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Maire Tecnimont, un altro contratto per un industriale brillante (+118% in un anno)

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
7 min

L'azione raddoppia, ma i multipli non sono poi esagerati. Nel 2023 un balzo degli ordini (e della guidance). Ma per capire davvero il gruppo bisogna iniziare dal posizionamento strategico nella decarbonizzazione

Maire Tecnimont, un altro contratto per un industriale brillante (+118% in un anno)

Guardare il calo odierno di Maire (-2,71% a 7,53)potrebbe scoraggiare, mentre gli indici rimbalzano, ma vista da vicino, la società racconta un'altra storia.

L’ultimo contratto di Maire è l’ennesima conferma della vitalità di questo importante gruppo industriale. Obiettivo decarbonizzare davvero, laddove è più difficile, non solo l’industria ma anche l'agricoltura, un settore strategico facilmente negletto.

Maire, cosa vuol dire decarbonizzare l'industria dei fertilizzanti

In sostanza Maire ha già un portfolio di peso strategico in un settore poco noto ai non addetti. Il progetto genuinamente europeo di FertigHy si arricchisce così del suo studio di fattibilità e del suo Pre-FEED basato sulle tecnologie di Nextchem, l’attivissima controllata di Maire dedita alla chimica verde.

Primi spunti esegetici: FertigHy è un’alleanza tra le società europee EIT InnoEnergy, RIC Energy, MAIRE, Siemens Financial Services, InVivo ed HEINEKEN che ha l’obiettivo di produrre fertilizzanti a basso tenore di carbonio.
Un pre-feed (Front-End Engineering and Design) è uno stato iniziale e strategico di ogni progetto in  cui si definiscono perimetri e concept del successivo sviluppo progettuale.
Tornando ai fertilizzanti, sono essenzialmente in composti di azoto, nitrati. Ogni anno nel mondo si producono circa 170 milioni di tonnellate di nitrati, soprattutto in Cina. Questa produzione di fertilizzanti a base di azoto come l’urea, il fosfato di ammonio e altro ancora è però di forte impatto sul cambiamento climatico. Si parte dal metano, si passa dall’idrogeno e si produce ammoniaca e anidride carbonica come scarto. Il processo chimico si chiama Haber-Bosh e ha più di un secolo, ma oggi è considerato uno dei big-four, i quattro processi industriali da decarbonizzare secondo McKinsey se si vuole raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica nel 2050. Gli altri tre sono acciaio, cemento ed etilene.
Da soli questi quattro fanno il 45% delle emissioni id CO2 dell’industria globale e con 0,5 gigatonnellate di CO2 l’anno i nitrati agricoli sono al terzo posto.

Questo per spiegare quanto è importante il fertilizzante.

Ma non è solo clima, se si vuole dirla tutta, sono anche soldi, perché il gas naturale ha fatto l’altalena sui prezzi che tutti gli europei conoscono negli ultimi anni e liberarsi da questa dipendenza indiretta sarebbe un’altra occasione di autonomia, quindi di libertà.

Se infatti si produce direttamente idrogeno verde (quindi con il ricorso ad energia da fonti rinnovabili) e lo si immette nel processo si può produrre dell’ammoniaca a basso tenore di carbonio. Un sollievo per il pianeta e per le nostre tasche.

Il settore agricolo da solo copre più del 10% delle emissioni di CO2 d’Europa e ogni anno i nostri contadini consumano 11 milioni di tonnellate di nitrati.

Bene nel 2027 in Francia dovrebbero partire i lavori per l’impianto di FertigHy che dovrebbe riuscire a regime a produrre 500 mila tonnellate di nitrati a basso impatto, circa il 10% del fabbisogno francese dallo stabilimento della regione di Hauts-de-France per un investimento da ben 1,3 miliardi di euro che dovrebbero produrre operativamente nel 2030. Un altro impianto dovrebbe sorgere anche in Spagna. Macron l’ha fortemente voluto, Maire è della partita.

Ma le tecnologie proprietarie di Maire fanno letteralmente il giro del mondo, proprio in Cina la controllata Stamicarbon, che ha la licenza per la tecnologia dell'azoto, è stata selezionata di recente da Qinghai Yuntianhua International Fertilizer per l'ammodernamento di un impianto di urea con due linee di produzione – ciascuna della capacità di 1.200 tonnellate al giorno – nella provincia di Qinghai.

Maire, ma ci sono anche gli aerei e le plastiche

E non si limitano ai fertilizzanti. Diversi contratti di Maire puntano a decarbonizzare il settore aereo con i SAF, i carburanti sostenibili per l’aviazione civile, idrocarburi di origine non fossile che dovrebbe permettere qualche passo avanti in questo settore hard-to-abate. Una settimana fa Nextchem ha concesso la licenza per i suoi SAF alla statunitense DG FuelsLouisiana: l’impianto che dovrebbe venir fuori dall’intesa è da 450 milioni di litri di carburante l’anno e si basa sulla lavorazione di biomasse residuali (dalla canna da zucchero, alla bagassa, alla polpa e così via).

Un altro grande traguardo rivendicato qualche settimana fa in una illuminante intervista dal fondatore di Maire Tecnimont Fabrizio Di Amato è quello di un accordo con la Aliplast di Hera (il maggiore riciclatore di plastica d’Italia) per un impianto che sarà unico in Europa e adotterà la tecnologia MyReplast di NextChem che dovrebbe raggiungere la capacità di circa 30 mila tonnellate l’anno di polimeri derivanti da riciclo, una materia prima seconda davvero competitiva per una società Aliplast, che è già europea visto che opera anche in Francia, Spagna e Polonia. Anche in questo caso non è solo ambiente, ma anche economia perché da quando la Cina ha avviato una stretta sull’importazione di plastica (ne arrivava a importare 300 mila tonnellate al mese!), nel Vecchio Continente dobbiamo fare di necessità virtù.

Maire, ma l'azione?

È sempre una domanda difficile. Ma dei numeri possono aiutare una autonoma valutazione. In un anno Maire Tecnimont ha più che raddoppiato il proprio valore di Borsa, un +118% che ha bruciato le peformance del Ftse Mid Cap di riferimento (+10%). Una super-performance che può generare diffidenza, d’altronde il titolo è laterale ormai dalla metà di marzo a oggi. Ma poco prima in pochi giorni aveva fatto un balzo del 26%

La data chiave è quella del 5 marzo quando il gruppo ha annunciato i risultati consolidati del 2023 e il nuovo piano industriale che è piaciuto così tanto al mercato da infiammare le quotazioni: in un giorno circa il 2% del capitale che passa di mano, oltre 6,13 milioni di azioni contro la media giornaliera di neanche un milione fino ad allora. Neanche l’ABB di maggio a sconto del 5% sullo 0,7% del capitale è riuscito da allora a ripiegare le quotazioni.

Ma cosa era emerso a marzo?

Intanto ricavi 2023 in volo del 23% a 4,3 miliardi di euro oltre le attese. L’ebitda aveva fatto un balzo del 31,1% a 274,4 milioni e l’utile era cresciuto del 43,3% a 129,5 milioni. Raddoppieranno però anche gli investimenti da 76,6 a 140-170 milioni di euro, ma cresceranno le disponibilità nette adjusted oltre i 337,9 milioni del 2023.

Numeri già impressionanti di per sé, ma cui bisogna aggiungere questi due numerini: 15 miliardi di euro di ordini a fine 2023, +74% in altre parole nel 2022 il gruppo aveva acquisito 3,6 miliardi di euro di nuovi ordini, ma l’anno scorso ne ha acquisiti 11,17 miliardi. Un balzo pazzesco.

Un balzo che riporta a un’altra geografica di peso per il gruppo, il Medioriente (il progetto saudita Amiral, le maxi-commesse emiratine di Hail & Gasha), poi Polonia e Cile. Sicuramente ha contribuito anche il ciclo forte dell’upstream così come gli investimenti nella decarbonizzazione del downstream cui abbiamo accennato. In pratica Maire si aspetta di raggiungere quest’anno i risultati prima previsti per il 2028 e ha quindi aggiornato la guidance e il piano industriale.

Ora l’obiettivo per il 2024 è di ricavi tra 5,7 e 6,1 miliardi (il midpoint di 5,9 mld, +38,5%) e di un ebitda da 360-405 milioni (midpoint 382,5 mln, +39,4%). L’orizzonte è stato allontanato ora al 2033 quando il gruppo punta a oltre 10 miliardi di fatturato, a circa un miliardo di ebitda e a distribuzioni di dividendi in crescita.

Il payout ratio del gruppo, la quota di utili in dividendi è stata infatti fissata al 55% fino al 2025 e al 66% oltre quella data. Si tratta di un progresso dal 45% attuale che ad aprile aveva visto un dividend yield della cedola da 0,197 euro pari al 2,6% circa. Nel quasi decennio del piano sono previsti investimenti per un miliardo di euro.

In termini di valutazioni dell’azione oggi Maire vale circa 2,3 miliardi di euro. Il gruppo ha una PFN adjusted positiva per 353 milioni di euro a fine marzo, il che porta a circa 1,95 miliardi l’Enterprise value (ma il debito lordo è di 904 milioni). Il patrimonio netto è di 539 milioni.

L’EV/EBITDA TTM (degli ultimi 4 trimestri sequenziali) è quindi già sceso da 7,18 a 5,93x alla fine del primo trimestre e sulla media delle previsioni di fine anno potrebbe scendere a 5,11x. Sicuramente una valutazione attraente.

Se si ragione sul P/E (prezzo/utile) dal 17,8 di fine 2023 si potrebbe scendere a 12,8x circa. Non proprio un regalo. Ma comunque un multiplo probabilmente giustificato da una società storicamente solida con un business in crescita e prospettive di ulteriore sviluppo e con percentuali di utili redistribuiti crescenti, con flussi di cassa operativi balzati nel 2023 da 275 a 369 milioni.

Sicuramente insomma un gruppo che si farà ancora notare.

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