

I governatori della Fed restano cauti

La governatrice della Federal Reserve, Adriana Kugler, ha dichiarato di essere favorevole a un ulteriore taglio dei tassi d'interesse, a condizione che l'inflazione continui a scendere, come previsto.

Secondo quanto riportato da Reuters, Kugler ha sottolineato l'importanza di concentrarsi non solo sull'obiettivo del 2% per l'inflazione, ma anche sul mercato del lavoro, che deve essere monitorato attentamente per evitare un rallentamento indesiderato dell'economia.

Alberto Musalem, presidente della Federal Reserve di St. Louis, ha espresso una visione più cauta.

Durante un evento presso la New York University, ha dichiarato che è sensato procedere con prudenza nei tagli dei tassi di interesse, poiché un allentamento eccessivo e troppo rapido comporterebbe costi superiori rispetto a un approccio più limitato e ritardato.

Musalem ha evidenziato che una riduzione troppo veloce potrebbe compromettere la credibilità della Fed, con l'inflazione che rischierebbe di tornare a livelli elevati, minacciando l'occupazione e la crescita economica futura.

In definitiva, sebbene Musalem non si opponga a ulteriori tagli, preferisce un approccio bilanciato che soppesi attentamente i rischi di un eccessivo allentamento contro quelli di un intervento tardivo.

Il conflitto in Medio Oriente potrebbe rivitalizzare l'inflazione

L'aumento delle tensioni in Medio Oriente, in particolare il conflitto in corso tra Israele e Hamas e le recenti operazioni militari israeliane nel sud del Libano, stanno suscitando preoccupazioni riguardo agli impatti economici più ampi.

I prezzi del petrolio sono aumentati a causa delle paure che il conflitto possa intensificarsi e potenzialmente interrompere i flussi di petrolio, specialmente se Israele decidesse di colpire le infrastrutture petrolifere iraniane, rischiando una possibile rappresaglia.

Tuttavia, gli esperti mettono in guardia contro preoccupazioni immediate su aumenti sostenuti dei prezzi del carburante, sottolineando che le scorte di petrolio greggio degli Stati Uniti sono ancora elevate e che i paesi OPEC hanno sufficiente capacità inutilizzata per gestire le interruzioni a breve termine.

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha avvertito di possibili conseguenze economiche significative in caso di ulteriore escalation del conflitto, ma ha ribadito che è troppo presto per prevedere gli effetti precisi sull'economia globale.

I prezzi delle materie prime, nonostante le preoccupazioni, sono ancora inferiori rispetto ai massimi dell'anno precedente.

Se il conflitto dovesse intensificarsi, con attacchi alle infrastrutture energetiche o interruzioni delle rotte commerciali, Oxford Economics stima che i prezzi del petrolio potrebbero raggiungere i 130 dollari al barile, riducendo potenzialmente la crescita globale di 0,4 punti percentuali nel 2024, rispetto alla proiezione attuale dell'FMI del 3,3%.

Gli impatti economici più ampi dipenderebbero dalla portata e dalla durata delle interruzioni.

La domanda cinese di greggio potrebbe non aumentare oltre le attese

Le aspettative di una forte accelerazione dell'economia cinese si sono ridimensionate nelle ultime ore, provocando un calo nelle materie prime.

Durante la conferenza stampa della Commissione Nazionale per lo Sviluppo e la Riforma, non sono stati fatti annunci significativi né fornite ulteriori indicazioni sull'implementazione delle misure di stimolo economico annunciate a settembre.

Nonostante la fiducia espressa dalle autorità di Pechino nel raggiungimento degli obiettivi di crescita, non ci sono stati dettagli concreti su nuovi provvedimenti.

Il presidente della Commissione, Zheng Shanjie, ha dichiarato che i fondamentali dell'economia cinese restano solidi e che il Paese è pienamente fiducioso di mantenere uno sviluppo stabile, sano e sostenibile.

Tuttavia, l'attesa di misure di stimolo più consistenti, che molti speravano di vedere, non si è concretizzata.

Questa riluttanza di Pechino a lanciare un pacchetto più sostanziale di stimoli sta generando preoccupazioni tra gli investitori, che mettono in dubbio la sostenibilità del recente rally della borsa cinese.

Il mercato, evidentemente, si aspettava più azioni decisive per stimolare la seconda economia mondiale, ma l'assenza di novità rilevanti lascia spazio a incertezze.

La domanda di petrolio in Cina è attualmente in contrazione

La domanda di petrolio in Cina è attualmente in contrazione, con una diminuzione del 1,7%, ovvero 280.000 barili al giorno, su base annua a luglio, un netto contrasto rispetto al tasso di crescita medio del 9,6% registrato nel 2023.

Di conseguenza, la IEA prevede una crescita annua di solo l'1,1%, pari a 180.000 barili al giorno, nel 2024.

La centralità della Cina nella crescita della domanda globale di petrolio in questo secolo è stata così grande che il rallentamento brusco della crescita quest'anno solleva interrogativi significativi sul futuro percorso globale.

Se l'impulso positivo della Cina sta veramente perdendo slancio, e con la domanda nei paesi avanzati attualmente al livello del 2014 e destinata a diminuire, si pone la domanda se altri paesi o regioni possano sostituire la Cina come motore della crescita della domanda globale di petrolio.